Tunnel, ore 15:15

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L'entrata del bunker 300 è sigillata. La sostanza nera ricopre il pavimento e le pareti e la porta. La osservo a lungo, senza sapere bene cosa aspettarmi, e noto che quello schifo sta scavando il muro, infiltrandosi all'interno. Potrebbe essere questo il modo in cui ha raggiunto le persone, la prima volta.

Da dove sia arrivata però non ne ho la minima idea. Né mi interessa, al momento.

Con un sospiro, metto via la torcia e sfioro la mannaia, che ho legato ai pantaloni per evitare di dovermela portare in mano tutto il tempo. Non è il caso di andare ad affrontare il boss finale con uno sfogo bruciante sulla pelle delle mani.

Alzo il pugno, per battere contro la porta, ma esito. Sta per arrivare il momento della verità. Oggi scoprirò se Ivy e Cris sono ancora vivi, se davvero sto rischiando per un motivo oppure se mi sto suicidando per il puro gusto di mandare tutto a puttane. Ho una paura fottuta. Di morire, sì, ma anche di distruggere la speranza che fino ad ora mi ha tenuta in vita.

Poi la porta si apre, prima ancora che io trovi il coraggio di annunciare la mia presenza. Il volto di Mirtilla mi accoglie assieme alla luce tremolante delle lampade. Sorride nel vedermi, e spalanca gli occhi, come a fingere una certa sorpresa. Quanto cazzo vorrei spaccarmi le nocche sulla sua stupida faccia. Voglio vederla sanguinare, implorarmi pietà.

«La', sei viva! Per fortuna!» dice, e io annuisco. Fa finta di niente, la stronza. «Vieni, fuori è pericoloso!» Non c'è traccia della sua solita goffagine quando si sposta e mi lascia entrare, né quando richiude la porta dietro di me.

La seguo senza parlare. Lei non si aspetta una risposta e io di certo non voglio fare conversazione. Il modo in cui finge che tutto sia normale mi fa salire il sangue al cervello. È una sensazione tanto forte da annebbiarmi quasi i sensi.

Mi aspettavo pile di cadaveri ad accogliermi, invece trovo solo delle macchie di sangue. Enormi pozze, striscie lasciate da corpi che si sono trascinati nonostante il dolore, o che forse sono stati spostati da qualcun altro. Sul muro noto l'impronta di una mano: sembra quasi un avvertimento, un modo per dirmi di fermarmi adesso e tornare indietro, dove tutto quest'inferno ancora non è arrivato, a vivere un'esistenza tranquilla finché i mostri non raggiungono anche quel piccolo paradiso.

Avverto all'improvviso un dolore sotto le piante dei piedi. Non vogliono più avanzare. Mi pregano attraverso le fitte di non accodarmi a Mirtilla, di non cadere nella sua trappola.

«Pensavo che eri morta» dice lei, mentre mi fa strada lungo il corridoio. «Sono contenta che sei ancora viva, però. Qua non ci sta più nessuno, i mostri si devono esse' mangiati tutti e poi se ne so' andati.»

Le dita mi si stringono attorno all'impugnatura della mannaia. Il contatto con il cuoio mi regala una scarica di bruciore sulla pelle.

Accelero il passo e alzo l'arma, fino a toccare il collo di Mirtilla con la lama. Lei si paralizza all'istante.

«Falla finita con 'sta messinscena del cazzo» sbotto. «Dove sta Ivy? Mi hai detto che stava qua, no?»

Non vedo la sua espressione ma soltanto la nuca e i capelli lunghi e sporchi che le cadono sulla schiena, eppure sono sicura che stia sorridendo. Percepisco, in qualche modo, le sue labbra tendersi, e sospetto che anche lo sguardo sia mutato. Quella che si spaccia per Mirtilla la Stramba è uscita allo scoperto.

«Quindi lo sai.» Avvicino ancora di più la lama, e lei non si muove. «Allora suppongo sia inutile continuare a far finta di nulla. Incredibile. Sei venuta davvero qui per quel cane pulcioso?»

«Dov'è?» chiedo ancora. Non ho nessuna intenzione di rispondere ai suoi vaneggiamenti da cattiva dei film. Sono venuta fin qui per un solo motivo.

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