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Quella presa salda lo aveva immobilizzato.
Deglutì a vuoto, cercando di rimanere impassibile.
"Scusi, può indicarmi la strada per la prossima fermata della metropolitana?"
Batté un paio di volte le palpebre e sorrise internamente dandosi dello stupido.
Si voltò e gentilmente spiegò al ragazzo quale strada percorrere.
Non poteva avere attimi di panico come quello.
Doveva cercare di superare la cosa: doveva tornare alla sua vita, senza voltarsi.
Quando avrebbe sepolto quei sentimenti, probabilmente avrebbe anche servito il biondo al bar, qualora l'avesse rivisto nuovamente.
Ce l'avrebbe fatta, ne era pienamente sicuro.
Altre settimane trascorsero da quell'ultimo sguardo e il pensiero fisso di Bakugou era quasi un lontano ricordo.
Gli era capitato di intravedere il ragazzo con la compagna all'università, ma era andato oltre.
Nemmeno l'altro lo aveva più cercato, forse credendo che non avesse più bisogno di lui.
Nonostante i suoi sforzi, l'esame di matematica fu nuovamente un fiasco.
Senza quell'esame non poteva superare l'anno: era arrivato persino a ridurre le ore in palestra, gettandosi a capofitto in corsi extra scolastici e studio intenso pur di tentare ancora.
Se non avesse superato anche quello che si sarebbe tenuto da lì a tre mesi, si sarebbe ritirato.
Avrebbe dato la vittoria ad una materia stupida, ma non avrebbe più sprecato ulteriori soldi.
Gli esami costavano, così come l'affitto al dormitorio: rimanere fermo, senza possibilità di avanzare, gli faceva sembrare di sprecare denaro e tempo.
"Senti un po': si terrà una festa universitaria in una discoteca poco fuori città. Questo è il tuo sabato libero: perché non ti unisci a noi?" chiese una mattina un suo compagno di corso.
L'ultima volta che era uscito a svagarsi fu... Non lo ricordava.
"Ci sarò!" disse forse con troppo entusiasmo.
Quel sabato arrivò fin troppo rapidamente.
Il pomeriggio aveva riposato per non cedere alla stanchezza all'ora dei nonni e iniziò a prepararsi quasi maniacalmente: una camicia bordeaux, un jeans stretto nero e un paio di converse. Semplice, ma un minimo decente. Aggiunse, oltre al gel tra i capelli, un girocollo e un bracciale, entrambi in acciaio a maglia larga. Il profumo del dopobarba gli sembrò sufficiente, quindi, soddisfatto, prese la giacca di pelle ed uscì.
Aveva partecipato a qualche festa in passato, ma quella in cui si trovò era a due poco esagerata: vampate di narghilè e spinelli gli fecero storcere il naso, ragazze lascive che ci provavano con il primo che capitava, qualcuno era già ubriaco e rari erano i ragazzi sani.
Per non parlare delle casse che lo stordirono per il volume eccessivo.
Per qualche istante decise che quella festa non era adatta a lui, ma non capì com era finito a ridere stupidamente ad tavolino con alcuni compagni di corso e l'ennesimo drink fra le mani.
Presto si ritrovò a non comprendere nemmeno ciò che diceva: biascicava e rideva senza motivo.
Barcollò appena quando una ragazza che non aveva mai visto lo trascinò sulla pista da ballo.
Lo stava provocando: si muoveva sinuosa, poggiandosi spesso a lui e strusciandosi provocante.
Forse fu perché non le interessavano le ragazze che la piantò su due piedi con un "Non sei il mio tipo.", andando poi al bancone a prendere un cocktail.
Il barista, avendo assistito alla scena della ragazza adirata, credette che al rosso servisse una spintarella, avendo cura di sciogliere a dovere la polvere bianca che inserì nel bicchiere.
Kirishima, ignaro, si trovò presto in stato confusionario, perdendo sia la cognizione del tempo e sia se stesso.
Rideva, ballava, si divertiva: tutto il dolore provato nelle settimane passate, era svanito del tutto magicamente quella sera.
Forse avrebbe iniziato a frequentare spesso quelle feste, se queste allontanavano ogni pensiero negativo e portavano solo la pace dei sensi.
Finita la festa, probabilmente all'alba, uscì dal locale diretto ai dormitori, ma un gruppo di ragazzi gli sbarrò la strada.
"Quindi sei tu che hai molestato la mia ragazza?" domandò uno di loro.
Riconobbe subito la tizia che aveva scaricato con fin troppa educazione e cercò di spiegare che non era andata propriamente in quel modo.
Ne uscì una discussione: il rosso cercava di riprendere lucidità e parlava con calma, la banda lo aggrediva a parole.
Quello che accadde dopo fu molto confuso: a malapena ricordò di essere stato colpito in pieno stomaco e di come fu lasciato sul marciapiede.
Gli faceva male qualsiasi parte del corpo senza riuscire a muoversi.
Altro che frequentare quelle feste! Quella sarebbe stata la prima e l'ultima.
Quando aprì gli occhi, un forte mal di testa glieli fece chiudere quasi immediatamente.
Non ricordava di essersi messo a letto.
Un dolce tepore lo rassicurò, ma aprì gli occhi nuovamente per capire da dove provenisse.
Un mugugno e una pressione sulla spalla gli fece alzare lo sguardo.
Rilassato, quasi come se fosse un bambino in preda ad un sogno bellissimo della quale non voleva svegliarsi, bello.
Era così che gli apparve il viso del biondo in quel momento.
Una domanda sorse spontanea: come ci era finito ? Non aveva ricordi del ragazzo durante la serata appena trascorsa, anche se con tutto quello che aveva assunto erano abbastanza confusi.
Si accorse solo in quel momento di essere senza maglia e l'imbarazzo prese il sopravvento.
Mosse leggermente le gambe, notando un tessuto diverso dal jeans a coprirgliele.
Però, ammise a se stesso, che quel risveglio, per quanto fosse stato inaspettato, gli stava facendo uscire allo scoperto quei sentimenti che aveva cercato di cancellare.
Era già la seconda volta che cercava di allontanarlo ed era già la seconda volta che si ritrovava fra quelle braccia, anche se la situazione era totalmente diversa.
Un leggero movimento delle palpebre e i rubini si aprirono.
"Ah, sei sveglio."
Riuscì solo ad annuire, ma nessuno dei due si mosse più di tanto dalla posizione.
Fu dopo un lungo sguardo che l'altro decise di staccare il contatto ed alzarsi, imprecando contro qualcuno di ignoto per avergli permesso di portare un ragazzo nel suo letto.
Un momento.
Si mise seduto e chiese delle spiegazioni, anche se le domande erano incerte e borbottate.
"Non ti sono saltato addosso, tranquillo. Ma la prossima volta ti lascio marcire sul marciapiede."
Poco dopo un campanello richiamò l'attenzione di entrambi.
Bakugou andò ad aprire e il rosso si prese il tempo per osservare la stanza in cui era stato lasciato solo.
Semplice, con lo stretto necessario, nulla fuori posto.
Non era una camera del dormitorio, quindi dedusse che fosse l'appartamento del biondo.
Sulla soglia apparve la ragazza, seguita dall'altro che gli urlava di farsi gli affari suoi e che non poteva girare come se fosse casa sua.
Gli occhi cremisi si scontrarono con quelli della ragazza, che indignata tirò un sonoro ceffone a Bakugou e scappò via dopo improperi e un "Addio" fin troppo udibile.
"Scusa, non volevo essere un motivo di litigio. È meglio se me ne vada."
"Lascia stare, almeno si è levata dai piedi."
Kirishima si accigliò a quella risposta e si trovò a non saper cosa fare.
"Vado a fare la lavatrice: mi hai vomitato addosso."
Quindi non era senza i suoi abiti perché avevano fatto cose strane.
Tirò un sospiro di sollievo: andarci a letto senza ricordo era l'ultima cosa che voleva.
"Vatti a fare una doccia: puzzi." gli disse ancora, prima di sparire dalla stanza.
Lentamente uscì dal tepore delle coperte e si mise a cercare il bagno in quel piccolo appartamento.
Come doveva comportarsi?
Da quel che aveva capito, non era successo nulla tra loro e la cosa lo tranquillizzò, però si era risvegliato in un abbraccio e non lo aveva preso a mali parole.
Lo stava mandando in confusione.
Scoprì di avere dei lividi sparsi, segni che il pestaggio non era stato solo un incubo.
Quello sotto lo zigomo risaltava sulla pelle ambrata e ringraziò di non aver altri segni sul viso.
Una volta terminato in bagno, seguì il profumo invitante, ritrovandosi in cucina la colazione pronta.
"Ti ho fatto un The al limone. Lì ci sono dei biscotti."
In soggezione, ringraziò e si sedette dopo che il biondo lo invitò cordialmente a non mettere le radici nel pavimento.
"Grazie per ieri." disse una volta che la tazza fu vuota.
Tuttavia le intenzioni del ragazzo seduto di fronte a sé gli erano ancora del tutto sconosciute.
Invece di portarlo ai dormitori, lo aveva portato a casa sua.
Non sapeva nemmeno dove si trovasse quell'appartamento!
Inoltre aveva involontariamente causato la rottura della sua relazione con la ragazza, ma l'altro non sembrava risentirne molto.
Forse poteva chiederglielo, invece di fare mille castelli in aria.
"Scusami, perché mi hai portato qui?"
Lo vide inarcare un sopracciglio e poi sbuffare.
"La tua dichiarazione d'amore è stata una delle più bizzarre che abbia mai sentito."
Il viso gli andò letteralmente a fuoco e scattò in piedi.
La bassa risata gli fece perdere un battito.
"Scherzavo, tranquillo, non sapevo dove portarti. Non sembra, ma sono un bravo ragazzo."
Il sospiro di sollievo che tirò fece accigliare il biondo, ma ebbe il buon senso di non fargli ulteriori domande.
Decise che era meglio non sapere altri dettagli sulla serata: probabilmente sarebbe scoppiato il caos.
"Comunque, Capelli di Merda, dovresti spiegarmi una cosa: perché chiamavi me, stanotte? Non credo che eri nelle condizioni di riconoscermi."
Ecco, in quel momento voleva solo sparire.

Sunshine [Bakushima]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora