~Principe azzurro~

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La campanella suona.

Tutti corrono fuori dall'aula con una fretta sorprendente lasciando soli me e un mio compagno.

Lui mi si avvicina subito dopo aver sistemato le cose nello zaino bianco e verde scuro.

È un ragazzo che conosco molto poco.

«Roxenne», chiama con voce sottile e indifesa. «Volevo solo ricordarti della mia proposta, spero accetterai». Mi fa tenerezza la sua espressione e la sua delicata voce. Fa parte del gruppo di teatro e sta cercando di convertirmi a questa attività, ogni anno diminuiscono i partecipanti e quindi cercano di accaparrarsi più gente possibile. La loro abilità nel recitare è un grande pregio e li aiuta più di quanto possiate immaginare.

Ma con me non funzionerà.

«Ci penserò», gli dico tranquilla e sorridendo appena. Lui annuisce e gira i tacchi allontanandosi silenzioso; seguo inconsciamente i suoi movimenti fino ad accorgermi di un'alta e robusta figura.

Alan è appoggiato alla cattedra e mi osserva, ha le braccia incrociate, gesto che risalta i muscoli sotto la T-shirt rosso fuoco. È il suo colore preferito.

Osserva il ragazzo intimidito, poi gli chiude la porta dietro. Mentre si avvicina a me stento a trattenere una risata, non so perché ma questa scena mi ha divertita.

«Chi era quello?», chiede fermandosi di fronte al mio banco. «Ciao anche a te», ridacchio scuotendo la testa.

«Ciao. Chi era allora?», domanda ancora. «Un mio compagno, fa parte del gruppo di teatro. Vuole che mi unisca a loro... tu mi ci vedi a recitare?», chiedo sinceramente e lui nega con più convinzione di quanta mi aspettassi.

«Siamo d'accordo su qualcosa allora», sorrido alla fine della frase e chiudo la cerniera dello zaino.

«Come mai qui?», gli domando prima di alzarmi. Lui porta avanti la sedia del banco di fronte al mio e si siede. Mi accomodo di nuovo, lentamente e sospettosa.

«Devo parlarti», taglia corto e lentamente lascio cadere lo zaino ai piedi della sedia.

Aspetto che continui e lo fa.

«Prima, dopo quella chiamata,  sei corsa via. Voglio sapere con chi hai parlato e che ti hanno detto. Dimmelo forza», il suo tono è solenne e deciso. «Non usare questo tono, sembra quasi un obbligo», affermo.

«Infatti lo è». La sua risposta mi sorprende, è così sicuro di sé. Non era così tre anni fa ma è di certo un cambiamento positivo questo.

Resto in silenzio mentre lui continua a fissarmi. Quello che ha detto è vero, sono corsa via senza dire una parola e non mi sorprende aver creato in loro dei sospetti. Alan mi pone di nuovo la stessa domanda e sento nella mia testa il ticchettio di un orologio, manco ci fosse un timer.

Decido di rispondere: «Non è niente di grave. Mi hanno solo fatto uno scherzo, sono uscita per altri motivi non di certo per quello». Cerco di prenderla sul ridere sperando che la voce e l'espressione non mi tradiscano. Lui cerca un contatto visivo ma non glielo permetto, non sono molto brava a mentire o a fingere, a differenza sua.

«Mi stai mentendo», dice.

«Certo che no!», rispondo di rigetto.

Appoggia i gomiti sul mio banco e io la schiena allo schienale freddo e scomodo.

«Dimmi la verità».
«È questa la verità».

«Tu hai detto una frase un istante prima di chiudere la chiamata. So che te la ricordi e so che non l'avresti detta se non fosse stata una cosa seria», parla e io mi sforzo di mantenere la calma.

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