Avevo paura. Ma questa volta era diverso. Non era quella solita paura di ricevere pugni. Per la prima volta in diciotto anni di vita, io, Michael Clifford, avevo il terrore di perdere una persona. Tra film e persone reali, avevo sentito questa frase infinite volte e non riuscivo mai a spiegarmi, come facesse la gente a spaventarsi per ciò. Ma quando arriva il tuo "dobbiamo parlare", tutto cambia. L'ansia che ti assale è un'ansia soffocante e paralizzante. Infatti il mio corpo era bloccato, solo il cuore continuava a battere. La mia mente era pronta ad assimilare ogni singola frase che lei avesse detto ed a dargli un senso. Rimasi in attesa. Non le feci vedere che ero impaziente di sapere. Emily, si grattò leggermente la testa, trovando le giuste parole per iniziare il suo discorso.
-Ok- sussurrò prima di prendere fiato. Annuii, facendole capire che ero pronto e lei si mise le mani nelle tasche della felpa.
-Volevo chiederti scusa ed ora ti spiego il perché. Vedi, se anni fa decisi di mettere quelle voci false in giro su di te, fu perché ero così ferita. Pensavo che farti bullizzare, sarebbe stato il minimo di tutto il dolore che io stavo provando, ma non potevo immaginare che la cosa sarebbe andata avanti per così tanto tempo. Ci avevo preso il gusto anch'io, ma continuavo a prenderti da parte ed a costringerti a stare del tempo con me, solo perché volevo sentirti più vicino- si fermò un attimo e respirò. Non sapevo cosa mi aspettasse ancora.
-Il problema è che avevo sempre pensato che facendo in questo modo, ti avrei dimenticato. Ma da quando l'abbiamo fatto, io ho capito che da te, non potrò mai allontanarmi. Sei ciò che mi tiene attaccata a questo mondo pieno di merda e tutto trova un senso quando sono con te. Scusami se hai dovuto soffrire per tutto questo tempo ma ti giuro che da domani tutto cambierà. Domani, in mensa, dirò a tutti la verità. Però voglio dirtelo, se tu non vuoi stare insieme a me, basta che lo chiarisci ora. Domani confesserò comunque e da lì diventerò un fantasma nella tua vita. La decisione sta a te. Prenditi tutto il tempo che ti serve- finì. Scossi la testa e mi avvicinai nella sua direzione.
-Non mi serve tempo per pensare. Io ti ho sempre desiderata, dalla prima volta che ho varcato la soglia della West Side High School- risposi immediatamente. Lei sorrise ma subito dopo corrugò leggermente la fronte.
-E perché allora mi hai rifiutata tutte e due le volte che mi sono dichiarata?- domandò. Iniziai ad intrecciarmi intorno al dito, un filo che usciva dai miei pantaloni.
-Perché ero un bambino. Non sapevo cosa significasse amare qualcuno. Così mi sono preso del tempo e con tre anni, ho capito cosa voglio da te-. Portai una mano sul suo cuore.
-Questo-. Lei non rispose, mise semplicemente le mani dietro il mio collo. Io, portai le mie braccia sui suoi fianchi e mi avvicinai per baciarla. Questa volta, però, fu più lento e dolce. Non c'era violenza e dolore. C'era amore in questo bacio. C'era la voglia di appartenersi e per la prima volta, pensai che in fondo, l'amore, non era poi così male.
Tornai a casa con il sorriso stampato sul volto. Aprii la porta e sentii mia madre muoversi in cucina. La richiusi delicatamente alle mie spalle e poi con passo felpato, mi misi dietro di lei.
-Che c'è di buono?- dissi all'improvviso. Mamma saltò in aria e lanciò un grido. Si girò verso di me e mi iniziò a menare con il mestolo.
-Michael mi hai fatto prendere un colpo, potevo rimanerci secca- chiarì. Risi tantissimo e poi l'abbracciai. Sovrastavo mia madre con l'altezza, cosa che avevo ereditato da mio padre.
-Mi scusi signora Karen, non lo farò mai più- annunciai. Lei sciolse l'abbraccio e mi guardò, prima di regalarmi uno dei suoi migliori sorrisi.
-Ti ho cucinato la pasta, ora devo andare a lavoro-.
-Grazie, ci vediamo stasera- sussurrai dandole un dolce bacio sulla guancia.
-È la prima volta che ti vedo tornare così felice da scuola- affermò. Però non fece domande, semplicemente mi rivolse uno dei suoi sguardi da madre fiduciosa che le cose possano cambiare. Poi togliendosi il grembiule da cucina, se ne andò al piano superiore. Io presi il piatto di pasta, le posate ed un tovagliolo, poi mi misi seduto a tavola. Dopo cinque minuti mia madre fece la sua comparsa, mi rivolse un veloce saluto e afferrando la sua valigetta da lavoro, uscì. Fin ad un po' di tempo fa, amavo bearmi del silenzio che si creava in casa quando ero solo, eppure ora mi sembrava così triste. Finii di mangiare alla svelta, lavai le varie cose e tornai nella mia camera. Presi l'astuccio ed il quaderno di musica. Il professore ci aveva detto di scrivere la storia di qualche band importante, ed ovviamente, pensai subito ai Green Day. Scesi andando in salotto ed accesi la tv, per riempire di rumore la stanza. Ashton, in quel momento mi inviò un messaggio, tra poco sarebbe passato a casa mia. Iniziai a scrivere, felice di poter in poche righe, esprimere il mio amore per quella band. Ma proprio verso metà della loro storia, sentii bussare la porta. Mi affrettai ad aprire. E mentre stavo per sorridere e salutare Ashton, mi gelai sul posto.
-Che c'è, aspettavi uno dei tuoi nuovi amichetti?- chiese. Non era possibile. Mentre pensavo che quella giornata si stesse risolvendo, tutto cambiò in semplice gesti. Trovai la forza di rispondere solo quando capii che non mi stavo immaginando niente e che lui era veramente davanti a me.
-Calum-.
STAI LEGGENDO
Idiot.
Teen FictionQualcuno spinse la mia cartella a terra e uscirono tutti i fogli, la gente intorno a me iniziò a ridere. -Perché lo fanno? E soprattutto, perché non hai reagito?-. -Lo fanno perché da tre anni a questa parte sono la loro preda preferita e non posso...