~Strano presentimento~

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Raggiungere mia sorella è un gioco da ragazze. Nonostante la sua scattante macchina la mia moto non è di certo da meno.

Arrivata davanti scuola le faccio un cenno con la mano per avvisarla che vado nell'altra direzione per parcheggiare. Si limita ad annuire. Trovo con difficoltà un posto in mezzo a molte altre motociclette altrettanto belle e costose. La cosa più in vista che differenzia la mia dalle altre è sicuramente il colore: bianco. La maggior parte sono nere e altre sono rosse o verdi, colori che non mi piacciono un granché.

Non trovo una sola ragazza scendere da una delle moto e una parte di me si sente a disagio. Sfilo i guanti di pelle e li metto in una tasca dello zaino, poi tolgo il casco, che fortunatamente non mi ha rovinato le treccine.

Quando scendo dalla moto il ragazzo di fianco a me inizia a squadrarmi con troppa insistenza.
«Problemi?», chiedo e lui si ritrae immediatamente ignorando la mia domanda.

Che ho detto di male?

Inizio a camminare verso l'auto di mia sorella dove però l'autista sembra avere una crisi di panico. «Che succede?», chiedo a May affacciandomi allo sportello. Sta frugando nella sua borsa con una certa voga e intanto si lamenta a voce troppo alta. «Ma dove sono finite?», piagnucola. «Maledette chiavi». Faccio un risolino e le piazzo davanti agli occhi un paio di chiavi con un elefantino rosa appeso ad esse e lei spalanca subito gli occhi. «Erano sul tavolo, speravo non te le ricordassi», ridacchio e mi allontano dallo sportello per farla uscire.
«Grazie da una parte e ti odio dall'altra», sorride e chiude gioiosa la sua macchina.

Mi mette un braccio sulle spalle e fa qualche passo lungo e lento trascinandomi con sé.

Si ferma a contemplare la struttura grande e vistosa dove una marea di gente fa casino. La nostra scuola è la più grande e c'è troppa gente per ricordarsela tutta.

«Goditi questo momento mia cara sorellina perché poi non lo vivrai più», dice lei a voce bassa e muovendo in alto la mano libera.
«Vedi che sei tu all'ultimo anno, non io, sorella», le ricordo e lei annuisce dandomi completa ragione.
«Allora devo godermi io tutto questo... Che sensazione fantastica!», alla fine della frase inizia a saltellare allegra continuando a camminare.
La raggiungo e cerco di bloccarla per non farle fare figuracce il primo giorno.

Primo giorno si fa per dire, lei, come me, conosce almeno l'80% degli studenti e tutti i professori. Non c'è più nulla di emozionante nel primo giorno dell'anno scolastico, né ora né in tutti gli anni passati. Vivere sempre nella stessa città dopo un po' può annoiare. A volte però può anche essere divertente, non c'è cosa che non conosciamo in questo posto e dintorni.

Fatto sta che l'inizio di un nuovo anno equivale sempre all'inizio di una nuova avventura, anche se non ci provo nemmeno a immaginare cosa mi aspetterà e a dirla tutta... ho uno strano presentimento.
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«Dai non prendertela così tanto, sai che non l'ho fatto apposta», dico verso Zoe che intanto mi tiene il muso e fa di tutto per non incrociare i miei occhi. «Non volevo darti buca è solo che i professori ci hanno viste e ci hanno costrette ad andare con loro a sentire la preside. Sai che siamo costrette a sentire il suo stupido discorso di inizio anno». Tutto quello che le sto dicendo è vero, è successo due secondi dopo che siamo entrate e non sono riuscita nemmeno ad avvisare la mia migliore amica; ora non vuole proprio darmi ascolto e io non so che cosa fare.

«Non sei giustificata, darmi buca il primo giorno... inaudito, inaudito!», afferma a voce alta con la sua simpatica vocina. Zoe fa parte della mia vita dal primo giorno delle scuole medie quando le ho rivolto la parola; è stata la prima a cui abbia parlato e ringrazio me stessa per averlo fatto. Sono sempre stata una bambina vivace e piena di voglia di vivere a differenza sua che era così timida da non parlarmi per oltre un mese.

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