~Sa difendersi lei~

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Guidare la mia moto è la valvola di sfogo migliore che potessi mai avere. Non ho bisogno di persone che mi ascoltino, sentire il rumore del motore e il vento tra i capelli mi basta enormemente. Non indosso mai il casco in occasioni come queste, non guido mai in centro o in luoghi dove c'è molto casino.

Ho bisogno di quel silenzio essenziale, è l'unico modo per sentire i miei pensieri e nient'altro.

Solo loro e la mia moto.

So di avere gli occhi arrossati dalle lacrime di prima e dal vento di ora, ma ne vale la pena, è un dolore che mi fa sentire meglio.

Provo quel senso di libertà che tutti sogniamo, quel senso di spensieratezza che ci danno poche cose e pochissime persone. La mia moto non è solo un oggetto anche se per tutti voi potrebbe sembrare al quanto strano da sentire. Chi non guida una moto non può capirmi neanche lontanamente.

So dove sono, conosco questa città come le mie tasche e per questo non mi faccio scrupoli ad allontanarmi di tanto in tanto. Saranno passati minuti, ore, momenti, momenti che non so decifrare e che non mi preoccupo di contare.

Mi basta questa sensazione per stare meglio, ora ho bisogno solo di me stessa. Punto.

Il Sole sembra già iniziare a calare, non so che ora sia e non mi interessa controllare, guidare di notte è ancora meglio. Il cellulare continua a suonarmi nella tasca del giubbotto in jeans, lo sto ignorando da tanto ma non abbastanza per esaurire la pazienza. Lo lascio lì a squillare anche se non sento la suoneria, non sento e non provo quasi niente adesso.

Mi va bene così.

Ripenso alle parole di Alan che continuano a rimbormbarmi in testa incessantemente.
Non abbastanza.
Non abbastanza.
Non riesco a non rivivere quella scena, udire quelle parole espresse con una chiarezza folgorante. Vedo il suo sguardo davanti a me come la scena di un film, sembra che la stia inseguendo ma in realtà sto solo provando a sfuggirle.

Inizio a battere le palpebre fino a chiudere per un secondo gli occhi; quando li riapro ciò che vedo mi lascia stupita. Alle mie spalle ci sono delle moto nere e lucide, tre o quattro al massimo, con sopra dei probabili ragazzi. Non sono sicura mi stiano seguendo, così giro un paio di volte per stradine più strette e secondarie. Ora sono certa di essere seguita.

Non so cosa fare, non ho paura ma non sono neanche molto tranquilla.

Uno di loro suona e poi accelera per sorpassarmi, senza fermarsi. Due dei tre alle mie spalle mi circondano mettendosi alla mia sinistra e alla mia destra; l'ultima moto rimane alle mie spalle. Inizio a guardarmi intorno, guardo loro cercando di scrutare qualcosa sotto i caschi neri con i vetri scuri. Quella di fronte a me accelera per poi bloccarsi e serrarmi la strada con una velocità assurda.

Sono costretta a fermarmi di colpo con una frenata brusca. Sono bloccata e circondata da tutte le direzione. Non vedo nessuno in vicinanza e mi maledico per aver preso questa stradina deserta e troppo piccola per fuggire.

Fisso il ragazzo sulla moto di fronte, lui guarda probabilmente me, non vedo gli occhi di nessuno e quindi non ne sono certa.

Sono tutti vestiti di nero, con un giubbotto di pelle e degli anfibi, i guanti alle mani. L'unico spazio di pelle che vedo è quella del collo dove noto due tatuaggi sui ragazzi di lato a me. Entrambi raffigurano un teschio in bianco e nero, sotto una scritta.

«Che cosa volete?!», sputo acida e loro si lanciano un'occhiata. Aspetto una risposta, un cenno, un segno ma... nulla. Uno di loro fischia da sotto il casco, un altro batte le mani due volte e un altro ancora alza un pollice.

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