Il Bunker 306 è identico al 307. Stesse pareti grigie, stesso poco spazio e stessa disposizione delle stanze. Trovo l'infermeria proprio dove l'avrei trovata in quella che chiamavo casa; l'unica differenza è che qui il sangue imbratta i letti e le attrezzature sono in un totale caos. Suppongo non sia molto diversa dalla nostra infermeria, dopo l'attacco di Tonino, ma per lo meno non avrò mai la possibilità di vederla.
Quando mi avvicino alla cucina, arrivano le voci. Non capisco cosa stiano borbottando, soprattutto perché un ragazzo biascica ogni singola parola. L'altro timbro però lo riconosco subito: Mirtilla. Se il tizio che non conosco alza il tono, lei non pare scomporsi più di tanto.
Io e Ivy facciamo il nostro ingresso nel bel mezzo di un «Vattén'!» La punta di un fucile da caccia balla davanti alla fronte di Mirtilla.
A reggerlo è un ragazzo su per giù della mia stessa età. Capelli ricci e arruffati. Barba incolta. Fisico tarchiato. Si gira nella mia direzione, portandosi appresso il fucile per puntarmelo addosso. Trema in maniera tanto vistosa da rendersi ridicolo. «Chi shi tu?»
Batto le palpebre. Parla un dialetto più stretto di Mario, nonostante sia così giovane. In altre circostanze, non gli rivolgerei nemmeno la parola. Considerata la situazione, alzo le mani. «Scusaci, noi...»
«Vogliamo solo qualcosa da mangia'» mi interrompe Mirtilla. «Poi ce ne andiamo.»
Il ragazzo abbassa lo sguardo su Ivy. Sospira a fondo. «Già c'ho poco da magna' qua. Col cazz' propri' che lo do a vu.»
Non sento un gergo tanto stretto da tanto di quel tempo che il mio traduttore automatico per un attimo fa cilecca. Mi ritrovo ad alzare le sopracciglia, mentre il cervello fa un'analisi veloce dei suoni disarticolati emessi dal ragazzo e mi manda una trasposizione.
Ha poche razioni e col cazzo proprio le darà a noi.
«Il nostro bunker è stato attaccato» fa Mirtilla. Lui si gira verso di lei. È così stupido che nemmeno si rende conto di darmi la schiena e di essere potenzialmente facile da aggredire. Se volessi, potrei buttarmi addosso a lui, circondargli il collo e premergli il braccio contro la carotide.
«Manch'i steng' propri' bon' qua, eh.» Manco lui sta messo proprio bene. Considerati i cadaveri ammucchiati all'entrata, di certo non posso dargli torto.
«Ci prendiamo qualcosa e ce ne andiamo» dice Mirtilla.
Lui pare pensarci un attimo. Abbassa il fucile. «Quei cosi si so' fregati tutte le riserve. O quasi.» Ecco. Adesso sì che il mio traduttore simultaneo ha ripreso a funzionare. Anche se rimane un po' arrugginito.
«Quali cosi?»
«Ne ho incontrati tre qua fuori» mi intrometto.
Il ragazzo spalanca gli occhi. «Li hai visti allora?»
«I mostri-gatto, intendi?»
Lui annuisce. Il fucile ormai gli penzola su un fianco. Va a sedersi su una sedia posta vicino alle mensole. Chiunque si occupasse delle provviste e della cucina doveva averla messa lì per prendersi una pausa ogni tanto, fra una spadellata e l'altra. «E mo'? Dove stanno?»
«Li ho chiusi fuori.»
Borbotta qualcosa che non capisco. Una bestemmia, forse, o magari una frase di rassegnazione. Non lascia nemmeno intendere se la notizia ai suoi occhi sia buona o cattiva.
«Che sono?» chiede Mirtilla, rivolta sia a me che a lui.
«I gatti della signora Diodati» spiega il ragazzo. Mi ricordo vagamente di Mario che parlava di una donna nel bunker 306 con una quantità eccessiva di gatti. «Circa un paio di giorni fa, forse di più, la signora non ci stava a da' più notizie. Rimaneva rinchiusa nella stanza sua. Ci siamo preoccupati, così mio fratello è andato a vede' come stava. Quando è entrato, i gatti se lo so' magnato.»
Considerati i gatti in questione, la cosa non mi stupisce più di tanto. Morivano dalla voglia di sgranocchiarmi e, se non fosse stato per Ivy, a questo punto sarei poco più di un ossicino incastrato nei loro denti. Mi sale un brivido lungo tutto il corpo.
«S'erano magnati pure la padrona. La stanza sua puzzava di morte. Poi so' usciti e han' cumenzat' a assali' tutti. Qualcuno ha provato a scappa' fuori, ma li hanno ripresi tutti, uccisi e ammucchiati dentro.»
Un incubo non molto diverso da quello che ho vissuto io. Qualcosa dentro di me si sgretola. Non so cos'è, ma lo sento frantumarsi a poco a poco nel petto.
«Poi si so' scrofanati tutte le provviste, qua.» Il ragazzo fa svolazzare la mano per indicare le mensole mezze vuote. «Ho raccattato i rimasugli quando si so' allontanati e mi so' nascosto tutto il tempo.»
«Perché non sei scappato?» chiede Mirtilla.
«Mi avrebbero raggiunto. Non si può scappa', se ne accorgono e ti inseguono. Se rimango qua, sanno che ci sto e non mi cercano, tanto per mo' c'hanno il bottino ancora fresco.»
«Cioè, secondo te ragionano?» dico.
Il ragazzo scuote la testa, passandosi una mano fra i capelli. «So' proprio come i gatti. Se ti vedono, vogliono gioca' co' te, come co' n'instetto. Se sanno che stai in giro per qua, giocano a fa' i predatori. Fanno finta di non vederti.»
Il suo ragionamento potrebbe anche avere un suo perché, però non mi convince. La questione è troppo strana. Se i cadaveri ammucchiati sono la loro razione di cibo, allora perché si sono scrofanati tutta la cucina? Dal suo racconto, non sembrano creature a cui interessa assicurarsi i prossimi pasti.
Sono convinta ci sia un motivo diverso per cui hanno ammassato tutti quei corpi. Forse sono un po' come Alien: preparano degli involucri adatti per ospitare altre creature come loro. Questo però non spiega il motivo per cui hanno mangiato il fratello di questo ragazzo, o la loro stessa padrona.
E in tutto questo, sorge anche un'altra domanda: come e perché i gatti della signora Diodati si sono trasformati in questi mostri privi di logica. Tonino almeno posso supporre che sia accaduto tutto nel momento in cui ha aperto la porta. In quest'altro caso invece ho troppi pochi indizi anche solo per ipotizzare.
«Avevo aperto io la porta» dice il ragazzo. Si alza in piedi e mi si avvicina. È più alto di quanto mi fosse sembrato all'inizio. «Volevo attirarli fuori e poi chiudermi dentro.»
Per un attimo oso sorridere. Allora ho fatto bene a sbarrarli fuori. «Magari la prossima volta puoi lascia' un cartello» ironizzo.
Tende le labbra, soltanto per un istante. «Il fatto è che tu nei incontrati tre» dice, «ma in tutto so' cinque.»
Ovviamente. Una cazzo di fortuna mai. «Quindi ce ne stanno ancora due, qua» deduco.
«Shi. Ma va bene così. C'ho un piano.»
«Che tipo di piano?» chiede Mirtilla.
«Per sfracchiarli.»
Abbasso gli occhi sul suo fucile. In effetti, un'arma da fuoco potrebbe essere abbastanza per fermarli. Non posso averne la certezza, certo, ma almeno possiamo provare. Non sono zombie, credo, però una bella pallottola in testa ammazzerebbe chiunque, perciò...
«Mi servite voi però» dice il ragazzo. Guarda me e ignora Mirtilla, che nel frattempo mi si è affiancata. «Da solo non posso.»
«Veramente...»
«Ci stiamo» mi interrompe Mirtilla.
Mi mordo l'interno della guancia per trattenere un'imprecazione. Non la vuole proprio smettere di prendere decisioni azzardate da sola. Sì che dopotutto è la stessa persona fuggita dal bunker prima ancora dell'attacco di Tonino, senza uno straccio di prova. Mi sa che finché resto accanto a lei avrò poco tempo per riflettere sul da farsi.
«Bene. Ah, io so' Davide.» Il ragazzo continua a guardare me mentre si presenta.
Mi mette inquietudine. Va bene che Mirtilla è un tipo inquietante e fra le due io sono la meno stramba – il che è tutto dire – però insomma, un minimo potrebbe pure filarsela.
«Lara» rispondo. «Lei è Ivy.»
«Mirtilla.»
Davide fa un cenno col capo. «Venite con me, vi spiego per strada.»
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In The Underground
HorrorDopo lo scoppio di una gigantesca guerra nucleare, il mondo in superficie è diventato ormai invivibile. I sopravvissuti si sono raggruppati in dei giganteschi bunker sotterranei, collegati l'uno all'altro attraverso un intricato sistema di tunnel, d...