Such a home skillet

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     Potei seguire la sua figura con lo sguardo, mentre si allontanava da me e si disperdeva tra la folla; per il resto della notte, di lui, non ne scorsi neanche l'ombra.

Certo, questo non avrebbe dovuto sorprendermi: tra tutto quel caos, sarebbe stato difficile ritrovarlo anche se ci avessi provato.

Lo sapevo, eppure, per tutto il tempo trascorso all'Infinite, non riuscii a trattenermi dall'alzare di tanto in tanto lo sguardo per osservarmi attorno, quasi avessi bisogno di rivederlo ancora.

E in effetti, io ne avevo bisogno.

     Avevo bisogno di sapere chi fosse, di capire come facessimo a conoscerci.

Perché era questa l'unica cosa che mi era chiara dopo quell'incontro: lui conosceva me e io, nonostante non lo ricordassi, conoscevo lui.

La rabbia, l'irritazione che provavo per quel suo atteggiamento e per la lite con la quale c'eravamo scontrati, svanirono come fumo nell'aria nell'istante stesso in cui mi aveva detto quell'ultima frase.

Le sue parole rimbombavano nella mia mente più di quanto lo facesse la musica nella sala e anche se se n'era andato, l'immagine di lui non aveva più lasciato i miei pensieri.

     Mi perseguitò per tutta la notte, anche quando seguii il suo consiglio e tornai insieme a Cole all'istituto.

«Mia ?»

Mi tormentai per ore cercando di scavare nei meandri della mia memoria, alla ricerca di un lembo di ricordo a cui aggrapparmi per capire chi fosse.

Tutto senza che ci riuscissi.

«Mia !»

     Uno scossone mi colpì all'improvviso, scuotendomi il corpo e strappandomi al sonno. Quando aprii le palpebre ancora pesanti, tra le vividi luci del mattino, riuscii appena a distinguere i lineamenti di una figura sfocata e minuta che sostava accanto al mio letto.

«Mia, sono le otto, se la signorina Glavens ti trova qui ti uccide» la voce morbida e impacciata di Lula mi parlò quasi con allarmismo.

Mi misi a sedere come meglio potei, strofinando gli occhi ancora impastati di mascara con i palmi.

     «Sono tutti scesi nella cappella per la messa ma io non volevo lasciarti qui»

Alzai su di lei lo sguardo e lasciai cadere le mani sulle lenzuola gialle.

Ora che riuscivo a vederla bene, notai come i suoi occhioni azzurri squadrassero ogni centimetro del mio viso, in attesa che pronunciassi parola.

Feci un sospiro e le rivolsi un flebile sorriso a labbra chiuse.

     «Lula così finiremo entrambe nei guai» il mio tono suonò quasi paterno.

Aveva puntellato le ginocchia sul bordo del materasso, con le mani aggrappate alla coperta di lana; sul suo visino pallido, le sopracciglia si incurvarono verso il basso in un espressione rammaricata.

«Scusa»

«No ! Non inten...» le parole mi morirono in gola: rimproverarla l'ennesima volta per quel suo atteggiamento remissivo era inutile.

Inutile nello stesso modo in cui lo erano state le volte precedenti.

     Pur non avendo uno straccio di colpa, pur non essendoci nessun motivo, Lula si scusava.

Se la terra d'un tratto si fosse ribaltata, lei si sarebbe scusata anche per quello.

Dal giorno in cui arrivò, nel corso degli anni, aveva sempre mantenuto la generosità di una suora e l'ingenuità di chi non sa cosa sia il male.

     E quando la vidi scender giù dal mio letto, mentre si tirava goffamente i capelli biondi dietro le spalle, mi colse il pensiero che quella sua caratteristica, sotto gli occhi delle persone sbagliate, sarebbe potuto sembrare una debolezza.

«Lula, posso... posso chiederti una cosa ?»

Le parole si formarono da se e quando glielo domandai, la bambina mi guardò tra sorpresa e contentezza.

«Certo Mia»

Con un gesto secco, mi tolsi di dosso le lenzuola e la presi per mano.

     Dopo aver lanciato uno sguardo alla porta d'entrata, scavalcammo la branda e ci nascondemmo dietro di essa. Ci sedemmo a terra, sul pavimento in pietra, nell'angusto spazio che c'era tra il mio letto e quello della mia amica Eugenia. Rabbrividii quando la mia pelle ancora accaldata per via del sonno, toccò il suolo gelato del dormitorio.

     Prima che prendessi il discorso, un luccichio improvviso mi arrivò agli occhi, catturando l'attenzione del mio sguardo: i raggi di sole che filtravano dalle finestre, s'infrangevano contro il bracciale che Lula aveva al polso.

«E' davvero bello»

Con un cenno del mento le indicai il gioiello e
un sorriso genuino le solleticò le labbra; «Ti piace ?»

«Sì»

«Grazie, me l'ha regalato la signorina Glavens due anni fa per natale» disse gioiosa, guardandolo con affetto.

«Voleva che avessi un ricordo di noi, sai... quando ti hanno presa» asserii, quasi titubante.

Lula attese qualche attimo prima di rispondere: «Non lo so, cioè, la signorina Glavens mi ha detto solo che lo avevo quando mi hanno trovata»

«Allora non è un regalo»

Sgranò gli occhi: «N-non lo è ?»

«Era già tuo. Non te l'ha regalato, te l'ha semplicemente restituito»

Mi guardò con gli occhi spalancati, sorpresa dalla disillusione, mormorando un semplice Ah.

Mi dovetti mordere la lingua per non scoppiare a ridere difronte alla sua espressione.

Era quasi incredibile come, certe volte, riuscivo ad essere davvero una stronza.

«Comunque è bello lo stesso» la rassicurai quando ritrovai contegno, prendendole il polso sottile tra le mie mani.

Mi persi a guardare il suo gioiello, dalle rifiniture argentate e le piccole pietre brillanti e per un attimo mi zitti: dovevo trovare il coraggio di fargli quella domanda che da mesi mi martellava la testa.

Mi avvicinai a lei, in tono confidenziale, gettando a capofitto lo sguardo nei suoi occhi teneri.

«T'hanno trattato bene ? La famiglia dov'eri prima, intendo»

Lula s'illuminò.

«Sì. Era una famiglia davvero gentile e la signora Gwen mi trattava come fossi sua figlia per davvero» appoggiò i palmi sul pavimento e si sporse verso di me, con le labbra stese in un largo sorriso.

«Sei sicura ?»

«Certo che lo sono !» si mise a ridere «Sai che lei mi ha persino detto di chiamarla 'mamma' ? Io pensavo che fosse strano, però...»

«Lula, perché sei tornata ?» la interruppi bruscamente.

Senza che me ne accorsi, strinsi la mia presa sul suo polso, prendendo ad accarezzarle la pelle col pollice: «Nessuno qui dentro rinuncerebbe ad avere una vera famiglia»

Ancora una volta, Lula mi guardò con sincera e ingenua sorpresa:

«Ma perché noi non lo siamo ?»

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15thFebruary2020

𝐈𝐌𝐌𝐎𝐑𝐀𝐋 𝐋𝐔𝐒𝐓 || 𝒉.𝒔.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora