Gay, io sono gay!

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-Allora...- inizio arricciando le labbra e congiungendo le mani, tenendo le braccia dritte mentre dondolo sui piedi.
Perdo del tutto il mio atteggiamento formale, quello che non ho mai avuto.
- io direi che possiamo tranquillamente fare finta che negli ultimi cinque minuti non sia accaduto nulla!- alzo di scatto lo sguardo sorridendo, probabilmente, in modo isterico.
Emette uno sbuffo che, come al solito, non sono capace di interpretare.
Che qualcuno mi regali un dizionario per comprendere gli sbuffi di quest'uomo.
Cala un silenzio imbarazzante nel quale io mi guardo le scarpe, da quando c'è una macchia di gelato al cioccolato sulla scarpa sinistra?!
Lui si limita a guardarmi.
Devo ammettere che è inquietante, altro che soggezione, questo mi sta guardando come io guardo il mio cibo prima di mangiarlo.
- Non sapevo che avessi un tasto di spegnimento...- mi lascio scappare. Ho dei neuroni? Forse è il caso che io cominci ad usarli.
Continua a fissarmi ed io mi sento come se mi stesse infilzando con una spada, i suoi occhi mi stanno trapassando da parte a parte.
A quanto pare il tasto ce l'ha davvero...
- non ricordo di essermi scusato per il comportamento di mio padre, mi dispiace che ti abbia detto quello che ha detto.- annuncia con voce roca dopo qualche altro minuto di silenzio.
-ah... no, stai... stia tranquillo... non importa.- scusati per quello di qualcun altro di comportamento...
- ottimo...- conclude.
Mi sto preoccupando, è fermo immobile da quando ho chiuso la telefonata con Peter.
- O-oggi non ho il materiale per lavorare...- dico tanto per dire
- non importa, puoi andare a casa, inizieremo domani.- scuote leggermente la testa riprendendosi dal suo stato di trans.
Ah, menomale, allora è vivo.
-senta... non si è offeso per quello che ha detto mio fratello al telefono, vero?- chiedo sulla soglia della porta; devo togliermi il dubbio.
- no.- risponde secco per poi voltarsi e dirigersi verso la sua scrivania.
Alzo le spalle ed esco finalmente da questo ufficio.

CHRISTIAN
- un whisky.- tuono.
Dovrei essere qui a bere? No.
Ci sono comunque? Si.
Se non riesco a rispettare nemmeno le regole che io stesso mi impongo come posso pretendere che gli altri rispettino ciò che comando? Forse è per questo che una mia dipendente non fa altro che sfidarmi, prendermi in giro, arrivare in ritardo e urlarmi addosso.
Devo essere più autoritario; il vero problema è che l'ultima volta che l'ho fatto lei si è messa a tremare e a piangere, ed io non sopporto di vedere una donna che piange.
-mi sembra di conoscerla- i miei pensieri vengono interrotti dal barista, un ragazzo sulla ventina che mi sta studiando con gli occhi ridotti a due fessure.
-Ah si?- sbuffo sarcastico
-Ma lei è Christian D'Angelo!- esclama poi alzando la voce
- sono Christian, solo Christian.- sbotto irritato.
È il cognome della mamma, ma se mi chiamano così è perché mi associano a lui, ed io non voglio essere ne in questo, ne in nessun altro universo, associato a lui; MAI.
-Come vanno gli affari?- continua a conversare come se a me interessasse farmi una chiacchierata.
- sicuramente meglio di come vanno in questo posto.- tiro un sorriso di sbieco cercando di fargli capire che non sono proprio dell'umore per parlare dell'azienda.
Cambia del tutto espressione e si allontana per servire un altro cliente.
Menomale.
-L'hai steso!- esclama entusiasta qualcuno che mi arriva alle spalle.
Dio, non si può stare un attimo in pace in questa città.
-io lo vedo ancora in piedi- sbuffo sorseggiando il mio whisky.
Il ragazzo scoppia a ridere e poi viene a sedersi accanto a me.
Evito di guardarlo, non vorrei mai pensasse che abbia voglia di fare conversazione.
-Oddio! Christian!- esclama.
Che problemi ha la gente? Il mio nome è così bello?!
Porto lo sguardo su di lui e sospiro non appena noto il ragazzo dell'altro giorno.
-ma tu vivi qui?- domando sarcastico.
-potrei dire lo stesso di te- sorride amichevolmente, peccato che io non sia dell'umore di farmi degli amici.
Non che io lo sia mai...
-no, ho una casa, ed è molto meglio di questo posto.- ribatto disinteressato
- come ti va la vita?-
- peggio dell'ultima volta che ci siamo visti- Dirlo ad alta voce rende il tutto più concreto; faccio una smorfia portandomi il bicchiere alle labbra.
-allora deve andarti proprio bene!- ridacchia
- senti Mitch...- inizio ma vengo interrotto
-Ehy! Ricordi il mio nome!- sembra entusiasta
- Mitch, scarica la tua voglia di vivere su qualcun altro, grazie.- porto gli occhi sul mio bicchiere ormai vuoto
- un altr...- non faccio in tempo a chiedere un altro whisky che Mitch mi sta tirando da una spalla
-ma che fai?!- strattono il braccio
-non affogare i tuoi problemi nell'alcool, mi servi lucido.- annuncia
- ma che...- mi scappa di dire.
Mi trascina fino ad un tavolo e mi invita a sedermi.
-Ho bisogno di una collaborazione!- dichiara
-cosa?- domando confuso.
Ma poi vedo che porta lo sguardo alle mie spalle sbarrando gli occhi.
Mi prende un braccio e comincia a scuoterlo.
Ora gli tiro un pugno in faccia.
- Gay, io sono gay, ma lei non riesce ad accettarlo!- comincia ad alzare la voce
- ma che cosa...- provo a dire ancora ma lui porta nuovamente lo sguardo dietro di me per poi tornare a parlarmi.
-Amore, ti rendi conto?! Non possiamo continuare la nostra storia perché lei non mi ama abbastanza per lasciarmi andare!- continua portandosi le mani in faccia in segno di disperazione
-oh, se solo lei capisse che è come una sorella per me!-
Con la faccia contratta in una smorfia mi rendo conto di quello che sta succedendo.
-oh, ma non mi dire...- ribatto con poca enfasi scrollando la mia mano quando la prende fra le sue.
Mi supplica con gli occhi ma faccio finta di non rendermene conto.
-dobbiamo parlarle, deve capirlo, il mio cuore appartiene a te!- continua a recitare.
Lo fisso indeciso se provare pena o mettermi a ridere.
Mi volto in modo da guardarmi alle spalle e noto una ragazza, bassina e piuttosto goffa. Le ciocche bionde le ricadono sulle spalle e indossa degli occhiali con una montatura a dir poco enorme, credo che i suoi occhi siano azzurri. Addosso ha un vestitino con dei fiori.
Continuo ad osservarla, noto la sua espressione mutare, spalanca la bocca e gli occhi cominciano a luccicare, credo stia per piangere.
- chi è?- non mi piace farmi gli affari degli altri ma a continuare questo teatrino non ci penso nemmeno.
- si chiama Kimberly, mi sta dietro dalla terza elementare- risponde a bassa voce
- dalla terza elementare?!- ripeto sbigottito
- già...- conferma
Mi volto di nuovo a guardarla ma sta uscendo dal locale
- in ogni caso, ora se ne è andata, puoi smetterla di recitare- lo fulmino con lo sguardo.
- bene, ora parliamo di cose serie Christian- assume un portamento completamente diverso.

Maledizione al mio capo!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora