Capitolo 4 - Amicizia

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Rientrarono a casa a tarda notte, Eleanor non si reggeva in piedi e crollò sul futon completamente vestita. Trascorse una notte di sogni agitati, dove veniva inseguita a più riprese da un maniaco dagli occhi scuri o da un coniglio rosa gigante.

Quando si svegliò di soprassalto dopo l'ennesimo incubo, si rese conto di essere ancora vestita. Si alzò controvoglia, scrutò dietro la tenda semi rigida della porta finestra e osservò il giardino immerso nel buio notturno. Non c'erano rumori, tranne un gocciolio che scoprì appartenere al rubinetto della cucina. Lo serrò bene, si spogliò in bagno lasciando i vestiti attaccati agli attaccapanni dietro la porta e si rinfilò a letto.

Rimase a fissare il soffitto a lungo, nella quiete della camera in cui l'oscurità non era così densa. Sicuramente c'era più luce che nei suoi sogni. Non voleva riaddormentarsi e varcare ancora quella soglia di ricordi dolorosi, afferrò il flacone di pasticche e ne prese una. Il sonno profondo e privo di zone buie non tardò ad arrivare, agevolato dal tepore del futon. Sapeva che quelle medicine non erano un rimedio alla sua insonnia né avrebbero mai cancellato il suo passato, ma non riusciva a farne a meno. Da quando Rumiko le aveva trovate, aveva nascosto tutti i flaconi che aveva, vergognandosi della sua vigliaccheria senza però riuscire ad affrontarla.

La mattina seguente, quando si rialzò, per svariati minuti non ricordò niente della giornata precedente, tantomeno la promessa fatta ad Asami. Nell'istante in cui le sovvenne dell'appuntamento per la partita, si maledisse imprecando con poca grazia contro lo specchio come solo una buona americana sapeva fare. Non aveva alcuna voglia di uscire, anzi, si sarebbe rimessa subito a letto se... se il campanello non avesse squillato con insistenza.

Irritata e borbottando parolacce, aprì la porta con forza per trovarsi davanti il compassato collaboratore del padre di Rumiko.

- Buongiorno, Carter-san - la salutò con un inchino perfetto - Potrebbe raggiungere la signora Yamada? La attende nel salottino, ci sono visite per lei -

Eleanor lo fissò stupita per diversi secondi, sbattendo le palpebre. Il suo inglese era stato impeccabile, mentre lei aveva creduto che non ne parlasse una parola, tantomeno lo capisse.

- Sì, sì certo, Shimizu-san - balbettò facendo un cenno con la testa che iniziava a diventarle spontaneo. Lui si inchinò di nuovo e se ne andò.

Si sistemò i capelli meglio che poté tirandoli su e fermandoli con una penna; indossò le scarpe, il cappotto e schizzò sul viale del giardino con il cuore che batteva rapido per il confronto che l'attendeva. Si sentiva davvero una fallita ogni volta che incontrava i genitori di Rumiko e in quel momento il divario le sembrava ancora più netto e incolmabile.

Non riuscì a bussare alla porta d'ingresso perché Shimizu l'aprì, inchinandosi nuovamente, come se avesse la vista a raggi X. Lei lo imitò e, senza una parola, lo seguì nel salottino, dove Hitomi Yamada le venne incontro sorridente. Molto sorridente.

Eleanor ricambiò l'affetto che le parve genuino come ogni altra volta che l'aveva incontrata e accettò il suo invito a sedersi. Non si era accorta che ci fossero altre due persone nella stanza che, al suo avvicinarsi, si alzarono e si inchinarono. Probabilmente non si sarebbe mai abituata a quel modo di fare.

- Carter-san, le presento i signori Matsumoto - disse Hitomi e i due coniugi fecero un altro cenno con la testa mentre lo ripeteva in giapponese. Eleanor si inchinò a sua volta e sorrise con un piccolo campanello d'allarme in testa che quel cognome le aveva suscitato sebbene non riuscisse ad associarlo alla fonte della sua agitazione.

- Eleanor, i signori Matsumoto sono qui perché vorrebbero poter richiedere il tuo aiuto per assistere la loro figlia - disse Hitomi ripetendo in giapponese.

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