«Sette»

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Ventitré anni prima
-Ti rendi conto che ha quasi distrutto casa nostra e ferito la domestica? - chiedeva un uomo dall'aspetto curato e dal tono molto autorevole e, a giudicarsi dagli interni, anche molto ricco. L'uomo manteneva uno sguardo severo e fisso sulla donna che lo copriva in parte davanti
-È nostro figlio, lo sai che sta attraversando un momento brusco - rispose lei in tono compassionavole - Cerca di capire, ti prego -
-Cara, va allontanato! È mio figlio credi che io non soffra? - l'uomo richiuse la mano in un pugno e la appoggiò sulla scrivania, mentre la donna sembrava assumere un' espressione grave e laconica sul volto
-nostro figlio - corresse prontamente lei, mentre cercava di massaggiare il dorso della mano dell'uomo - non puoi mandarlo via- biascicava lei - per favore, te lo chiedo per favore. Lui è tutta la nostra vita-
Mentre i due individui ben distinti discutevano nello studio, un bambino ascoltava con le lacrime che gli rigavano il volto. Nella corsa che lp stava portando lontano dall'origliare oltre l'orlo di quella porta, le sue mani muovevano oggetti metallici con la sola forza del pensiero. Il tonfo irruento spaccava e dimenava gli oggetti nel corridoio. Il ragazzino si rinchiuse nella sua stanza, saltò sul lettino e innalzava tutti gli oggetti che lo stavano circondano. La sua testa gli suggeriva:
Erik
Erik, il mostro
Qualche decennio dopo un uomo trasaliva sul divano di un appartamento che non gli ricordava nulla, le flebili luci che entravano sui suoi occhi non gli permettevano di ricordare bene fin tanto che non apparve un volto angelico a lui molto familiare
-Erik-lo scuoteva lui - Erik, sono io! - proseguiva
-Charles- farfugliò
-Devi esserti addormentato, stavamo scrivendo la relazione per domani -
-Scusami- slanciò le spalle per rimettersi composto sul divano
-No, stavi avendo un incubo. Tranquillo, ora è tutto ok? -
-Sì -
-Ultimamente - avanzai  verso di lui - sono molto in pena per te. Perché non mi parli di ciò che ti sta accadendo-
-Charles, lo sai, ne abbiamo parlato - si affrettò a rispondere - potremmo-
-Sì, capisco -  afferrai deluso la cartellina e qualche foglio sottobraccio. Quel bacio non significava proprio nulla. Erik si era preso gioco di me, come al solito. Ero stato tanto sciocco da delineare un'ipotesi nella mia mente? Lui che era così intelligente e disilluso?
-È meglio che io vada -

andavo avanti e indietro nell'angusto appartamento che mi circondava. Portai le dita sulle labbra e riflettevo, non riuscivo a capire. Nulla, in quegli indizi, raccontava una verità quantomeno plausibile. Aprii il mio portatile e iniziai a cercare Lehnsherr, ma non vi era scritto nulla. Erik non appariva in nessuna menzione e non era iscritto a nessun social network. Ridicolo, quell'uomo era un vero e proprio fantasma. La parola Lehnsherr mi rimbombava in testa ma non riuscivo a trovare risultati. Che cosa poteva essere? Un cognome, una città tedesca? Ripresi ad utilizzare le dita meccanicamente, mentre scrivevo velocemente dei tentativi sul pc per trovare informazioni. Trovai poco e niente, non esisteva traccia neanche in questi ultimi tentativi. Ma non necessitavo di un genio per capire che avrei sbrogliato la questione solo seguendo Erik fuori al complesso scolastico. La mattina seguente, Erik non si presentò a lezione disse di avere dei problemi di salute.
Avrei potuto agire con astuzia ma come? Tutti sapevano che Erik non aveva amici, Hans si meravigliava addirittura che lui proferisse parola con me. Tentai di giocare un'ultima carta e di chiedergli di vederci, però a casa sua. Rimasi sorpreso, quando accettò, di ritrovarmi una residenza lussuosa e molto antica Esisteva, addirittura, una piccola sinagoga integrata al suo interno. Certamente l'università non era per tutti i portafogli, ma neppure mi sarei aspettato una ricchezza così importante.
Erik, quando mi vide, mi sembrò manchevole di premura; aveva il volto emaciato da qualcosa e il braccio stranamente graffiato in profondità. Ripetetti all'infinito che lo cose che ormai dicevo da una vita ma parlare con lui era diventato impossibile. In realtà, parlavamo ma lui non ascoltava ciò che avevo da dirgli
-Che cosa sei venuto a fare? - La sua arroganza era stucchevole, mi redarguiva con aria di sufficienza, come se avesse avanti uno zimbello. Io provai a commiserarmi, ma avrei ceduto la vittoria a lui senza battermi con dignità. Dovevo salvarlo quell'uomo.
-A trovare un vecchio amico- calcai l'ultima parola con estrema decisione e lo convinsi a migugnare qualcosa. Mi offrì un bel caffè forte e si limitò a osservarmi senza dire nulla
-Vivi qui da solo? - iniziai, con fare indagatorio - i tuoi non sono in casa? -
-Mia madre è morta- mi contrassi in una smorfia di dolore e strizzai gli occhi in segno di resa
-Scusa, sono troppo inopportuno -
-Sì, lo sei. Da quando sei arrivato ti guardi attorno. È chiaro che sei qui per spiarmi, per fare quelle tue deduzioni da saputello snob- voleva ferirmi
-Erik-
-La verità è che non troverai niente, amico mio- l'ultima sferzata la lasciò morire sulla parola amico. Amico, amico, amico.
-Devo andare via? - mi alzai in piedi disperato, ne stavo avendo abbastanza - vuoi questo? -
-Vorrei che tu capissi di non poter salvare chi è morto e di non poter indagare su chi non ha più passato. -
-Tu puoi farlo-
-Io non voglio fare nulla, sono questo e tu non sei parte di questa storia. Della mia storia. Non sai proprio niente, ora vai-
Decisi di seguire il suo suggerimento, andai via distrutto.

Camminavo a passo svelto nel viottolo berlinese che mi avrebbe ricondotto a casa. Ero stato trattato da schifo da lui, ma avrei dovuto capirlo. Io, Charles Xavier ero un romantico. Una persona che pensava di poter risolvere tutto solo perché dotato di intelligenza e buon senso. Eppure, dopo mesi di esilio volontario dalla mia terra avevo provato solo dolore. Io che detestavo le relazioni, avevo trovato il più grande amore che il mondo potesse offrirmi. Ero stato usurpato, cacciato, abbandonato dall'unico essere umano che mi aveva compreso veramente. Nessuno avrebbe mai sostituito Erik. Raven mi guardava entrare a passo svelto in casa, la mia smorfia contratta le stava suggerendo di lasciarmi perdere. Mi rinchiusi in camera, mi sdraiai sul letto e aspettai l'alba giungere. Per diversi giorni io e Erik non ci guardavammo neppure negli occhi. Consegnavamo i nostri progressi, nella ricerca, separatamente. Lui si assentava e io passavo le serate irretito da alcol e dissolutezza.
Era finita?

Ventitré anni dopo
Dunque è questo ciò che sono.
Il veleno della vita, l'uomo che ruba all'amore per nutrire il marcio.
L'uomo che possiede poteri malefici, l'uomo della disfatta.
Ti ho preso Charles, gettato nelle acque gelide dell'indifferenza. Calpestato con la mia noncuranza.
Tutto un inganno perché io brucio per te esattamente come tu lo fai per me. Sono io a volerti salvare da me.
Ovunque tu sia, Charles, non sarai mai al sicuro con me. Mai.

Dove sei Erik? Dove? Mi parlerai un giorno? Ti rivedrò?

Contrizione, sinonimo della mia sofferenza ¦¦ CherikDove le storie prendono vita. Scoprilo ora