A thousand years, Christina Perri

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La prima volta che aveva fatto l'amore con Machiko la ricordava bene. Era il primo Natale che passavano insieme come una vera coppia, e non come amici, anche se non era la prima volta che passeggiavano per la città da soli tra le luci e gli addobbi. Lui non aveva mai avuto grandi giri d'amicizia, troppo preso dai suoi allenamenti, e in quel periodo dell'anno si era sempre ritrovato solo così veniva invitato da Machiko a passare almeno il giorno di Natale insieme a lei e ai suoi amici. Da quando erano arrivati al Liceo e lui l'aveva spinta a cominciare a frequentare il corso di canto della scuola, la sua vita sociale era diventata decisamente migliore, incontrando quelli che sarebbero stati i membri della sua band. Capitava spesso, però, soprattutto gli ultimi due anni quando ormai era ovvio agli occhi di tutti -tranne ai loro- che tra loro due ci fosse qualcosa di più che semplice amicizia, che Yamada e gli altri con qualche scusa si disperdessero, lasciandoli sempre soli. A nessuno dei due era mai dispiaciuto e alla fine si erano sempre comportati come una coppia, anche senza saperlo. Ma quell'anno era stato diverso, c'era molto di più, e Yamada, Akane e gli altri erano stati lasciati indietro volutamente. Avevano girato per il centro mano nella mano, ammirando le luci natalizie e gli spettacoli che venivano allestiti per l'occasione. Si erano ritrovati sotto il grande albero in piazza, insieme a decine di altre coppie, si erano stretti l'uno all'altro e sorridendo avevano espresso il silenzioso desiderio di poter vivere tutti i Natali della loro vita in quel modo. Avevano condiviso una sciarpa quando si erano seduti sulla panchina, a mangiare i Taiyaki, e infine, nel silenzioso e più buio parco lì vicino, si erano baciati ancora e ancora, desiderosi che quella notte non finisse mai. Si erano scambiati i regali, avevano riso, scherzato e giocato, fino a quando il cielo nuvoloso non era esploso in una pioggia torrenziale. Machiko era stata previdente, il cielo era nuvoloso da quel pomeriggio, e per sicurezza aveva portato con sé un ombrello ma non aveva potuto fare niente contro un camioncino che passando rapidamente al loro fianco li aveva fatti travolgere da un'ondata provocata dalla pozzanghera. Completamente fradici e infreddoliti avevano cominciato a correre per strada, peggiorando la situazione e rendendo l'ombrello ancora più inutile. Il risultato era stato disastroso, con annesso qualche starnuto di troppo. Arrivati a casa di Machiko erano corsi immediatamente a cambiarsi e togliersi i vestiti bagnati di dosso, appendendoli sopra alla stufa accesa. Erano soli, per quella sera: i nonni di Machiko, con cui abitava, avevano organizzato un romantico week end fuori città in occasione del Natale, consapevoli che tanto lei sapeva benissimo badare a se stessa. Suo fratello piccolo invece aveva preferito starsene con loro padre e la sua nuova compagna, e così lei era rimasta sola a Tokyo. Si erano seduti di fronte alla stufa, stretti in una coperta, ad osservare i propri vestiti sgocciolare e vaporizzare lentamente, tremanti per la quantità incredibile di freddo che avevano preso. Ricordava come lei si fosse tanto dispiaciuta per la serata rovinata e quanto si fosse intenerito nel vedere il suo volto imbronciato. Ricordava di averle accarezzato una guancia, di averle dato un bacio sulla fronte per tranquillizzarla e di come infine avessero incrociato le loro dita. Gli sguardi persi gli uni negli altri, le mani che giocherellavano tra loro, accarezzandosi, toccandosi, incrociandosi e studiandosi come se avessero voluto imparare a memoria ogni singola piega della loro pelle. Si erano baciati di nuovo, ma era stato qualcosa di totalmente diverso da tutte le altre volte, era stato qualcosa in grado di incendiarli dentro e lì, stesi su quel pavimento, su quella misera coperta e scaldati dalla sola stufa al loro fianco, ignorando il freddo che li faceva ancora tremare, avevano fatto l'amore la prima volta. Ricordava come solo dopo fosse stato travolto dai dubbi e dalle incertezze, non su quanto successo, ma su di lei e su come l'avesse vissuta, se non fosse stato l'unico che magari lo avesse desiderato e ne fosse uscito soddisfatto, sul fatto che forse non fosse stato proprio un gentiluomo nel saltarle addosso in un momento come quello, approfittando del fatto che avessero la casa per sé. Le aveva timidamente chiesto se stesse bene, non sapendo che altre parole usare per riuscire ad indagare il suo stato d'animo, se fosse felice di quanto fosse successo o se si fosse sentita in qualche modo violata. E lei aveva risposto scoppiando a ridere e dandogli dell'imbranato.
Venticinque anni dopo quel giorno, ebbe di nuovo la sensazione di sentirla, quella risata cristallina. Si trovava di fronte alla porta della sua stanza d'albergo insieme a lei, dopo averla riaccompagnata dal quel pomeriggio alla spiaggia, per permetterle di lavarsi e cambiarsi. Machiko aveva finalmente accettato di andare a cena con lui, per recuperare la serata precedente, e si sarebbero ritrovati qualche ora dopo di nuovo alla hall. Guardò la donna mentre apriva la camera ed esitava appena, prima di entrare. Si voltò nuovamente verso di lui: lo sguardo sicuro, sereno, così tipico di lei, ma incapace di nascondere quel recondito desiderio inespresso. Avrebbe tanto voluto che anche lui entrasse, avrebbe tanto voluto averlo per sé, addosso, sulla pelle. Lo sapeva, l'imbarazzo della situazione lo evidenziava in ogni modo, quella serata si sarebbe potuta concludere diversamente e da adulti com'erano ora risultava tutto anche più naturale e meno imbarazzante. Ma lui aveva detto che non poteva, giusto la sera prima, lei lo ricordava. Non sapeva il motivo, non sapeva del suo timore nel non riuscire a tenere la forma adeguata per tutta la durata del tempo, non sapeva della paura che provava all'idea che avesse potuto rifiutarlo, trovarlo ripugnante, eppure quel semplice "non posso" parve bastare. Non accennò alla faccenda, ma si limitò a salutarlo con un divertito: «Allora a più tardi».
A distanza di venticinque anni, la sentì quella risata che gli dava dell'imbranato. Era così che lo considerava, un imbranato che per chissà quale motivo, forse qualche ragione morale, si comportava nei confronti del sesso ancora come il ragazzino che era stato quella prima volta. Come se non ci fossero state altre decine di volte successive, fino a quei ventitré anni che l'avevano portata via. Lo vedeva ancora in quel modo e aveva perfettamente ragione. Ma non poteva rivelarle la verità, non poteva.
Annuì e fece un passo indietro: «A dopo» disse e si affrettò ad allontanarsi lungo il corridoio, fintanto che la ragione avesse continuato a prevalere. Eppure, nonostante tutto, lei era sempre così sorridente, disposta ad accettare ogni bugia, disposta a credergli. Cominciò a sentirsi sporco: come poteva ingannarla in quel modo? Come poteva approfittare così della sua ingenuità e della fiducia che riponeva in lui? Ma come avrebbe potuto mantenere la promessa di renderla felice, in quella settimana, se le avesse rivelato tutto? Desiderava così tanto vivere dei bei momenti insieme al Toshinori che aveva conosciuto venti anni addietro, come poteva negarglielo spiattellandole davanti la sua ormai vera forma, urlandole contro che quel Toshinori era ormai morto e che non ne restava altro che un cadavere ambulante?
«Perdonami, Macchan» mormorò tra sé e sé, ormai fuori dall'albergo. Avrebbe continuato a mentirle, una bugia a fin di bene, solo per poterle donare ciò di cui aveva bisogno e vedere di nuovo quel meraviglioso sorriso sbocciare sul suo viso. Non desiderava altro, se non quello. Strinse i pugni, più deciso che mai: quella sarebbe stata l'ennesima sfida a cui si sarebbe sottoposto, deciso ad andare oltre ogni capacità. La felicità di Machiko non meritava meno impegno di quello che metteva nel combattere i malvagi, di quello che metteva per salvare il mondo. Non sarebbe stato giusto impegnarsi meno, visto la promessa che aveva appena fatto. Si sarebbe spinto oltre il proprio limite e le avrebbe regalato una settimana indimenticabile, cancellando definitivamente il ricordo di quell'orribile giorno, quando non era riuscito a udire la sua voce che chiamava il suo aiuto. Il giorno che aveva lasciato andare la sua mano, che le aveva permesso di cadere, tradendo del tutto la sua fiducia. Solo pensare che per colpa di quel suo errore aveva rischiato di ucciderla, che l'aveva persa per sempre, gli faceva salire dentro una tale rabbia. Si sarebbe preso a pugni da solo, se necessario, ma il destino gli stava dando una seconda possibilità. Avrebbe fatto qualunque cosa.
Anche ingoiare quel terribile dolore, tenere per sé quell'orribile debolezza, dandole solo ciò che meritava: il meglio di sé.
Non le avrebbe rivelato la verità. Non l'avrebbe mai fatto e avrebbe per sempre lasciato nella sua mente il ricordo di un affabile, divertente, amorevole e degno di fiducia Toshinori.
In fondo, tra i due, l'eroe era lui...


Erano ormai le otto passate quando Toshinori bussò nuovamente alla porta di Machiko. Si guardò attorno timoroso, allentò appena il nodo alla cravatta e si schiarì la voce, cercando di assumere una posizione quantomeno dignitosa. Machiko aprì poco dopo, guardandolo dubbiosa, le sopracciglia corrucciate e le scarpe ancora in mano.
«Cinque minuti di ritardo e vieni già a mettermi fretta? Hai la pazienza di un poppante, lo sai?» lo brontolò, contrariata.
«Non è per questo» mormorò lui, imbarazzato. Si guardò nuovamente attorno, poi frettolosamente spintonò di nuovo Machiko all'interno della stanza, entrando a sua volta. Si richiuse la porta alle spalle e ci si poggiò, tirando un sospiro di sollievo.
