Wrong ways

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🎚 Labrinth- Planning date

Harry.

Il suono del suo nome, per un attimo, riportò il silenzio.

     Quel tintinnio che mi assordava il capo si zittì e da quel momento tutto, tra me e lui, sembrò avere un senso.

     E nel mentre che, dentro di me, il rumore del caos pareva affievolirsi, fuori aumentava...

Soprappensiero, aggrappai lo sguardo alle gocce di acqua che costellavano il vetro dell'auto, nell'attesa di raggiungere quella che sarebbe stata la mia casa.

Fuori dalla Rover 820 della Glavens, dietro quel vetro imperlato, il paesaggio livido e smorto della città scorreva come il nastro di una bobina nel proiettore.

     La notte era calata già da un paio d'ore e con tutto quel buio fu ancora più difficile riuscire a trovare la casa di Harry. Non c'era da sorprendersi che la Glavens avesse sbagliato strada un paio di volte.

Insomma, ci eravamo guadagnate diversi minuti di ritardo e questo era niente di più che una tragedia, per una che era abituata alla puntualità di un orologio svizzero.

Così, quando riuscimmo ad arrivare a destinazione, non feci neanche in tempo a lanciare un occhiata all'abitazione che quella s'era apprestata a cacciarmi fuori dall'auto.

Quasi rischiai di scivolare a terra quando percorremmo velocemente gli scalini dell'ingresso, chiusa a riccio sotto il suo cappotto di pile.

Mi meravigliai di come lei fosse riuscita a trovare la porta d'entrata e non per via del suo pessimo senso dell'orientamento, ma perché questa era completamente avvolta dal buio.

Istintivamente, alzai in alto il naso e il mio sguardo raggiunse quella che —nell'ombra— sembrava essere una plafoniera rotta, quasi completamente a pezzi, malmessa come la lampadina al suo interno.

Di certo non era un buon inizio.

Lanciai un occhiata sghemba alla Glavens che, dopo aver chiuso l'ombrello bordeaux, lo stava accatastando accanto al muro.

La sentii tirare un sospiro, la vidi darsi una sgrullata e poi lanciarmi un'occhiata esaminante.

«Schiena dritta» tubò.

Roteai gli occhi al cielo, raddrizzandomi.

     «Mi raccomando —fece, con un lieve accenno di disperazione nella voce— sii gentile ed educata, non scordarti di salutare come si deve, né di ringraziare, anche quando non ti sembra necessario...» intanto continuava ad rassettarmi qua e là.

Aggiustò il colletto della camicia in flanella, caccio la maglia nera fuori dai jeans slavati e poi mi tirò i capelli dietro le orecchie così come si fa con una bambina che 'dovrebbe far vedere di più quel suo bel faccino'.

«Non ti ingozzare di cibo, ci manca solo che pensi che ti facciamo morire di fame —prese una pausa e poi caricò il tono— e guai a te se ti azzardi a parlare in modo scurrile»

«D'accordo» sbuffai in un lamento.

Doveva aver paura che mandassi a rotoli la serata —e l'affido.

     Posò poi lo sguardo sui miei piedi, chiuse gli occhi per un istante e tirò un lungo sospiro alla ricerca di un altro po' di pazienza, perché una manciata di secondi sotto la pioggia bastavano per ritrovarsi con le sneakers lerce di terra.

«E pulisciti quelle scarpe prima d'entrare» ordinò, contenendo il tono stizzito e puntando il suo indice ossuto verso l'orrendo zerbino sotto di noi.

𝐈𝐌𝐌𝐎𝐑𝐀𝐋 𝐋𝐔𝐒𝐓 || 𝒉.𝒔.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora