1. Apollo e Dafne

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È un pomeriggio, uno di quelli universitari e mediocri , uno di quelli freddi nonostante la bella stagione sia ancora segnata sul calendario, quando alle 8 è ancora giorno ed io vado in giro con la giacca di circostanza, quella di jeans di mia madre.
È uno di quei pomeriggi che serve di pausa, quando mamma e papà sono troppo oppressivi, quando
l'esame universitario di turno è imminente ed i libri ti guardano dalla scrivania scommettendo su quando avrai intenzione di ripetere gli argomenti.
È uno di quei pomeriggi che serve ad evadere, a mettere una puntina rossa sulla mappa e respirare, a capire che il mondo non è così pesante da sopportare e che non deve gravare sulle spalle, che a 18 anni o giù di lì si è invincibili.
È uno di quei pomeriggi che mi dirigo a Villa Borghese a passo spedito con la macchina fotografica che dondola dal collo, lasciandomi le preoccupazioni a chilometri di distanza.
Villa Borghese è sempre stato il mio posto nel mondo, in cui posso ritrovare la mia dimensione, non pensare a nulla, scrollarmi di dosso tutte le responsabilità, sentirmi libera, circondata dall'unica presenza che richiedo: l'arte in ogni sua forma.
Distendo i nervi non appena arrivo nella galleria, porto ancora l'odore di fumo sulle dita che mi strofino desiderosa di prendere il mio biglietto, e mi sembra di entrare nel posto che posso chiamare casa.
E come in una casa giro per le stanze che conosco a memoria, ma non c'è volta in cui non mi lascio rapire dalla bellezza dei soffitti decorati con sapienti pennellate, dai quadri del Caravaggio, dalle sculture del Bernini, sempre a bocca aperta.
Le guide mi sorridono, ma nemmeno si stupiscono, nel vedermi accovacciata a terra tentando di trovare l'inquadratura giusta per fotografare.
Che te dovrai fotografà ogni volta, è sempre uguale
penseranno.
Sorrido di rimando, cambio l'obiettivo, e continuo.
Questa è vita, questo è come voglio vivere.
Vorrei vivere così, d'estetismo, di poesia, di letteratura, di arte, di ciò che fa bene allo spirito, come una droga.
Appunto qualche considerazione sulle note del telefono e torno a destreggiarmi per le statue, la mia preferita la tengo appositamente per ultima.
Mi stringo nella giacca e rimango estasiata davanti a loro, che sono un tutt'uno, Apollo e Dafne.
Le luci puntate sul complesso permettono di apprezzarne ogni sfumatura, dalle dita della ninfa che diventano foglie ai boccoli perfetti del messaggero degli Dei.
Giro e rigiro come per controllare che stia bene, se sia ancora lei, e ne apprezzo ogni millimetro, estasiata da quel marmo che racconta una tragedia eppure il più strabiliante degli amori.
"Ma te ce capisci qualcosa?"
Sussulto mentre leggo l'incisione alla base della statua.
Mi volto e vedo lui, un alto e sorridente ragazzo dai boccoli castano chiari raccolti.
Con eleganza porta le mani dietro la schiena, e riesco a percepire una sua innocente risata interna.
Assottiglio lo sguardo, stordita.
E tu?
Guarda l'incisione, poi guarda di nuovo me.
"No dico, de latino, ce capisci quarcosa?"
Rimango a scrutarlo e non mi capacito del miracolo che è.
T'han fatto con lo scalpello, sinnò nse spiega.
"Ehm... si, ma guarda che c'è la guida lì" ed indico la ragazza con la lunga treccia rossa in divisa.
Solo dopo poco mi accorgo che mi tremano le mani.
Torno guardarlo mentre mi mordo l'interno della guancia.
Ma dove t'ho visto già?
"Vabbè, me sembravi un tipo affidabile a cui chiedere informazioni, tutta intenta a leggere quegli -ans, -us..."
Trattengo una risata, mentre lui porta ancora più in alto i bei zigomi, lasciando spazio a delle enormi fosse lungo il volto.
Gli occhi sono sinceri, i capelli raccolti mi raccontano già un'altra storia.
"Ah! Si, si sono ehm..."
Imbarazzata Mà? Imbarazzata?
Mi guarda curioso, come se potesse davvero far affidamento su di me.
"La storia la conosci?"
E tu la smetti a fissargli il punto in cui finisce il dolcevita di filo?
"Vabbè sì, quella sì, volevo sapè un po' de-"
Si interrompe, e mi fissa la macchina fotografica lampeggiante.
"Devi fa le foto?"
Guardo l'aggeggio appeso al collo e poi risalgo pian piano la sua figura.
Ti va la circolazione in quei jeans neri?
Ma soprattutto, quanti anelli porti?
"Oh si, devo finire di farne un paio"
"Vai allora, se non ti dispiace t'aspetto qui."
Mi fa un mezzo inchino e mi fa passare dinanzi a lui.
Il battito perde la sua regolarità.
Premo il pulsante dello scatto con molta più incertezza, e rischio spesso di mandare fuori fuoco il soggetto per quanto mi tremano le mani.
Che succede Mà? Il capellone t'ha sciolto con due frasi?
Scuoto la testa e rimetto l'occhio nel mio mirino.
Fuori fuoco c'è lui dall'altra parte della statua, appena sotto il ginocchio di Apollo.
Regolo con cura e come un ladro, catturo questo momento.
Che stupida che sei, te credi che fissando sta foto ti ricorderai chi è? Forse.
"Certo che sei brava con quell'affare eh" si complimenta scoprendo i bei denti non appena torno al punto di partenza.
"Grazie mille, è una passione che ho da sempre" dico spegnendo la mia fedele compagna.
Credo che il rossore sulle guance sia sfiammato.
"Comunque" sospiro "ho finito io qui per oggi, era l'ultima scultura, se mi accompagni a fumare ti spiego quello che vuoi sapere"
"Come no, certamente."
Ci incamminiamo verso l'uscita, e non appena spingo la porta mi poso alla prima panchina che trovo.
Lui ha il passo molto più lento e molleggiato, e mentre mi giro la mia sigaretta lui ne ha già una in mezzo ai denti.
"Comunque piacere, Damiano."
Ed ecco che si accende una spia nella mia mente.
"Marta, piacere" lecco la cartina e gli stringo la mano.
"Forse non ti ricordi di me, ma so l'amico de Leo Grillo, io me te ricordo coi capelli lunghi però."
Accendo la mia sigaretta annuendo con veemenza.
Ecco dove ti ho visto.
Si che mi ricordo di te.
Eri quello dell'occupazione al Kennedy con la
band, con il maglione blu a fantasie, orribile devo dire.
Io ero un'infiltrata, come sempre del resto.
Forse ho qualche tuo video nell'archivio di Snapchat.
"E io a te coi capelli più corti.
Tu sei quello che suona vero?" gli sorrido mentre gli porgo l'accendino.
"So quello che canta" ride quasi strozzandosi con il fumo.
"Te che stai a fa oggi qui in Galleria?"
Mi domanda con voce nasale.
Che naso che tieni a proposito, importante.
"Giornata di pausa, ho un esame a breve e sai, era per svagarmi un po' "
Damiano inarca il sopracciglio e mi guarda sospetto dall'alto incrociando le caviglie.
"Che concetto strano de svago che hai" e si siede accanto a me.
"Ah, giustamente te stai a Lettere con Leonardo?"domanda posando i gomiti sulle ginocchia.
"Abbiamo alcuni corsi insieme, si.
Tu? Che fai qui invece?"
"Ma niente, devo fa un progetto d'arte e quindi so venuto qua pensando de capirci quarcosa, e 'nfatti ho trovato a te Biondì " e mi da una lieve spallata che mi destabilizza totalmente.
Sei tu che sei strano o la situazione? È una coincidenza o so paranoie mie?
"Beh, stai in una botte di ferro" e butto via la sigaretta.
"Spero, è il primo progetto che devo portare quest'anno, nun c'ho fantasia de famme steccà n'artra vorta pe delle materie der cazzo, co tutto il rispetto."
E mi torna in mente quando Grillo mi accennò del fattaccio.
Nonostante siamo tutti della stessa annata, con tanto di vantaggio della primina, Damiano è rimasto indietro per due bocciature.
Chissà che rosicata.
"Figurati, anzi se v-"
Sento il telefono squillare, e leggere "mamma" sullo schermo mi fa alzare gli occhi al cielo.
"Scusa un secondo." E mi allontano per sentire mia madre, che non sa ancora moderare il timbro al telefono, dirmi che devo rientrare, la cena sarà pronta a breve.
"Tutto bene?" Damiano è in piedi e ha tirato su la manica destra che lascia scoperte le belle vene sul braccio.
"Devo rientrare, mia madre è categorica sull'orario"
"Vuoi un passaggio?"
Tu sei tutto matto, ma tanto gentile e io penso di essere più matta di te se ti dico sì.
"Se non ti è di disturbo."
"Misà che so pure dove abiti."
"Aspetta. Cosa?!"
Damiano ride sguaiato tenendosi l'addome.
"Nun me prende per pazzo"
Troppo tardi.
"Ma quando te e Leo stavate nella stessa sezione l'ho accompagnato na cifra de volte a casa tua cor motorino."
"Eri te quello con il Liberty blu quindi" -ricollego indicandolo- "ma pensa te" e mi vien da ridere a pensare a tutte queste coincidenze.

