Capitolo 8

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Era mattina, o meglio, l'alba.
Nemmeno mi ero resa conto di essere tornata a casa la sera prima, era stata una nottata divertente, allegra, movimentata e soprattutto memorabile.
"Aisaka, la signorina sta aspettando fuori"
Mi svegliò dolcemente la voce della mamma di Rin, che risuona a fin troppo strana nel mio petto.
Appena aprì gli occhi sentì il vento smuovermi leggermente le ciocche di capelli, ero seduta in un prato e le risate erano piacevoli.
Mi alzai e cominciai a scendere la piccola collina dove mi trovavo.
Seguivo le risate fino ad arrivare in una stanza molto simile alla cucina di casa mia, alcuni piccoli dettagli la rendevano irriconoscibile per un motivo a me sconosciuto.
Il silenzio era assordante.
Mi strinsi le tempie nonostante non sentissi dolore da nessuna parte. Urlai con tutto il fiato che avevo in corpo. La voce non usciva, non sentivo nulla. Solo il mio cuore battere ed il sangue scorrere nelle mie vene.
"BASTA!"
Sembrava tutto svanito ma riaperti gli occhi una figura orribile davanti al mio viso mi sorrideva. Gli occhi assenti dove al loro posto vi erano dei buchi e un sorriso tirato da dei ganci fin dietro le orecchie, denti stranamente normali data la situazione. Dietro questo essere la luce cominciò a spegnersi ed un rumore simile ad un'allarme risuona a sempre più forte.
Intanto osservavo quella figura orribilante senza distogliere lo sguardo, anche quando la mano ossuta con dita dalla lunghezza anormale mi sfiorò il volto rimasi immobile a guardare il vuoto delle sue cavità oculari.
I capelli lunghi che da neri diventarono biondo platino e il viso che si trasformo nel dolce volto di mia madre.
Cominciò a piangere, poi dei lamenti seguirono l'immagine che si parava davanti ai miei occhi. Lamenti irriconoscibili e tetri, decisamente fuori luogo dato lo sfondo chiaro e luminoso. I suoi occhi si rigirarono su se stessi e dalla sua bocca traboccarono ciocche di capellidalla lunghezza indefinita. Luce spente, poi riaccesa. Tutto normale, lei era davanti a me, le sue sembianze non presentavano nulla di strano.
"Che fai?"
Non riuscivo a controllare nulla, ero come una spettatrice.
Portò le sue mani attorno al mio viso, per poi cominciare ad accarezzarmi le guance con i pollici.
I suoi pollici cominciarono a premere, soffermandosi poi sugli occhi continuando a premere sempre più forte.
Era doloroso eppure rimasi ferma quando il buio sparì lasciando spazio alla luce.
Le mie iridi magenta riuscirono nuovamente a vedere dove fossi.
Ero a casa di Kakashi, sul suo divano, il cuore che batteva forte e l'insopportabile ticchettio dell'orologio che, nonostante il tempo passava, aveva le lancette immobili.
"Kakashi...?"
Lo cercavo, eppure non mi alzavo dal divano.
Sentivo dei rumori provenire dal corridoio eppure restavo lì, seduta. Non capivo il perchè eppure ero lì.
Sudavo e non riuscivo più a proferire parola. Tentai di urlare ma era impossibile, il ticchettio diventava sempre più forte eppure nessuno arrivava.
Solo la sensazione che non ero sola anche se fisicamente ero presente solamente io, la sensazione che c'era qualcuno che mi guardava e aspettava che i miei muscoli si muovessero.
Cominciai a sentire il rumore assordante del mio cuore che aumentava i suoi battiti e lo scorrere del chakra nel corpo che scorreva a velocità folle.
Solo la possibilità di un pensiero e poi un'illuminazione.
"Non è chakra è..."
Quella scoperta, non ebbi il tempo di riflettere che la voce della madre di Rin mi svegliò dolcemente.
Aprì gli occhi in fretta e furia, l'agitazione stava svanendo lentamente e poco dopo capì che era solo un sogno.
Rin dormiva e la madre mi chiese di non svegliarla, erano le 5 di mattina quando la donna era venuta a prendermi assieme ad altri uomini, forse ninja, che ci avrebbero scortato fino all'okiya.
"Doveva venire così presto?"
Chiese educatamente la signora lanciandomi uno sguardo mentre finivo di prepararmi.
"Forse è un po' troppo presto per la ragazza..."
Con il cuore in mano mi compativa, non la biasimavo. Era una scena triste, dover lasciare il proprio paese e cambiare il proprio stile di vita solo per colpa di una disgrazia che mi lasciò priva di una figura genitoriale.
"Se vuole diventare una geisha deve cominciare a cambiare le sue abitudini."
La ragazza, bella senza mostrare un minimo di stanchezza nonostante l'alba ci stava accompagnando, era molto fredda e distaccata nei miei confronti.
La madre di Rin non disse altro se non delle parole di cortesia e un addio commovente.
"Mancherai molto a Rin..."
Mi abbracciò forte stringendomi a se, provai quel calore confortevole che solo le persone a me care riuscivano a regalarmi.
Forse non dovevo avere cosi tanta paura, forse questo cambiamento mi avrebbe fatta crescere in un modo o in un altro.
Guardai un'ultima volta verso l'entrata di casa della mia migliore amica, abbassando tristemente lo sguardo verso terra.
"Andiamo, Aisaka"
Speravo di incontrare qualcuno, magari un conoscente, ma le uniche persone presenti erano i ninja e qualche ambu, d'altronde gli ambu non si fanno vedere facilmente.
Durante il tragitto verso l'uscita per konoha incontrammo però il maestro Minato, intento a portare dei documenti all'Hokage.
Mi salutò con amore augurandomi il meglio e dandomi un bacio sulla fronte, sembrava sincero e sicuro delle sue parole. Riuscì a rassicurarmi in un qual modo, mi aveva trasmesso coraggio.
"Non arrenderti, prima o poi troverai un significato a questa strada che la vita ti ha imposto e, magari, ne sarai soddisfatta"
Mi accarezzò un'ultima volta il viso, i suoi occhi e i capelli biondi mi avevano sempre ispirato fiducia e tranquillità.
Sorridendo mi fece l'occhiolino. Oscillai la mano intenta a nascondere l'immensa tristezza che mi accompagnava.
Ripresi a camminare con serietà.
Mi fece salire sulla carrozza dopo di lei, facendomi poi accomodare e sistemare.
Guardai fuori dal finestrino trovando i capelli grigi di Kakashi poco lontani dalla carrozza.
Ci guardammo per qualche secondo senza dire nulla, gli sorrisi lasciandomi andare alle lacrime vedendo la sua mano che mi mostrava il sassolino che gli avevo lasciato tempo fa.
Sorrisi e ridacchiai nel guardarlo, sembravamo due bambini al loro primo amore, romantici e terribilmente impacciati.
I nostri sguardi erano colmi di tristezza tanto che sorridere era diventato complicato. Ma quando partimmo cominciò a formarsi un vuoto, tra lo stomaco e la gola. Incolmabile.
Avevo capito che qualcosa era successo.
Si era concluso il capitolo della mia adolescenza.
Passarono giorni di viaggio, per la precisione tre. Arrivammo la sera del terzo giorno all'okiya di mia zia.
Mi accolsero e mi fecero subito togliere le scarpe, notai la presenza di ambu e di ninja, ancora non capivo se fossero delle donne alla ricerca del piacere oppure le donne dedite alle arti che descrivevano.
"Piccola Aisaka, giusto?"
Mi sorrise una donna, era più vecchia della ragazza che mi aveva accompagnato ma mostrava comunque una grande bellezza.
Qualche ruga poco visibile ed un trucco leggero nonostante le geisha si truccassero in modo pesante.
I capelli sciolti e un kimono per la casa di tessuto leggero. Dei grandi occhi viola e i capelli marroni, mogano oserei dire.
"Sono Mononoke Yoshiwara, la Madre dell'okiya, puoi chiamarmi zia"
Non avevo intenzione di proferire più delle parole necessarie. Ero fin troppo stanca.
"Te non sarai come le altre geisha, penso questo tu lo abbia intuito..."
Mi stavano acconciando per nulla, o così sembrava. Un kimono non troppo costoso e ben ricamato, trucco non pesante come credevo e un disegno rosso fatto di pittura dietro la schiena.
I capelli legati in una treccia lunga bianca e delle scarpe alquanto particolari, dei geta.
"Sarai una maiko come le altre ma farai pratiche diverse oltre le varie arti..."
"Farò gli allenamenti ninja?"
Speranzosa guardai mia zia che contorse il naso. Vedevo che non voleva ferire il mio animo ma anche la sola espressione che aveva mi aveva spezzato il cuore.
"Non potrai diventare un ninja, non sono cose che usiamo fare... ma diventerai qualcosa di più"
A quelle parole qualcosa si ruppe dentro di me. Sentivo una parte di me sfumare via e i miei sogni scomparire in una nuvola di fumo. Abbassai lo sguardo e mi rassegnai.
"Ok."
Le settimane passarono, stare dietro alle mie conviventi era difficile, a volte impossibilie.
Lavavo i panni e le varie vesti costose a mano e le ordinavo in seguito per le varie ragazze che la sera partecipavano ad eventi sociali per mostrare la loro forza morale.
Sfortunatamente non era solo quello il mio ruolo di casa. Ebbene tenevo l'okiya pulita e ordinata, spesso le geishe che abitavano nella casa non erano cooperative. Tornavano ubriache lasciando le scarpe e le stanze in disordine, che io avrei poi dovuto riordinare.
Oltre le varie manzioni di casa dovevo stare ai passi con le varie arti da geisha, ovvero le buone maniere; l'uso dello shamisen, lo strumento delle geisha e in fine la danza con i ventagli.
Una danza che trovavo, personalmente, affascinante e ricca di significato spirituale.
Ero riuscita ad avere una lezione privata con la zia a riguardo di questa sublime danza.
Mi disse che il ventaglio, pieghevole, lo utilizzava soprattutto per enfatizzare le sue mosse, la osservavo affascianta, sfruttava la sua bellezza ed eleganza per ammaliare gli stolti ricchi e potenti. Usava il ventaglio con straordinaria maestria.
Lo chiudeva e, mentre faceva roteare il corpo, lo sventolava delicatamente piegando il polso in modo da suggerire un flusso d'acqua, simile al fiume che scorreva fuori dall'okiya.
Attratta, in particolare, da questo ballo tradizionale cominciai ad esercitarmi anche in solitaria.
Ero incapace, soprattutto con quei stupidi sandali, scomodi e altrettanto antiestetici secondo i miei gusti personali.
"Accidenti!"
Gli allenamenti privati della quale mi aveva parlato la zia erano diventate parole al vento, passavano le settimane eppure nessun esercizio particolare da fare, ne tantomento nessun tipo di addestramento ninja.
Nulla.
Ero abbattuta e rimpiangevo i faticosi allenamenti che facevo insieme al mio team, già il mio team.
Komuro era diventato un ricordo. Mi sembrava essere stata privata di ogni gioia possibile, ogni cosa che mi rendeva felice era svanita. Pagherei anche per rivedere Rokiko, quello sbruffone arrogante, vorrei vedere anche lui.
Per quanto era disperato il bisogno della mia città scrivevo delle lettere, non solo per i miei amici, per Kakashi, o per i conoscenti, ma anche per gli oggetti inanimati che avevano improvvisamente acquistato un valore inestimabile di amore.
La casetta sull'albero della mia infanzia, il piccolo ristorante di ramen, rito di riunione post allenamenti, la mia camera che mi conosceva più di chiunque altro. E anche la città stessa, che mi aveva ospitata e accolta come sua cittadina, era diventata oggetto di poesie e lettere lunghe pagine.
Passavo spesso le sere tra le lacrime di malinconia a tristezza, era diventato tutto incredibilmente freddo e privo di qualsiasi forma di amore.
Dopo circa un anno, eccomi nuovamente a provare la mia coreografia accompagnata dai miei ventagli, che passavo abilmente tra le mani candide e che facevo roteare in aria mentre eseguivo mosse leggiadre ed aerobiche per poi riprendere quei piccoli oggetti.
Solamente presa dalla danza, dalla musica che mi accompagnava, dalla luce della dolce luna che mai mi abbandonava mi resi conto che ero viva.
In quel momento una forte energia, simile a quella provata in quel terribile giorno di morte e lutto per mia madre, eppure era come un abbraccio affettuoso e amorevole. Rendeva i miei movimenti ricchi di storia e vita, ogni particella, ogni atomo che smuovevo, le mie braccia che tagliavano l'aria e questa energia che mia accompagnava.
Era come avere un drago, privo di ali ma con lunghi artigli, che mi proteggeva dal mondo e dai suoi orrori. Sorridevo e danzavo libera dai problemi.
Quando la musica terminò, mi ritrovai circondata dal silenzio del giardino zen dell'okiya, ero presente solamente io.
Mi guardai le braccia, presentavano come un disegno giallastro, quasi luminoso, a formare una grande creatura serpentina.
Essa si rifugiò sotto il tessuto dei miei vestiti, scomparendo.
"Il Chi..."
"Sono rimasta ammaliata da quello che i miei occhi terreni hanno appena avuto la possibilità di vedere"
La voce calda della zia mi fece tornare sulla terra, come se mi trovassi sottosopra, in un mondo parallelo privo di uomini.
Ma ora ero tornata. Ora ero nuovamente qui.
"Zia..."
Ero come stata illuminata. Come se la conoscenza, se i movimenti dei corpi celesti mi avesse risvegliata.
"... cosa hai capito?"
Si avvicinò silenziosamente a me, con il suo solito fascino mozza fiato.
Mi guardai nuovamente gli avambracci.
"... che non ho mai vissuto veramente"
Mi lasciai sopraffare dalle emozioni, tanto che tremavo dall'euforia.
"Tranquillizzati"
Sorridente posò una mano sulla mia testa. Subito immersi i miei occhi nei suoi, la mia sete di sapere era improvvisamente diventata necessaria.
"Zia, cos'è il Chi?"
Ricordai quel sogno e il drago, uno dei simboli della cultura giapponese.
"Adesso sei riuscita a vederlo, il dragone..."
Camminò fino al centro geometrico e matematico del giardino, dove la luce della luna combaciava perfettamente con l'atmosfera del momento.
Confusa la seguì fino al centro affiancandomi a lei.
"C'era già...?"
Annuì leggermente sorridendo delicatamente.
"C'è sempre stato, solo che eri accecata... conosci il termine Pánta rheî?"
Scossi la testa sentendomi ignorante a riguardo.
"Vuol dire che tutto scorre. Devi sapere che il drago rappresenta lo scorrere di un fiume"
Fece una leggera pausa, pensando alle sue parole.

"«Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell'impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va.»"
C

ontorsi il naso, cercando di comprendere le sue parole, troppo complesse da capire. Mi portai le dita sulle tempie provando ad apprendere quanto possibile.
"È complesso.. "
"Se la filosofia fosse facile sarebbero tutti filosofi"
Mi accarezzò la guancia con amore. Restai attenta cercando di cogliere ogni suo insegnamento. Era strano vedere una persona così familiare, che mi ricordava una donna tanto fredda, darmi così tanto affetto.
"Vuol dire che non si può fare la stessa esperienza due volte, o meglio è uno dei suoi significati"
Mi risistemò il kimono sempre con delicatezza, le sue dita sfioravano la seta in modo inudibile.
"... intende dire che devo vivermi la vita perchè le cose accadono una volta sola?"
Cercai di cogliere il senso del suo insegnamento.
"Sto dicendo le parole che ho detto, la tua interpretazione personale sarà sicuramente la scelta migliore"
Ero confusa ma non volevo darlo a vedere. Probabilmente la mia confusione era più che giusta.
"Cos'è questo tuo potere innato te lo spiegherò domani, hai bisogno di riflettere e riposarti"
Sospirai, mi lasciò sola al centro di quella notte stellata.
"E se Kakashi mi... dimenticasse?"
Guardavo le stelle sperando anche lui facesse lo stesso.
La paura di dimenticare mi stava divorando, anche per questo scrivevo quelle lettere.
"Spero che tu ti ricorderai di me... anche se passeranno anni, ti prego... non mi dimenticare..."
Bisbigliavo, non volendo essere sentita da nessuno. Desideravo di poter tornare nella mia città e di poter rivedere Kakashi e Rin, speravo le stelle avrebbero fatto sapere questo mio insaziabile desiderio ai miei amici.
Aspettai qualche secondo, pensando poi fosse sciocco, lasciai il cielo stellato lì dov'era. Non era successo nulla di particolare, nulla era cambiato.

"Non dimenticarmi. Ti prego."

CUCCIOLINI DI QUOKKA.

Mi dispiace assai per la mia assenza, ma quando non mi prende a scrivere non mi prende, e scrivo delle schifezze.

Spero che questo capitolo vi piaccia! È vero non è molto interessante forse... io trovavo una cosa simpatica unire anche le mie conoscenze alla storia, così da insegnare qualcosa.
Si lo so. È strano!

Comunque sia ecco a voi le citazioni che ho fatto:
-Memorie di una Geisha (libro)
-Eraclito (filosofo)

Ed ora le classiche domandine:
-Che ne pensate delle Geisha?
-Cosa pensate della zia di Aisaka?
-Pensate che questo drago sia un vantaggio o uno svantaggio?
-Come state?
-Dite pure i vostri pareri personali Sapete che ci tengo e che tengo a voi.

Detto questo niente, vi voglio bene. Ciao.

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