8. Quella bellezza malinconica

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Quella mattina mi svegliai più tardi del solito, stupendomi per aver trovato la notifica di un tuo messaggio.

Mi vestii in fretta per raggiungerti sotto il sole caldo di maggio.

«Ma buongiorno. Siamo caduti dal letto stamattina?» ridacchiasti, passandomi le mani tra i capelli per sistemarmeli.

Mi persi un attimo a guardare i tuoi occhi, concentrati sulla mia capigliatura, mentre cercavo di riprendere fiato.

Lo notasti anche tu, e i tuoi movimenti si fermarono, iniziando a nuotare nel marrone scuro che erano i miei occhi.

Mi si bloccò il respiro quando mi accorsi che ci eravamo entrambi incantati, come ad ammirare un'opera d'arte dal fascino evidente.

«Allora...andiamo?» mi schiarii la voce lungo la frase, avviandomi verso Suji, ma tu arrestasti la mia corsa, prendendomi per un polso.

«Ho già fatto tutto io. Mi annoiavo e quindi mi sono portato avanti.» ti guardasti le punte dei piedi che giocavano con i ciottoli bianchi.

Sembravi davvero imbarazzato in quel momento, come se ti avessi appena scoperto ad annusare il profumo dell'ammorbidente che usavi per lavare i tuoi vestiti e di cui eri impregnato.

Era un tuo tratto distintivo, quello di sapere costantemente di buono e di fresco.

Mi portasti fino alle lapidi, nel vaso davanti alla foto di mia madre troneggiava un ranuncolo giallo.

«Ciao, ma sei bellissimo.» parlai al fiore, inginocchiandomi sul granito per accarezzarne i petali con un sorriso felice stampato sulle labbra.

«Quanto ti devo?» ti chiesi, alzandomi nuovamente per raggiungere il portafogli nella tasca posteriore dei pantaloni.

«Niente. Vieni qui, siediti.» mi indicasti un posto vicino a te, sul freddo marmo bianco.

Mi avvicinai confuso, sedendomi come te, dall'altra parte della lapide.

Tenni gli occhi occupati su di te per non leggere il nome di tua sorella, volevo che fossi tu a dirmelo quando ti saresti sentito pronto.

«Mia sorella aveva solo otto anni. Si chiamava Iseul. Andava in giro per casa, saltellando ogni qualvolta si sentiva felice. Quando era triste invece si barricava in camera sua e si confidava con un coniglio di peluche che considerava segretamente ambasciatore della mia presenza. Proprio per questo, io ero quello che la faceva arrabbiare di più.» sorridesti amaramente mentre guardavi la sua foto come punto fisso.

«Non ero mai in casa e lei ne soffriva, me l'ha sempre detto. Ma appena mi rivedeva mi correva ad abbracciare, senza il rancore che attanaglia gli adulti a frenarla. Mi perdonava ogni singola volta, per poi tornare a salutarmi con la sua piccola manina pochi giorni dopo.» lacrime silenziose iniziarono a scendere dai tuoi occhi, incapaci di essere trattenute.

«Ero l'unico che riuscisse a convincerla a prendere quelle compresse che le lasciavano in bocca un sapore amaro che proprio odiava; e sulle mie gambe, con le labbra ancora curvate in una smorfia disgustata dalla medicina, mi chiedeva di andare a giocare con lei con il tono più speranzoso che avessi mai sentito.» esitante, ti asciugai le lacrime con le dita, temendo di distrarti.

«Se solo io non fossi partito per l'America lei forse sarebbe ancora qui. Avrei potuto salvarla. Lo so che avrei potuto.» scoppiasti in un pianto disperato, buttandoti tra le mie braccia.

Lasciai che mi inondassi con tue emozioni troppo forti per essere trattenute.

Ti abbracciai forte, come se, il mio, fosse un tentativo di tenerti tutto intero.

Ti accarezzai i capelli, poggiando le mie labbra sulla tua tempia.

«Iseul era malata, Taehyung, aveva la leucemia. Aveva così tanto da vivere. Se solo io fossi stato lì con lei avrei potuto donarle il midollo osseo. Invece i miei genitori mi hanno informato della sua morte solo due settimane dopo, al mio ritorno.» parlasti con la voce tremante e interrotta da innumerevoli singhiozzi, eri completamente afflitto.

«Ehi, sta' tranquillo. Adesso quella piccola principessa è in un posto migliore. Magari in questo momento starà giocando con la mia mamma, lasciandosi alle spalle tutte le  sofferenze a cui è andata incontro. Credo proprio che mia madre la amerebbe.» dopo le mie parole, cadde il silenzio.

«Vuoi che ti porti a casa?» ti chiesi io, ricevendo un cenno con la testa.

«Quella casa mi ricorda troppo lei.» la tua voce era ovattata dalla mia giacca.

«Vuoi venire a casa mia allora?»

Breathtaking ⇔ taekookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora