Ora sapeva come si chiamava.
O meglio, sapeva solo come si chiamava.
Non voleva diventare uno stalker a tutti gli effetti, ma cercò ulteriori informazioni su quel ragazzo.
Ovviamente, nessuna ricerca portò ad un risultato.
Che non volesse farsi trovare?
Ormai non aveva dubbi: voleva sapere di più su di lui, incontrarlo ancora, offrirgli nuovamente da bere.
Nelle sere successive il biondo non si presentò al locale.
Durante un suo turno era rimasto deluso dal trovare quel gruppo di ragazzi seduti ad un tavolo senza Bakugou.
Non volle risultare invadente, pertanto non chiese nulla a riguardo.
Si sentì stupido: poteva almeno chiedergli il numero!
Ancor grazie che avesse avuto il coraggio di chiedergli il nome.
Nessuno si era mai eretto una barriera così spessa. Gli era capitato di passare le serate al bancone a consolare uomini o donne con la vita distrutta, per amore o per soldi oppure per il gatto scappato di casa, ma gli bastava offrire un drink e sorridere perché le persone si aprissero con lui.
Il biondo, invece, si era creato una di quelle pareti che nemmeno una palla demolitrice avrebbe distrutto.
Forse era per questo motivo che la sua ossessione cresceva.
Forse perché per la prima volta aveva fallito.
Invece di far parlare l'altro, si era messo a raccontare le sue stupidaggini!
Aveva stretto troppo il bicchiere fra le mani, mentre lo asciugava, che lo sentì creparsi sotto le dita.
Sospirò pesantemente: si stava forse rammollendo?
Quel broncio lo rincorse a lungo.
Si era persino ritrovato ad osservare ogni viso delle persone che incontrava sui marciapiedi o di quelle che incrociava durante i suoi quotidiani tragitti.
Si rese conto d'essere quasi impazzito quando, un pomeriggio in palestra, si voltava continuamente a vedere chi entrasse dalla porta, finendo in pronto soccorso con una lussazione alla spalla per il peso che gli era scivolato.
"Spiegami come posso lavorare in queste condizioni?" domandò al suo titolare, presentandosi con il braccio al collo per chiedere una settimana di riposo.
"Mi dispiace, farai il possibile. Ti farò affiancare nei turni, ma non posso lasciare il locale scoperto."
Lo detestò con ogni fibra del suo essere, ma accettò: se quel lavoro non gli fosse servito, si sarebbe preso i giorni che gli servivano.
Fu una settimana terribile.
La stanchezza crebbe di giorno in giorno, ritrovandosi a sonnecchiare anche durante le lezioni.
Come se non bastasse, nemmeno superò l'ennesimo esame di matematica.
Fu dura ammetterlo, ma aveva bisogno di ripetizioni.
Una volta ripreso, aveva staccato qualche biglietto con dei numeri di telefono dalla bacheca dell'università.
I ragazzi e le ragazze a cui chiese ripetizioni spesso rifiutavano o avevano prezzi a lui inaccessibili.
Gli rimase un ultimo numero, ma la persona che chiamò non rispose.
"Che palle." si lamentò lanciando sul letto il cellulare, che cadde miseramente a terra dopo aver rimbalzato sul materasso.
Esasperato, raccolse l'apparecchio e si gettò sul letto.
Verso sera venne svegliato dalla suoneria del telefono, capendo di essersi addormentato senza accorgersene.
"Pronto?" rispose con la voce impastata.
"Chi sei?"
Batté un paio di volte gli occhi, chiedendo al suo interlocutore "Chi sei tu?"
"Razza di idiota, mi sono trovato una chiamata!"
Ci mise qualche secondo per poi ricordarsi delle telefonate fatte quel pomeriggio.
"Ah, giusto! Cercavo qualcuno che mi desse ripetizioni di matematica: ho difficoltà a superare un esame."
"Un altro stupido!"
Iniziò ad irritarsi per quegli appellativi poco carini, ma sospirò internamente mantenendo la voce pacata.
Riuscì ad accordarsi per il giorno successivo alle 15 presso la biblioteca comunale.
La quota oraria non era eccessivamente elevata e con qualche ripetizione avrebbe finalmente compreso quella materia che gli stava dando difficoltà.
Una volta chiusa la telefonata, scoppiò a ridere con un "Che razza di tipo.", alzandosi per prepararsi cena nella sala comune del dormitorio.
Quella sera era di riposo lavorativo, quindi dopo aver studiato le lezioni della giornata, si diresse a letto finalmente ad un orario umano.
La mattina seguente fu una corsa continua: aveva dimenticato di sentire la sveglia, i capelli non volevano collaborare, si era versato il caffè sulla camicia quindi era dovuto tornare indietro a cambiarsela e per poco non arrivò in ritardo alla lezione di atletica.
Giusto perché la giornata era iniziata tranquilla, dopo essersi cambiato nello spogliatoio, si ritrovò nuovamente a correre per il lungo campo rosso.
Per non parlare della fretta che aveva avuto il suo compagno al laboratorio di scienze farmaceutica.
"Prendi questo."
"Mi serve quello."
"Leggi qui."
In pausa pranzo, addentò il panino con foga e, senza che se ne rendesse conto, si fece l'orario dell'appuntamento in biblioteca.
"Ciao, io sono arrivato. Come ti riconosco?" scrisse in un messaggio al suo insegnante.
La risposta non tardò e raggiunse il tavolo indicatogli.
Rubini nei rubini.
"Tu?!" esclamarono insieme i due, indicandosi ed attirando l'attenzione dei presenti.
Con leggero imbarazzo si sedette di fronte al ragazzo.
Lo osservò per qualche istante: sembrava avercela con il mondo intero, quasi che la persona che aveva conosciuto al bar fosse tutt'altra.
"Muoviti, non ho tempo da perdere."
Quelle due ore passarono rapidamente: il biondo lo colpiva spesso sulla nuca dandogli dello "stupido" quando non capiva "cose di estrema facilità", mentre il rosso passò tutto il tempo a sorridere e scusarsi.
Stessa cosa accadde nei giorni seguenti.
Si videro ogni giorno, ma presto si accorse che quel ragazzo lo incuriosiva ogni secondo di più. Raramente il biondo passava al bar, ma il cambiamento era lampante: quando in biblioteca sembrava una creatura selvaggia senza regole, in quel locale la quiete e il tormento silenzioso prendevano possesso di quel ragazzo.
Kirishima ammise a se stesso di essersi affezionato e si ripromise di raggirare quella pesante barriera: voleva sapere sempre di più su di lui, ma presto si rese conto di conoscerne sempre e solo il nome e il numero di telefono.
Bakugou invece sapeva ogni cosa dell'altro. Poco ci mancava che conoscesse anche il colore dei boxer, ma avrebbe scommesso che fossero rossi.
A parte i capelli e gli occhi, ogni giorno Kirishima aveva un particolare rosso, dalla maglietta al semplice bracciale di cuoio.
Dopo un paio di settimane, si lasciò sfuggire un "Dai, Bro: non puoi pretendere che alla matematica stia simpatico da un giorno all'altro dopo una vita passata ad odiarmi." provò a scherzare.
Al biondo diede particolarmente fastidio quell'appellativo, tant'è che gli lanciò direttamente il libro in faccia.
Aveva preso anche a mandargli messaggi di augurio per la giornata o la buonanotte, ovviamente senza ricevere risposta.
Prima o poi sapeva che ce l'avrebbe fatta.
Un giorno uscirono dalla biblioteca in tardo pomeriggio.
"Credo che alla prossima sessione, potrei superare l'esame." confessò convinto.
"Sarà meglio per te, capelli di merda."
"Katsuki!"
Una ragazza bionda andò incontro a loro, saltando poi al collo del ragazzo e dandogli un leggero bacio sulle labbra.
"Che cazzo ci fai qui?" domandò il biondo irritato ed imbarazzato allo stesso tempo.
"Volevo farti una sorpresa." rispose lei prendendogli la mano.
"Andiamo."
Dopo un cenno con la testa verso Kirishima in segno di saluto, la coppia si congedò.
Li osservò allontanarsi, mano nella mano, portandosi una delle sue a stringere la stoffa della felpa.
Non capì il senso di vuoto che percepì. Era una sensazione a lui sconosciuta, una di quelle inspiegabili.
Il broncio imbarazzato del biondo gli era impresso nella mente: avrebbe voluto vedere quell'espressione anche per merito suo.
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Sunshine [Bakushima]
FanfictionNon è ambientata nella realtà della storia originale. Due ragazzi normali, senza poteri e minacce. Bakushima.