Tunnel, ore 18:26

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Secondo il racconto di Cris e Antonio, Maria si comporta in modo strano da quando sono usciti dal bunker. Dopo aver salvato un Cris in piena lotta contro Tonino, perdendo il braccio di Antonio, sono fuggiti senza neanche controllare che ci fossero altri sopravvissuti. Per un giorno intero, il mostro, un tempo un nostro compagno, non li aveva seguiti.

Soltanto questo pomeriggio è sbucato dal nulla, giusto in tempo per salvarli da un gatto pompato. E per salvare me e Davide.

Nonostante la confusione che mi attanaglia i pensieri, una domanda continua a lacerare ogni preoccupazione: le creature erano in guerra fra loro? Davo per scontata la loro unione contro di noi, ma forse mi sbagliavo, forse ognuno di loro ha degli obiettivi diversi, contrastanti con quelli degli altri.

Mario rimane silenzioso per tutto il tragitto; nessuno si stupisce della mia poca voglia di parlare, non sono mai stata una chiacchierona, ma lui mi sorprende. Tanto è concentrato a occuparsi di Maria, a trascinarsela dietro e a ripulirla con un panno ormai lercio dal suo stesso vomito, che si comporta quasi come se noi non ci fossimo.

A capo del gruppetto, Davide ci fa strada con la sua torcia. Nonostante tutto, si è ambientato piuttosto facilmente con i sopravvissuti del bunker 307. Continua a lanciarmi occhiate di tanto in tanto e, anche se si volta non appena rispondo al suo sguardo, non accorgersene è impossibile. Suppongo che, dopo la bella avventura passata insieme, senta un legame particolare fra di noi, una sorta di filo rosso della sfiga e della disgrazia.

Il mio dolore al braccio mi riempie la giornata. Contare le pulsazioni delle vene che circondano la ferita o le fitte di dolore acuto mi aiuta a rimanere concentrata. Ci sono momenti in cui sento il muso di Ivy sbattermi contro la mano, piano, per richiamare la mia attenzione. Per evitare le lacrime o una crisi, mi concentro sulle sensazioni del mio corpo: per quanto strazianti possano essere, le preferisco di gran lunga.

Il tunnel si dirama in tante direzioni. Davide spende minuti interi sui cartelli ogni volta. Con le lettere mezze cancellate, impiega ragionamenti su ragionamenti per comprendere la posizione del bunker 305. Ragionamenti che, per me e il mio cervello dalla logica astratta, non hanno alcun senso. Lui però sembra capirci qualcosa mimando con le braccia la strada che percorreva da un paese all'altro in superficie. Antonio lo aiuta, completando le lacune di lui.

Siamo proprio di fronte uno di questi cartelli adesso, ad aspettare che i due arrivino a una conclusione. La sostanza nera lo ricopre nel punto esatto in cui sarebbero dovuti esserci i numeri. Sgocciola a terra, ed è su quella che fisso la mia attenzione nell'attesa.

«'Sto cazzo di posto è nu labirinto!» esclama Davide, grattandosi la testa.

Mario fa stendere Maria sul lato opposto del muro. Le tiene la spalla finché non si è assicurato che si sia sistemata, poi la lascia per avvicinarsi a noi. Giurerei di aver visto i suoi baffi tremare, in puro stile cartone animato.

«Ci diamo una mossa?» sbotta.

«Non è 'na cosa facile, Ma'» risponde Antonio, con una pazienza incredibile. Più tempo trascorro con lui e meno comprendo il perché del suo soprannome "la Cacata". Vorrei essere anche io una cacata come lui, allora.

«Non gli fa pesta' quella merda.» Davide accenna a Maria e le punta la torcia addosso. Lei lancia un verso stridulo di protesta.

Osservo con attenzione, e soltanto adesso mi accorgo che la sostanza nera si agita proprio sotto il sedere della donna.

«Ma quale merda?» fa Mario.

«Quella merda là! Prima se l'è presa con me, mi ha tipo intrappolato la mano. Non so che è, ma non la toccate.»

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