Tunnel, ore 00:01

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Muoio di sonno. Come se non bastassero le ginocchia che mi pulsano a ogni passo e il sangue che piano piano inizia ad asciugarsi. Grazie all'aiuto di Mirtilla e della sua torcia, ho scoperto di essermi sbucciata: la vista della pelle ferita porta il ricordo di quella di Tonino che si scioglie. Fermare i conati di vomito è davvero arduo.

Il tunnel intimorisce meno adesso che posso vedere dove metto i piedi. Una patina nera e lucida ricopre alcuni sprazzi di muri. Non oso mai avvinarmi e me ne sto sempre a distanza, le braccia appicciate al corpo, per evitare di toccarla. Il brutto odore che emana permea l'intero luogo.

Ivy annusa di continuo l'aria, come se cercasse di capire cose sia. Poi mi guarda: gli occhi, due grandi bottoni neri e lucidi, mi chiedono spiegazioni, o forse vogliono solo conforto. Le rispondo con una mano sulla testa. Mi piacerebbe poterla rassicurare, ma capisco la situazione ancora meno di lei. Ho paura che i miei sensi poco sviluppati non mi permettano di notare tutti gli indizi di cui lei invece è consapevole.

Anche Mirtilla ha l'aria di una che si regge in piedi per miracolo. Borbotta cose senza senso e ciondola, anziché camminare. Alle volte, mi capita di scorgerle i lineamenti tirati e i muscoli facciali contratti.

«Oh, tutto apposto?» le chiedo in un'occasione.

Lei si gira nella mia direzione di scatto. Mi ricorda una civetta. «Eh?» Distende le labbra. «S-sì, tutto okay. Solo un po' di mal di testa.»

«Lo shock» rispondo.

«Ah-ah.»

La conversazione muore qui. Lei borbotta qualcosa di poco sensato, come suo solito, e mi sorprendo di esserne rassicurata: se lei si comporta come ha sempre fatto, posso fingere che nulla sia mai successo. Posso distrarmi con le sue teorie tanto stravaganti quanto familiari.

«Tonino è diventato un mostro. Un mostro che ha attaccato gli altri. Quindi non è stato niente a entra', era lui. C'ha sempre avuto la possibilità di trasformarsi? Oppure qualcosa l'ha fatto diventa' così? Sì, sì, deve esse' così per forza. Sennò chi bussava?»

Non so se concordare con Mirtilla oppure no. La causa deve essere per forza qualcosa fuori. Sospetto però che la sostanza schifosa che ricopre i muri c'entri in qualche modo. È una convinzione senza fondamenta, escluso l'odore che la accomuna a Tonino, eppure ne sono quasi sicura.

Ogni tanto mi volto a cercare Cristopher, Antonio, o perfino Mario e Maria, o chiunque altro del bunker. In un'occasione lo vedo, magro e consumato, che mi corre incontro mentre sventola un coltello arrugginito in aria, ma scompare subito dopo. L'adrenalina mi ha lasciata del tutto; quel che rimane è la stanchezza di una notte senza sonno e le visioni che ne conseguono.

Se non fosse per l'evenienza di un Tonino alle calcagna, o per la sua brutta faccia che mi tormenta quando chiudo gli occhi, assieme alla sua pancia rigonfia, mi sdraierei qui a dormire. Incurante di tutto. Per fortuna la presenza di Mirtilla mi convince a restare sveglia e proseguire, finché le gambe me lo consentono e il cervello non mi esplode per l'ansia. Ivy mi sorregge quando sto per gettare la spugna.

«Eccoci.» Mirtilla dirige il fascio di luce su una fessura nel muro davanti a noi.

La sostanza nera e viscida riveste la scritta "Bunker 306". La porta blindata ci invita a entrare, già spalancata, e a farci strada in una stanza dalla luce flebile.

Le ginocchia non mi reggono, ancora una volta. Resto in piedi nonostante mi cedano, ma continuano a tremarmi.

«No» dico. Mirtilla mi guarda. «Qua non ci entro, manco per il cazzo.» Scuoto la testa, più per scacciare i ricordi non che per dare enfasi alle mie parole.

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