«Ma, ehi! Che ti prende?» lamentò lei, rivolgendogli la peggiore delle occhiatacce. Spingerla era stato ancora meno carino del venire a bussare alla sua porta solo perché aveva tardato cinque minuti. In fondo erano tornati tardi dalla spiaggia, cosa pretendeva?
«Scusami, finisci pure di vestirti. Io ti aspetto qui» disse lui, nervoso, senza muoversi dalla porta. Machiko si avvicinò al letto, ci si sedette sopra e si infilò la prima scarpa.
«Puoi almeno spiegarmi che succede?» chiese, contrariata ma meno irritata avendo per lo meno capito che il suo ritardo non c'entrava.
«Giù ci sono dei giornalisti» spiegò lui brevemente, rivelando dall'espressione che la cosa dovesse avergli recato parecchio disagio.
«C'erano anche ieri e poi, scusa, non sei abituato?» chiese lei, finendo di legare i laccetti della prima scarpa e passando alla seconda.
«Sì, ma stasera sono di più. E di solito non mi dispiace rispondere a qualche domanda, fa parte del mio lavoro, ma questi hanno cominciato a chiedere cose su di noi e...»
«E te la sei fatta sotto, ho capito» concluse lei con leggerezza. Toshinori lasciò cadere la testa in avanti e si limitò a sospirare affranto, ammettendo indirettamente che avesse ragione la donna. «La voce si è sparsa velocemente, allora».
«I ragazzi della Yuuei ci hanno visti sul tetto, ieri i giornalisti, poi la scenata al ristorante e secondo me anche oggi in spiaggia dev'essere passato qualche curioso» riflettè lui, dando una spiegazione a tutto quel vociare.
«Difficile avere una vita privata quando si è un personaggio di fama mondiale, vero?» disse lei, ridendo sotto i baffi per il modo in cui la cosa sembrava dargli particolarmente fastidio. Non era abituato a stare al centro dei pettegolezzi, era ovvio, le sue comparse nei notiziari si erano sempre limitate alla grandezza delle sue eroiche azioni, non aveva idea di com'era gestire le voci sul proprio conto. Non che a lei facessero piacere, ma gliene erano successe molte di più, anche di più gravi, ormai aveva imparato a ignorarli e lasciarli parlare. Tanto non appena lei fosse tornata in America tutto si sarebbe disciolto come sale in acqua nel giro di qualche mese.
«Se solo non avessi la licenza sospesa momentaneamente in attesa di giudizio, potrei usare il mio Quirk per far fare a tutti un bel dietro front» disse con un occhiolino malizioso.
«Macchan!» sobbalzò lui, contrariato. Le puntò una delle sue grossa dita contro e si piantò un pugno al fianco, assumendo una posizione autoritaria: «Non è così che ci si comporta! L'uso improprio del tuo Quirk è ciò che ti ha cacciato nei guai, non hai ancora imparato niente? E pensare che ho sempre fatto di tutto per fartelo capire, sei proprio cocciuta» sospirò lui, portandosi la mano alla testa con aria affranta. Machiko ridacchiò divertita, rivelando che sotto sotto izzare quella reazione da paparino premuroso e brontolone era ciò che desiderava. In ricordo dei vecchi tempi, quando non faceva che sgridarla come fosse suo padre per il modo in cui usava il proprio Quirk e se la prendeva con gli altri. Non era cambiato affatto e la cosa la rincuorava.
«Sto scherzando» confessò, avvicinandosi a un mobiletto di fianco alla televisione. Ne aprì uno stipetto e infine tirò fuori una bottiglia di vino ancora chiusa, prima di proporgli: «Se la cosa ti crea tanto disagio possiamo sempre avvalerci del servizio in camera. Non ne sottovalutare la potenza, è un grande alleato di noi vip» disse con un occhiolino e mosse appena la bottiglia, mostrandone il contenuto.
«Vorresti mangiare qui?» chiese lui lievemente turbato, guardandosi attorno. Il letto dove dormiva la notte era ancora sfatto, la vestaglia buttata ai piedi di questo, un paio di cianfrusaglie sul comodino, creme e trucchi sul comò alla sinistra del letto, ciabatte e scarpe sparse in giro e infine il vapore che ancora usciva dal bagno, ad indicargli da quanto poco tempo fosse uscita dalla doccia. Il disordine era intollerabile, ma passava in secondo piano di fronte a tutti quei segnali che indicavano l'intimità della donna. Ogni cosa lì dentro profumava di lei, ne sarebbe uscito ubriaco.
«Ho un tavolo, tranquillo non dovrai mangiare per terra» lo rassicurò lei, notando il suo disagio. «Con a fianco un'enorme finestra e un bellissimo panorama!» disse aprendo la tenda e mostrando la città all'esterno. Erano alti abbastanza da riuscire a vedere gran parte di Tokyo e a quell'ora di sera tutte quelle luci erano magiche abbastanza da creare l'atmosfera ideale.
«O se preferisci possiamo scendere e affrontare la mandria imbufalita da qui fino a stasera quando mi riporterai in camera mia».
