Bunker 305, ore 23:09

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Appena mi sveglio, il respiro pesante di qualcuno accanto a me mi accoglie. Resto immobile, a fingere di essere ancora addormentata, per ascoltarlo ancora per un po'. Quel regolare inspirare ed espirare mi rilassa. I ricordi di un passato lontano, di una finta tranquillità, mi compaiono nella mente. Sono come immagini, accompagnate da quel semplice respiro.

Un corpo è seduto al mio capezzale. La sua mano mi tocca il braccio, di tanto in tanto.

Vorrei rimanere qui per sempre, in questo mondo sereno, privo di conflitti, privo di mostri, privo di morte. Apro gli occhi, per incontrare il viso di Giulia, la sua espressione corrucciata che si distende non appena si accorge che sono cosciente. Alzo il busto e, senza il bisogno di comandare nulla al mio corpo, le mie braccia la circondano. Una serie di lacrime si mescola ai suoi capelli; le sue mi scivolano sulla pelle del collo.

Nessuna di noi due desidera davvero restare in questa realtà, per quanto calma, per quanto calda e familiare. La mancanza del muso umidiccio sempre pronto a leccarmi la mano al risveglio, della pelliccia ruvida o degli occhioni neri che mi chiedono le coccole fa troppo male. Adesso che la mia vita ha assunto, anche se solo per un attimo, le sembianze di un'esistenza normale, la consapevolezza della sua assenza mi ferisce l'anima.

Non saprei dire quanto a lungo restiamo così, ad aggrapparci l'una all'altra nella speranza di non perdere la presa sulla realtà. Di non affogare nel nostro dolore.

Troppo tempo.

Troppo poco.

Che differenza fa?

«Mamma e papà sono stati ad aspettarti tutto il giorno» dice Giulia, senza lasciarmi andare. «Poi si è fatto tardi e sono andati a dormire.»

Nell'infermeria non c'è alcuna differenza fra il giorno e la notte. In nessun luogo, qui sotto, c'è mai differenza. Ho quasi dimenticato la bellezza della luce pura del sole e, quando provo a immaginarla, non mi discosto mai molto dalle lampade gialline che illuminano i bunker.

«Quanto tempo ho dormito?» chiedo, seppur, in fondo, non voglia davvero conoscere la risposta.

«Due giorni.» Giulia spezza la nostra stretta. Mi lascia da sola, ad aggrapparmi a nient'altro che alla mia disperazione. Quando capisce che non ho intenzione di parlare, ma solo di fissare le coperte, continua: «Davide ha cercato di spiegare la situazione a tutti. In tanti credono che sia pazzo, però è riuscito a convincere a non aprire più la porta per nessun motivo e non mandare nessuno fuori per un po'.»

Annuisco, ancora in silenzio. Non saprei come risponderle. Sono contenta che, in un modo o nell'altro, quello zotico di Davide sia riuscito a mettere al sicuro almeno la gente di questo bunker. Non so per quanto durerà la pace, ma per il momento è già qualcosa. Una piccola vittoria.

«La', non lo fare.» Giulia mi stringe la spalla tanto forte da provocarmi dolore. La scanso con una smorfia in volto.

«Forse è ancora viva. Non la lascio là dentro a mori', non da sola.»

«Ma ti rendi conto che è una follia? Vuoi veramente anda' in un posto pieno di mostri? Dopo che a culo sei sopravvissuta per arrivare qua?» Lei alza la voce.

Non alzo gli occhi dalle coperte. «Non ce la lascio, là.» Anche se potrebbe essere troppo tardi. Anche se Maria mi ha detto di arrendermi. Anche se è proprio lì che lei voleva portarmi, e io ho combattuto per evitare quel destino. Ma voglio andare, trovare Mirtilla, prenderla a calci in culo finché non implora pietà e ammazzarla.

E poi tornare qui con Ivy al mio fianco.

Lo so che è ridicolo, lo so che è una speranza inutile, però se perdo anche quella potrei impazzire.

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