Tunnel, ore 19:00

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L'ammasso di organi e filamenti e schifo tiene Cris sollevato in aria; la testa gli sfiora di poco il soffitto. Perfino al buio, il rosso dei suoi occhi mi colpisce.

«Voi siete persone che meritano» dice Maria «di continuare a esistere.»

Per il mio cervello le sue parole non hanno alcun senso. Tuttavia non m'importerebbe di chiederle spiegazioni nemmeno se dalle mie labbra uscisse qualcosa di più di un misero rantolo soffocato. Perché il cricetino è resuscitato e corre come un forsennato per girare la ruota e permettermi di connettere i neuroni: un solo pensiero mi martella nella testa, incessante. Trovare un modo per liberare Cris.

Armata solo di un accendino però non posso fare nulla.

«Prendo anche te, tranquilla, non serve che ti scervelli» mi prende in giro Maria. Oltre la pelle strappata dello stomaco e del petto, oltre la mostruosità che è diventata, un sorriso si fa largo sul suo volto.

Scaglia Cris contro il pavimento, dietro di sé; lo vedo affondarci dentro, come se fosse finito su delle sabbie mobili. Il qualcosa che si muove e lo ricopre, mentre lui si dimena e urla, è nero e denso e ancora più buio del tunnel.

Se mi lanciassi in avanti adesso, forse potrei raggiungerlo e tirarlo fuori. Lo penso. Penso di farlo. Ma non mi muovo.

E poi è il mio turno.

Maria dirige la sua arma di organi verso di me; la fa sbattere a terra, proprio al mio fianco, e la forza dell'impatto fa tremare i muri. Mi aggrappo alla parete, dove il viscidume mi accoglie a braccia aperte. Mi risale lungo la pelle, prova a infiltrarsi nei pori. La puzza nauseante quasi mi fa perdere i sensi.

Do uno strattone e riesco a liberarmi. Lancio un'occhiata a Cris, ormai un ammasso di sostanza nera.

Scusami.

Inizio a scappare ben prima che Maria mi attacchi di nuovo. Lo zaino sussulta e mi sbatte contro la schiena a ogni passo. Tengo ancora stretto fra le dita l'accendino, l'unica arma che ho. Funzionale, certo, forse contro una creatura grande quanto uno scarafaggio; contro Maria e il suo schifo di organi ambulanti, direi di avere poche possibilità di vittoria.

Non che continuare a correre senza sapere dove sto mettendo i piedi alzi le mie probabilità di sopravvivere.

Per lo meno, gli occhi mi si sono abituati abbastanza da distinguere la parete che mi si presenta di fronte. La strada si dirama in due direzioni e io, senza stare a riflettere, mi infilo in quella di sinistra, solo per ritrovarmi di fronte almeno tre possibilità. Scelgo ancora, del tutto a caso, poi mi appiattisco contro la parete e trattengo il fiato.

«Dove sei?» Maria si ferma proprio davanti al primo bivio. La sua voce, per quanto distorta, suona fin troppo calma. «Dove sei andata, Lara? Non volevi tornare da Ivy?» La risata che segue mi fa gelare il sangue.

Solo sentir nominare Ivy mi provoca una strana reazione. Le pelle delle dita, della nuca, delle braccia e delle gambe mi freme. Cerco di non concentrarmi sul bruciore nel petto, sul desiderio di sapere.

Ivy sta bene, e quando mi sarò liberata di 'sta stronza del cazzo andrò a riprendermela.

Sì, esatto. Tranquillizzo il respiro mentre continuo a ripetere mentalmente quest'unica frase. La calma aumenta non appena il rumore di passi e di muscoli che si strappano si allontana verso un'altra strada.

Rimango dove sono, non si sa mai che quella bastarda mi senta con chissà quale udito bionico se dovessi spostarmi. La sostanza nera mi striscia sulla spalla, ma la ignoro. Liberarsi, fintanto che ho ancora tutti gli arti liberi, dovrebbe essere facile, perciò preferisco preoccuparmi prima di Maria.

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