Durante il tragitto per la macchina Damiano mi racconta della sua passione maniacale per la musica, raccontandomi di quanto abbia la testa altrove, di come non esisti per lui il piano B.
Salgo nella macchina guardandolo ancora più curiosa, fissando punto per punto ogni suo particolare, dalle sopracciglia ben definite al piccolo neo che ha sul collo, dall'anello dorato all'anulare sinistro su cui è inciso "music" ai muscoli ben stampati sotto il maglioncino di filo nero leggero.
"E tu? Come mai Lettere?"
"Adoro la letteratura, l'arte in generale, vorrei poterne vivere."
Mi stringo nelle spalle un po' imbarazzata, mentre lui guida disinvolto con una mano sul cambio.
"Tu ce l'hai il piano B?" Chiede lanciandomi un'occhiata fuggiasca.
"Voglio diventare scrittrice, per ora non ci sono piani B." strofino la mano sulla coscia, vergognosa nel parlare di me.
"Come me allora."
Mi fa l'occhiolino incastrando la lingua tra i denti.
Cerco di nascondere il rossore per questo gesto.
Marta, tutto okay, respira che ti ricordi come si fa.
Damiano alza il volume alla radio e picchietta le dita sul volante a ritmo.
"Posso fumare in macchina?" chiedo un po' sfacciata,
ma del resto, se non si fa vergogna lui, perché dovrei farmene io nei suoi confronti?
"Certo, ma tira tutto giù il finestrino che mamma me sbrocca" e fa il gesto con la mano.
Prendo il tabacco dalla tasca, ma Damiano inaspettatamente mi rimprovera.
"Pe piacere, prenditi una sigaretta mia dai, senza che te metti a fa ste cose."
"Che hai contro le sigarette da girare?" Domando ridendo un po' interdetta.
"Pff, prendi e basta." e si morde il labbro buttando il sorriso tutto a sinistra.
"Non farti problemi, prendine pure due."
"Se la metti su questo piano, dovrò ricomprarti un pacchetto."
"Ancora che fai complimenti?"
Sfilo una Camel dal pacchetto morbido e malconcio, che ha tutta l'aria di essere rimasto troppo tempo dentro le tasche dei suoi pantaloni stretti, e la infilo tra le labbra.
Tutto pazzo sei, tutto pazzo. E sai qual è il bello? Che mi piace.
Arriviamo davanti il cancello dall'inferriata verde di casa, appena in tempo per buttare via il mozzicone terminato.
"Puoi darmi un secondo il telefono tuo?"
Rimango a guardarlo, e lui mi guarda con una naturalezza da fare invidia.
Glielo sblocco e glielo porgo, dubbiosa mentre scrive qualcosa sulle Note per una decina di secondi.
Lo blocca e me lo restituisce.
"A te. Buona serata Biondì."
Che denti che hai, sorridi sempre così per favore.
"Grazie a te Damià."
Gli do due baci sulla guancia e sento che le mie iniziano a scottare di nuovo.
Rubo la seconda sigaretta dal pacchetto e lui mi fa cenno di consenso.
"Ciao cara."
Esco dalla macchina e lo saluto con la mano.
Rimango sul marciapiede finché la macchina non sparisce dietro la curva.
L'ho visto sorridere dallo specchietto retrovisore.
Sblocco frettolosamente il telefono, con le chiavi strette nel pugno che mi perforano la pelle.

"Dovrai farmi delle foto con quell'affare che porti al collo, e secondo me con i capelli sciolti staresti meglio.
Dovrai anche spiegarmi arte, questo è il mio numero ..."

Nota//
Qualche giorno fa una persona mi ha detto "da qualcosa di brutto può nascere qualcosa di bello."
Ho capito che era ora di tornare a scrivere, abbattendo un muro su cui mi sono schiantata per troppo tempo.
Non so come finirà, l'importante è che sia iniziata, e per questo devo ringraziare le mie migliori amiche, prime sostenitrici dal giorno zero, michehoy (tu sai, tu saprai sempre), e me stessa, che finalmente mi permetto di fiorire.

Vostra, Martynisch.

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