E così due settimane trascorsero in fretta, forse anche troppo, per i miei gusti.
Quasi 6 giorni dopo avremmo lasciato la Spagna per andare ad Huntington Beach , dato che i ragazzi, prima di partire per il prossimo tour, volevano passare un po’ di tempo in famiglia.
Con Arin tutto procedeva magnificamente, anche se negli ultimi giorni mi era sembrato un po’ strano e pensieroso, forse anche lievemente distaccato. Tutti stavano bene, tutti tranne Brian, che da quando mi ero fidanzata, sembrava essere entrato nel tunnel della tristezza. Non voleva che io me ne accorgessi, ma per tutti era come un libro aperto, non sapeva mentire.
Durante quelle due settimane, vidi solo alcune volte Chanel, che, per fortuna, sembrava aver smesso di darci fastidio, o per lo meno così pensavo.
La mattina di Santo Stefano, ovvero del 26 Dicembre, decisi di fare una bella corsetta mattutina, giusto per smaltire tutti i grassi accumulati grazie ai dolci, con cui mi ero ingozzata per colpa delle festività.
Infilai dei pantaloncini, una maglia a maniche corte e le mie scarpe da ginnastica, presi l’mp3 e uscii, con la musica nelle orecchie.
Seguii il percorso del mare. La brezza fresca del mattino, che profumava di salsedine, mi sbatteva sul viso, asciugando quel poco sudore che mi stava iniziando a percorrere la fronte.
Dopo aver percorso quasi 3 chilometri, decisi di fermarmi, per fare un po’ di stretching. La strada era completamente vuota, come d’altronde mi aspettavo, dato che erano appena le sette e mezza del mattino.
Il mio mp3 stava riproducendo Becoming, dei Pantera. Improvvisamente vidi una mano tirarmi le cuffie. Odiavo quando lo facevano. Alzai lo sguardo, rimettendomi dritta.
“Vedo che non sei una che smette di rompere le palle. Che cazzo vuoi Chanel?”
“Vedo che non mi hai ascoltata. Soffrirai.” Disse compiaciuta.
“Fottiti puttana”.
In quel momento premette le mani sulle spalle, spingendomi.
“Lurida bambina, non mi credi? Vieni fra un paio d’ore al bar con il giradischi. Vedrai se ho ragione.” Era convinta di quel che diceva. Un sacco di dubbi mi stavano ruotando nel cervello.
Capovolsi la situazione, spingendola, e avvicinandomi, rendendomi imponente dinanzi a lei, poi puntai l’indice sul suo petto.
“Tu, puttana, come ti permetti di venire qui e dirmi queste cose? Potrei denunciarti per stalking, mi hai davvero stancata! Sai che ti dico? Ci sarò al bar, e vedremo chi ha ragione. Così smetterai di infangare il nome del mio ragazzo.”
Il suo voltò passò dallo spaventato, al compiaciuto, facendole crescere un sorrisetto beffardo sulle labbra.
“Perfetto, a fra poco allora, porta i fazzoletti, bimba, non vorrei che le lacrime ti rovinassero il faccino!” Mi disse divincolandosi da me e iniziando a camminare altezzosa in un’altra direzione.
Non ricordo per quale opera divina, o per quale santo, io quel giorno non le tirai un pugno dritto sul naso.
Mi buttai di peso su una panchina lì vicino, il mio cervello stava per scoppiare, quella ragazza era riuscita a confondermi. Era davvero troppo sicura di sé per mentire.
In fretta rimisi le cuffiette e ripresi la mia corsa, più veloce di prima, a causa del nervosismo che si stava impossessando di me.
Quando arrivai a casa, Arin era già sveglio.
“Amore dove eri andata?” Mi disse preoccupato.
“A correre, non si vede?” Dissi con un tono talmente freddo, che gelò il mio stesso sangue. Il viso di Arin cambiò espressione, divenne più serio.