Bunker 307, ore 22:43

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Mirtilla si tiene la testa fra le mani; mugola, come un cane in pena. Scuote il capo e gli occhi restano chiusi, chiusi per non osservare l'inferno che sta per scatenarsi. L'inferno che lei è convinta di non poter più evitare.

Io me ne sto ancora abbracciata al collo di Ivy, in attesa di qualcosa. La visione del braccio ferito di Tonino mi è rimasta impressa nelle retine al punto che, anche se serro le palpebre, quella si riflette sulla mia stessa pelle. E le sue parole, di quel maledetto Puzzone, mi lacerano le orecchie e il cervello, come se lui fosse ancora qui a urlarmi nei timpani.

Lo dobbiamo abbatte'.

Ivy prova a scrollarmisi di dosso per grattarsi il muso con la zampa posteriore. La lascio andare, con il rumore del mio cuore che si incrina e riempie le mura.

Non sta per andarsene. Non è che adesso decideranno per davvero di abbatterla o di costringermi a separarmi da lei. Dopotutto non gli ha fatto niente, era solo un morsetto da niente. No?

No?

Lei si lecca la zampetta. Non sospetta nulla. Non sa di averla combinata davvero grossa, questa volta.

«Ce ne dobbiamo anda',» dice Mirtilla. La sua voce, profonda e spezzata, si fa strada fra i miei pensieri come una luce in un pozzo buio.

La guardo, in silenzio.

«Io me ne vado. Quella cosa è qui con noi¸capisci? È qui!»

Lei ci crede davvero a quello che afferma. Non ha il minimo dubbio che chissà cosa si aggirasse nei tunnel e sia entrata quando Tonino ha aperto la porta.

Delle lacrime se ne stanno appostate agli angoli dei suoi occhi. Non scendono giù, rimangono lì, come congelate.

«Non c'era niente,» le rispondo.

Le pupille di Mirtilla scrutano nelle mie. Cercano a fondo, scavano, alla ricerca di un appiglio, di un guizzo di follia a cui aggrapparsi, un guizzo di terrore da condividere. «Non capisci?» urla. «Era già entrato! Era già entrato, e nessuno se n'è accorto!» Indica Ivy. «Anche il tuo cane lo sa!»

Il mio cane non sa proprio niente. È solo una grossa palla di pelo ansiosa, e null'altro. Basta davvero poco per farla abbaiare.

Eppure...

Eppure non aveva mai morso nessuno prima.

«Lara, vieni con me.» Mirtilla ha gli occhi sbarrati. Mi fa cenno di seguirla e mi supera per dirigersi nella nostra camera.

Non ho idea di cosa aspettarmi, perciò faccio come mi dice e le vado dietro, Ivy al mio fianco. Entriamo nella stanza, dove lei inizia a rovistare nell'armadio e ad afferrare tutti i suoi vestiti per infilarli dentro uno zainetto. Poi osserva la sua collezione di libri. Accarezza il dorso di ognuno di quelli, finché alla fine non agguanta la versione più piccola e maneggevole che possiede dei racconti del Necronomicon e lo spinge insieme ai vestiti.

«Prepara i bagagli, ce ne andiamo,» mi dice.

«Che?» rispondo. «Aspe', ma stai a scherza', vero? Non sei seria.»

«Andiamo a un altro bunker. Qua non siamo sicuri.»

«E invece fuori, nei tunnel, ti senti sicura?»

Mirtilla si congela nella posizione in cui si trova: le dita che pizzicano la zip dello zaino e il ginocchio sul letto. «Ci mettiamo poco fino al bunker 306, e no, non mi sento sicura, ma almeno c'abbiamo una possibilità di sopravvive'.»

«No, senti, io,» alzo le mani e mi mordo la lingua. Non so davvero come rispondere a un'affermazione del genere. Mai come adesso ho pensato che l'appellativo di "la Stramba" fosse così azzeccato per lei. Il suo ragionamento non ha senso, e si può scordare che la seguirò nei tunnel senza un motivo.

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