«Preferisco stare qui!» rispose istintivamente, tremando all'idea di tornare giù da tutte quelle persone che ponevano domande così scomode e imbarazzanti.
Machiko ridacchiò divertita e gli porse la bottiglia di vino: «Tieni, comincia ad aprirla, io chiamo George sotto».
«Si chiama George anche lui?» chiese Toshinori, ricordandosi di come avesse chiamato con lo stesso nome anche il giornalista la sera prima.
«Nah, non credo. Ma non ricordo il suo nome e George mi piace» rispose lei, componendo il numero al telefono poggiato sul suo comodino. «Trovi l'apribottiglie nel cassetto!» disse indicando il mobile dove aveva preso il vino. «Ti va del sushi?» gli chiese mentre Toshinori armeggiava con la bottiglia.
«Preparano il sushi?» chiese Toshinori dubbioso e sorpreso.
«Sushi, Ramen e zuppa di Miso! Ho proprio voglia dei sapori classici di casa mia, in America sono abituata ormai a mangiare altro» disse lei, entusiasmandosi come una ragazzina al parco giochi. Toshinori la guardò intenerito, prima di decidere di darle corda ed aggiungere: «Katsudon, pesce alla griglia e tempura di gamberi!»
«Oh! Sì! George!» rispose al telefono. «Sono Nina, dalla stanza settecentodieci, vorremmo il servizio in camera, sono con un ospite» e cominciò ad ordinare tutto ciò che le passava per la testa e che richiamasse i sapori del giappone. Cibi talmente classici, quasi casalinghi, che per un attimo il ristoratore storse il naso ma infine decise di accontentare il capriccio del suo prezioso ospite.
«Tra non molto ci porta tutto, nel frattempo» disse prendendo uno dei due bicchieri che Toshinori aveva riempito. «Brindiamo!»
Fu un lungo brindisi, condito di vecchi ricordi, aneddoti e risate. Parlarono, raccontandosi tutto ciò che gli passava per la testa, dai loro momenti insieme, a quelli che invece avevano passato lontani l'uno dall'altro. Parlarono senza paure, senza timori o dubbi, parlarono come non parlavano da tempo, canzonandosi ma anche elogiandosi, confessandosi, aprendosi finalmente l'uno all'altro. Riempirono quella stanza di tutti quei sorrisi che tanto avevano amato in passato, la riempirono tanto che a un certo punto sembrò non ce ne stessero più e perfino dal corridoio si cominciò a sentire la risonanza delle loro voci che ormai prive di spazio uscivano, in cerca di un altro posto da illuminare con tutte quelle risa e quei racconti.
Quando il cameriere portò loro l'ordinazione, la bottiglia di vino era praticamente quasi vuota e sul viso di entrambi era possibile scorgere il lieve rossore che l'alcol aveva il potere di dare.
«Accidenti, avremmo almeno dovuto mangiare qualcosa» lamentò Toshinori, portandosi una mano alla testa.
«Tranquillo, il letto è grande. Puoi dormire qui se non credi di farcela» disse lei con leggerezza, senza forse rendersi nemmeno conto di cosa avesse appena proposto all'uomo. Si alzò ed andò ad aprire la porta, permettendo così al cameriere di entrare con il carrellino. Lo lasciò vicino al tavolo, apparecchiò e con un inchino educato si congedò, lasciandoli di nuovo soli in una stanza che ora era pregna di quei buon profumi che venivano dai vassoi.
«Mamma mia, che fame!» si esaltò Machiko, alzando il primo coperchio. Afferrò le bacchette e senza aspettare oltre prese uno dei pesci alla griglia poggiati nel piatto. Toshinori non si fece pregare e la seguì all'istante, cominciando a mangiare tutto quello che gli era stato portato. Il silenzio calò tra loro, troppo concentrati a riempirsi le pance piene di alcol e vuote di cibo, forse proprio per questo più affamate del solito. Si guardarono dopo pochi minuti, quando ormai la fame stava cominciando a venir placata, e rendendosi conto del religioso silenzio in cui erano caduti, scoppiarono entrambi a ridere. Era da così tanto tempo che non si sentivano bene come in quel momento, liberi di ridere anche per cose come la propria fame. E decisero di non smettere, decisero di goderne fintanto che il tempo gliene dava la possibilità, facendo un enorme salto indietro quando erano due semplici amici d'infanzia che scoprivano per la prima volta d'amarsi a vicenda.
«È tutto delizioso» commentò lui, portandosi alla bocca un'altra bacchettata di riso e verdure.
«Toshi-chan! Assaggia la tempura!» esordì lei, prendendo un gambero fritto e allungandosi per farglielo mangiare. Toshinori la guardò qualche istante, mentre nel petto si allargava una piacevole sensazione di calore.
"Toshi-chan", da quant'era che non si sentiva chiamare in quel modo. Accettò il bocconcino che la ragazza gli offrì, tenendo gli occhi puntati su di lei, perdendosi ancora una volta in un ricordo, quando nei loro freschi vent'anni Machiko nei loro momenti da soli si divertiva ad imboccarlo. Era di una bellezza inesprimibile quella sera, lei e quel benedetto sorriso. Masticò lentamente, senza riuscire a togliere gli occhi su quanto avesse di fronte, i suoi capelli leggermente ondulati sul viso, il trucco che le risaltava le labbra, rendendo ancora più grande quel sorriso di cui non poteva farne a meno. Il vestito che la fasciava con dolcezza lasciava scoperte le gambe, accavallate l'una sull'altra, e perfino gli stivaletti con quell'enorme tacco la rendevano più bella del solito, slanciandola, mettendone in risalto i polpacci. Voleva accarezzarla, stringerla, far scivolare le dita lungo tutta l'esile figura, disegnandone le curve. Voleva accarezzarle la schiena, immergere le dita nei suoi capelli, sentire l'odore della sua pelle.
«È buono, vero?» chiese lei, ignara di quanto stesse succedendo nel petto dell'uomo, ostinandosi a sorridere in quel modo così genuino, così aggraziato, peggiorando la situazione ogni secondo di più. Come poteva splendere a tal punto? Come riusciva ad accecarlo di ogni altra cosa con una tale maestria? Come riusciva a non rendersi conto di quanto fosse stupenda? Come poteva non capire che andandosene, vent'anni addietro, aveva sì permesso ad All Might di nascere definitivamente ma al caro prezzo della vita di Toshinori? Come poteva non capire quanto l'avesse distrutto tornare al ristorante, quella notte, e trovarlo svuotato, sommerso di macerie? Quanto l'avesse distrutto chiamare il suo nome, vagando tra i sopravvissuti, con le lacrime agli occhi e non sentirla rispondere? L'aveva creduta persa per sempre, ma poi aveva sentito quel messaggio in segreteria.
"Abbi cura di te, All Might"
«Toshi-chan?» chiese Machiko, rendendosi finalmente conto di quanto si fosse rabbuiato all'improvviso. Il sorriso sul viso sembrava essersi spento, gli occhi persi in qualcosa di tanto immenso quanto terrificante, la ruga sulla sua fronte a segnalare che stesse pensando troppo. Perché non rispondeva?
«Macchan» disse finalmente, in un sussurro lamentoso, come fosse stato il suo ultimo respiro, e si lanciò in avanti, verso il suo viso. Immerse finalmente le dita tra i suoi capelli, afferrandola per la nuca e si appropriò delle sue labbra quasi con violenza. Doveva averle, doveva averla, non poteva guardarla da così vicino e non tentare di allungarsi per riappropriarsene. Non dopo quello che c'era stato, non dopo averla vista fuggire via in quel modo, scivolando via dalle sue dita senza che neanche potesse prima rendersene conto. Poteva essere anche l'uomo con il senso della giustizia più forte, l'uomo più forte e giusto che esistesse al mondo, ma era profondamente egoista, Machiko lo sapeva. E il suo egoismo ora gli urlava di riprenderla, che la voleva ad ogni costo, oltre ogni limite. Schiuse le labbra ed incontrò la sua lingua, che scoprì essere altrettanto decisa a lasciarsi andare ad un primitivo egoismo. Un egoismo che era rimasto soffocato troppo a lungo e che ora sembrava deciso ad esplodere, senza trattenersi, travolgendoli tanto da offuscare tutte le ragioni del mondo.
Lo prese per il nodo della cravatta, tirandoselo contro. Toshinori cominciò ad alzarsi, portando con sé Machiko, senza lasciar andare la sua bocca. Doveva sentirne il sapore fino alla fine, non l'avrebbe lasciata andare neanche per prendere fiato, deciso ad andare oltre ogni cosa, oltre ogni limite. La prese per le gambe e sollevandola da terra se le portò intorno alla vita, facendo in modo che restasse aggrappata a lui, e così tenendola raggiunse rapidamente il letto. Ci lasciò cadere sopra Machiko, per poi raggiungerla più lentamente, facendo ben attenzione a non schiacciarla con il suo peso. Machiko cominciò a sciogliergli la cravatta e senza aspettare che fosse del tutto aperta iniziò poi a sbottonargli la camicia.
"La cicatrice!" un attimo di lucidità e con uno scatto le bloccò la mano, facendola per un attimo sussultare. Dove aveva sbagliato? Non rispose a quella domanda, tornando a baciarla e incrociò le dita della mano afferrata, bloccandola contro il materasso. Non doveva vederla! Tutto, poteva sopportare ogni cosa, ma non che scoprisse il suo segreto. Avrebbe resistito, oltre il proprio limite, poteva farcela, non avrebbe perso la concentrazione e sarebbe rimasto in quella forma fino alla fine ma non avrebbe saputo giustificare quell'enorme cicatrice sul fianco. Non doveva vederla, anche a costo di risultare poco garbato e poco romantico. Machiko portò la mano destra, libera, sul suo collo ora scoperto. Lo accarezzò, arrivando fino dove gli era concesso, per quel poco che lui le aveva permesso di sbottonare. Non le fu difficile capire che quel gesto non era dettato dal solo desiderio di stringerle la mano. Lui l'aveva bloccata troppo violentemente e qualsiasi fosse il motivo, si trovava sotto quella camicia che, sentiva, avrebbe tenuto su per tutto il tempo. Aveva deciso che si sarebbe presa una sola settimana, il respiro di un sogno, poi tutto sarebbe finito. Indagare sui segreti dell'uomo non rientrava nei suoi piani, desiderava solo goderne fino in fondo, accontentandosi di ciò che le era concesso. Perciò lasciò la camicia esattamente com'era e tornò a concentrarsi solo sulle sensazioni che averlo addosso le provocava, solo su quelle, fin dove lui le avrebbe concesso. Sentì la sua mano percorrerle la gamba e ne rabbrividì, lasciandosi sfuggire un lamento dalla gola nell'istante in cui arrivò al bordo del vestito. Esitò, stava tremando, lo sentiva chiaramente. Machiko posò la propria mano su quella di Toshinori e con delicatezza lo guidò oltre il confine dell'abito, aiutandolo in quel gesto che pareva terrorizzarlo a tal punto. Il fiato le mancò in gola, quando insieme raggiunsero il lembo dei suoi slip. Con delicatezza Toshinori ci infilò un dito e le tirò verso il basso, sfilandoglieli. Si fermò qualche secondo, staccandosi per la prima volta dalle sue labbra, e si prese qualche secondo per guardarla negli occhi. Doveva avere la certezza assoluta che quanto stava succedendo non l'avrebbe ferita in nessun modo, doveva avere la certezza assoluta che a lei andasse bene così come sarebbe stato. L'emozione di una notte, fugace, mossa solo da primitivi desideri, che anche se fosse riuscito a ripeterla nei giorni successivi poi sarebbe rimasta per sempre in quell'albergo. Quando sarebbe ripartita, tutto sarebbe tornato alla normalità. Le andava bene? Lei stava bene?
La sentì, quella risata che gli dava dell'imbranato. La risata che lei gli aveva dedicato la loro prima volta e che più se l'era tolta dalla testa. Gliela lesse negli occhi un istante prima che lei lo tirasse nuovamente contro le proprie labbra. Non importava di ciò che sarebbe successo dopo, lei voleva solo viverlo quel sogno. Fino in fondo. Portò le proprie mani alla cintura dell'uomo, cominciando ad aprirla. Lo sentì chiaramente il rigonfiamento all'interno dei suoi pantaloni, che premeva a tal punto da rendere addirittura difficoltosa la svestizione. La sfiorò volutamente, intimorita, ma accecata da quel desiderio che ora non avrebbe tenuto più per sé. Lo sentì irrigidirsi, sospirare e scommetté che le lenzuola sembrassero più tese sotto di lei per il semplice motivo che lui le stava stringendo tra le dita con tutta la forza che aveva. Tornò a concentrarsi sul bottone dei suoi pantaloni e si affrettò a liberarlo completamente. Afferrò pantaloni e boxer in un'unica volta e li abbassò, aiutata da Toshinori stesso. Lui le sollevò completamente il vestito, fino al ventre, permettendole così di fargli spazio tra le proprie gambe. Avvicinò il proprio bacino a quello della donna, arrivando fino a sfiorarla, ma non riuscì a compiere quel decisivo passo. Colto da un timore che gli chiudeva la gola, cominciò a tremare come una foglia. Se quell'incubo si fosse avverato? Se lui davvero fosse tornato a quell'orribile forma nel momento peggiore? E Machiko... la sua meravigliosa Machiko continuava ad accettare tutte quelle bugie, ad accettare di far l'amore insieme per la prima volta dopo vent'anni vestiti se non per lo stretto necessario, per colpa della sua maledetta cicatrice. Ma lei lo accettava, continuava a perdonarlo, a perdonare ogni suo errore, ogni suo egoismo, ogni suo segreto... perché lo faceva? Perché era così perfetta? Perché non capiva quanto di meglio meritasse che uno storpio bugiardo che non aveva fatto altro che usarla come fonte di benessere? E continuava a farlo. Continuava a dargli tutto ciò che desiderava, accettando le sue bugie.
«Toshi-chan» mormorò lei, sentendolo tremare tanto da lamentarsi. «Pensare troppo ti fa venire le rughe».
«Ti amo ancora, Macchan» sussurrò, incassando il volto sul suo collo. Era così dannatamente vero, così dannatamente liberatorio, così dannatamente spaventoso che da tutto quello nacquero le lacrime che si sforzò di nascondere sulla sua profumata pelle. Avevano lo stesso amaro sapore di quella notte, quando aveva sentito per l'ultima volta la sua voce alla segreteria.
«Stupido imbranato piagnucolone» disse Machiko con tono amorevole, dopo qualche secondo di silenzio per riuscire a metabolizzare quanto gli era stato appena detto.
Gli posò una delicata mano dietro la nuca, accarezzandolo con dolcezza. Avvolse delicatamente le proprie gambe intorno ai glutei dell'uomo, sapendo che se non avesse ancora una volta preso le redini della situazione non ne sarebbe uscito dignitosamente. Aveva bisogno di sicurezza, come sempre, quella sicurezza che ostentava ma che non aveva quasi mai e allora attingeva a quella di Machiko.
«Che ne sarebbe della tua reputazione se si venisse a scoprire che prima di far l'amore con una donna ti metti a piangere come un moccioso, eh? Superhero» lo canzonò, sollevandogli il viso per poter di nuovo incrociare il suo sguardo.
«Perdonami, ti prego» mormorò lui. Una richiesta che andava ben oltre quella sera, una richiesta che andava oltre a tutte le sere di quei vent'anni che erano stati lontani e che passava oltre, raggiungendo tutte le sere che ne sarebbero seguite perché lui avrebbe continuato a mentirle.
«Chiudi il becco» sussurrò lei, un istante prima di spingersi e andare a ritrovare le sue labbra. Con le gambe riuscì a tirarselo contro, dandogli quella sicurezza che gli era mancata, facendo lei per l'ennesima volta il passo decisivo. E ormai toccandosi, umidità contro umidità, calore contro calore, Toshinori fece quell'ultimo passo varcando quella soglia che per anni era stata sua ma che ora sentiva di non meritare più. I successivi minuti furono completamente avvolti nella nebbia, in una piacevole nebbia che accecava, che inebriava. Il fuoco, quelle travolgenti sensazioni che nascevano dal bacino e risalivano fino al petto, incendiava tanto che per poco non fece male.
"Abbi cura di te, All Might".
Faceva così male, aveva fatto così male. Quell'addio inespresso, la consapevolezza che quelle sarebbero state le sue ultime parole, il terrore nel non trovarla tra le macerie. L'aveva quasi uccisa, l'aveva lasciata morire, non aveva sentito la sua voce nel coro di chi chiamava All Might, travolto e accecato da tutto quell'egoismo. Non era riuscito a sentirla, perché diamine non era riuscito a sentirla?
Strinse le lenzuola tra le dita tanto da strapparle, mentre continuava a muoversi dentro di lei, inebriato, ubriacato, completamente sopraffatto da quel suo intenso profumo. La sentì muoversi, sotto di sé, inarcare la schiena, assecondare i suoi movimenti, sentì la sua voce che vicino al suo orecchio si lasciava andare a piacevoli lamenti.
"Abbi cura di te, All Might".
Il dolore aumentava man mano che il fuoco si impossessava dei suoi muscoli, ma cominciava a riconoscerlo quel dolore. Era la sua maledizione, partiva dalla cicatrice al fianco e lo ricopriva completamente, bruciando ogni singolo muscolo. Strinse i denti e tornò a schiacciare il volto contro il collo di Machiko. Non doveva cedere a quel dolore, non doveva rovinare tutto per l'ennesima volta. Sarebbe morto piuttosto che ferirla ancora, piuttosto che deluderla ancora.
"Abbi cura di te, All Might".
Ancora un altro ansimo, a sfiorargli l'orecchio, aumentando quella sensazione di follia contro cui stava lottando disperatamente. Quella voce, la sua voce, non aveva poi fatto altro che sentirla alla radio o alla televisione. Elettronica, così poco naturale, così poco sua, così lontana... mentre ora riusciva a tenerla vicino al proprio orecchio, a sentirne ogni sfumatura, non perderne neanche una nota. Quell'addio era riuscito a spazzarlo via. Quell'addio così freddo, che chiamava in causa il suo nuovo sé e non il Toshinori di cui era innamorata. Aveva parlato al freddo, assente All Might, consapevole che Toshinori non c'era più. Perché se ci fosse stato... l'avrebbe sentita ancora, la sua voce, che chiamava aiuto. Era stato All Might a non sentirla, Toshinori ci era sempre riuscito, fin dalla prima media. La colpa era solo sua, e lei continuava a perdonarlo. Perché?
«Ti amo ancora, Toshinori» confessò e fu quello l'istante in cui il calore al petto riuscì a sconfiggere il bruciore della cicatrice. Un altro infinito bacio, le dita tra i suoi capelli, i propri corpi che si muovevano ritmicamente, completandosi, il desiderio di non separarsi mai più, di sentirsi per sempre integri. L'orgasmo era stato talmente accecante che quando Toshinori aveva riaperto gli occhi aveva temuto di aver realizzato il suo incubo ed essere diventato quel mostro scheletrico che cominciava a detestare più di ogni altra cosa. Si guardò le mani, le braccia, e quando vide che era riuscito a mantenerla quella promessa tenendo nascosta a Machiko la verità si sentì tanto sollevato che per poco non si sarebbe messo a piangere di nuovo. Guardò il volto di Machiko sotto di sé, gli occhi socchiusi, rilassata, ma ancora incapace di smettere di guardarlo. Si sollevò, sfiorò nuovamente le sue labbra e infine si ammorbidì sul materasso.
«Se solo esistesse un modo per sognare per sempre» mormorò, ormai a occhi chiusi. Toshinori la guardò per qualche secondo, incantato dalla sua bellezza, incapace di liberarsi di quel dolore che la consapevolezza di averle mentito gli chiudeva la gola, ma cosciente del fatto che quel desiderio, di poter sognare per sempre, cominciava ad averlo anche lui. Le accarezzò il viso, scostandole una ciocca di capelli e la guardò mentre rapidamente cadeva addormentata, forse per l'alcol, forse per l'abbondante cena o per il rilassamento dopo l'amplesso. Era stata incredibilmente veloce e questo gli riportò alla mente tutte le volte che avevano fatto l'amore, precedentemente: era un punto fisso della loro relazione, che lei fosse la prima ad addormentarsi, e lui puntualmente passava la successiva mezz'ora ad ascoltare il rumore del suo respiro, prima di lasciarsi andare al sonno, imitandola. Lo faceva un tempo, ma non quella volta. Quella sera aveva una scadenza da rispettare... l'orologio che batteva l'ennesimo "tic" a ricordargli quanto poco tempo gli fosse ancora concesso.
Si sollevò, si diede una veloce ripulita e si richiuse i pantaloni. Si chinò su Machiko e senza svegliarla, con delicatezza, la mosse in modo che fosse comoda sul letto e infine la coprì. Un colpo di tosse lo tradì e pregò che questo non la svegliasse, cosa che per fortuna non avvenne. Si tolse la mano dalla bocca e diede una rapida occhiata, già sapendo cosa ci avrebbe trovato: sangue. Era al limite.
«Merda» sussurrò, ripulendosi rapidamente con un fazzoletto. Con altrettanta rapidità si riabbottonò la camicia, si tolse la cravatta ormai inutile e prese la giacca dalla sedia. Un ultimo sguardo al raggio di sole che dormiva nel letto, prima di uscire portandosi dietro almeno un centinaio di sensi di colpa.


La mattina dopo Machiko si svegliò confusa: quando si era addormentata? Ricordava ogni cosa, non si era ubriacata a tal punto. La ricordava eccome, la serata più bella che avesse passato negli ultimi vent'anni. La cena, le risate, quelle liberatorie risate e poi il suo sapore. Ricordava perfino quelle stupide dichiarazioni che si erano fatte: stupide perché come le avrebbero giustificate adesso? Come se ne sarebbero liberati una settimana avanti, quando lei avrebbe ripreso quell'aereo? Tirò su le gambe, avvolgendole in un abbraccio. Era stato tutto bello, fino a quel risveglio, sola e abbandonata. C'era stato un tempo in cui Toshinori restava con lei, ad abbracciarla, anche a costo di prenderle da suo padre, pur di non permetterle di risvegliarsi da sola. Ricordava le notti in cui di nascosto si infiltrava nella sua stanza, passando dalla finestra, si infilava nel suo letto e lì restava, a dormire, avvolgendola fino al mattino. Solo perché lei magari gli scriveva nel cuore della notte che aveva fatto un brutto sogno.
Perché invece quella mattina era così sola? Sentiva un gran freddo. C'era stato un momento, la sera prima, che segretamente e stupidamente aveva pensato che tutto sarebbe potuto tornare al passato. Che indipendentemente da come erano andate le cose, loro sarebbero potuti tornare ad abbracciarsi. Era stato stupido, un pensiero infantile, Toshinori glielo aveva rammentato sparendo la sera prima durante il suo sonno, permettendole di svegliarsi sola e disordinata. Si voltò e guardare lo spazio vuoto al suo fianco, vuoto come il sentimento che provava in quel momento nel petto. Era stato solo un sogno, un bellissimo e consapevole sogno, tutto sarebbe finito nel giro di una settimana. Doveva metterselo in testa, non ci sarebbe stato "ti amo" che avesse retto. Era solo un sogno.
Poggiò il palmo della mano sul materasso al suo fianco, accarezzandone la superficie, in una primitiva speranza di poter sentire il suo calore, il suo profumo indirettamente. Il lenzuolo venne spostato di un paio di centimetri e fu allora che lo vide, piccolo ma indelebile, ormai secco sul bianco della biancheria pulita: «Sangue?»


How to be brave?
How can I love when I'm afraid to fall?
But watching you stand alone
All of my doubt, suddenly goes away somehow
One step closer...
I have died everyday, waiting for you
Darling, don't be afraid, I have loved you for a thousand years
I'll love you for a thousand more



Nda.

Eeee finalmente una gioia! xD dai su... la tensione sessuale era palpabile ormai da un paio di capitoli, prima o poi ci sarebbero cascati u.u
MA.... Toshinori si ostina a non volerle rivelare di aver perso parte dei suoi poteri, convincendosi che lo fa per lei ma ritrovandosi ogni tanto a spaventarsi al pensiero che possa trovarlo ripugnante e debole.
Visto che questo nda saranno più brevi rispetto alle solite, questa volta vi regalo un piccolo spoiler per il prossimo capitolo. E non è uno spoiler qualunque, vi avverto :P

«Quell'idiota di Deku» mormorò lei, pensierosa, sedendosi a terra al suo fianco. «Non ti sta molto simpatico, vero?»
«È un nerd di merda! Di merda!» ribadì, continuando a tirar pugni per terra, ormai in preda alle lacrime. No, decisamente non gli stava simpatico. Nina si tolse la giacca di dosso e la lasciò cadere sopra la testa di Bakugou, nascondendogli il volto rigato di lacrime, proteggendolo da quell'umiliazione.
E infine confesso: «Nemmeno a me».

Puppeteer || All Might X OC || Toshinori YagiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora