Capitolo 9 - Un amore eterno

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Non era sicura di riuscire a reggere ancora il terzo grado di Rumiko. Da quel picnic nel parco non l'aveva più lasciata in pace.

- Non devi lavorare? - la rimbrottò infastidita cercando di mandarla via.

- No! Finché non mi dici tutta la verità! - insisté l'amica incrociando le braccia.

- Quale verità? Non c'è nessuna menzogna, quindi nessuna verità da raccontare! - gridò esasperata. Aveva veramente il potere di farle salire il nervoso.

- Non dirmi che non ti sei accorta di niente! Non posso credere che tu possa essere così cieca! - l'accusò Rumiko mettendosi di nuovo davanti a lei. Voleva costringerla ad ammettere almeno che c'era la possibilità che qualche altro uomo si innamorasse di lei. Sapeva che era una battaglia ardua che avrebbe sicuramente perduto, ma doveva tentare.

Eleanor la ignorò, infilandosi la tuta: l'unico modo che aveva per togliersela dai piedi era farsi una bella corsa. Non aveva nessuna voglia di pensare al motivo per cui aveva accettato l'invito di Nakajima o perché lo sguardo sfacciato di Ryutaro l'avesse così sconvolta o come le erano entrate in profondità le parole di Shimizu-san. La fatica l'avrebbe sicuramente distratta da quei pensieri angoscianti.

- Takahashi Ryutaro - esordì Rumiko inspirando. Si era chiaramente informata su chi fosse quel giovane atletico, scoprendo anche come era venuto a conoscenza delle lezioni di Eleanor.

L'americana si voltò lentamente.

- Di cosa stai parlando? - domandò stupita.

- È innamorato di te, si vede lontano un chilometro - sentenziò severamente Rumiko mettendosi le mani sui fianchi.

- Spero tu stia scherzando - replicò categorica Eleanor sebbene il suo cuore fosse accelerato all'improvviso - Ha ventun anni, gli ormoni a mille, mi fissa in continuo le tette e tu parli di amore? Non dire assurdità! - liquidò la faccenda sedendosi e infilandosi le scarpe per correre.

- Chiamalo come vuoi, gli piaci - Rumiko fu altrettanto categorica - Da quanto va avanti? - la interrogò ancora mettendosi davanti alla porta di casa.

- Avanti? - ripeté Eleanor sconcertata - Non è mai partito nulla! Smettila di dire stupidaggini! - fece per spostarla, ma lei rimase immobile - Fammi uscire - la minacciò con voce grave.

- Shimizu Kimitada - insisté Rumiko sfidandola. Per un attimo vide lo smarrimento negli occhi azzurri dell'americana e ne gioì.

- Come fai a... - replicò Eleanor, ma venne subito interrotta.

- Allora lo ammetti! - la incalzò vittoriosa Rumiko.

- Non ammetto niente! Sei una ficcanaso! Shimizu-san è un uomo onesto e gentile, non voglio che tu rovini la sua reputazione con le tue chiacchiere inutili! -

- Sentiti! Parli come una giapponese! - l'accusò bonariamente scoppiando a ridere - Hai accalappiato anche l'integerrimo collaboratore di mio padre! - aggiunse sempre ridendo, ignorando lo sguardo gelido di Eleanor. Sapeva che stava giocando col fuoco, ma non le interessava: desiderava ardentemente che la sua amica uscisse da quell'apatia e tornasse a vivere. L'unico modo che aveva era amare nuovamente, se stessa e un uomo.

- Non ho accalappiato nessuno, sai benissimo cosa penso in merito a queste cose, perché mi torturi così? - le chiese quasi supplicando, abbandonando la rabbia che la stava pervadendo e sostituendola con il consueto dolore.

Rumiko si zittì, conscia di aver oltrepassato il limite.

- Scusami - sussurrò abbassando la testa. Si spostò di un passo. Eleanor aprì la porta e uscì come se avesse l'inferno alle calcagna senza aggiungere una parola.

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