18th March 1986, England, United Kingdom
«Cosa ci fai qui da sola ?»
Mi parve interminabile, il tempo che dovetti aspettare prima che riuscissi di nuovo a muovermi.
Non appena la macchina dei miei genitori scomparì dalla mia visuale, mi ritrovai paralizzata, con lo sguardo lucido volto dritto verso la strada dalla quale se n'erano andati.
Angoscia e paura resero quegli attimi interminabili ed io non ho idea di quanto tempo passò prima che riscuotessi i miei sensi.
Quando mi risvegliai da quel malessere, decisi che avrei ritrovato da sola la strada di casa.
Quella non fu nient'altro che la prima delle tante stronzate che feci nella mia vita.
Abbandonai così le scalinate dell'istituto, scesi sul marciapiede e raggiunsi il lampione accanto al quale l'auto dei miei genitori si era fermata.
Lo scenario che mi circondava, mi smosse ancor di più il cuore di timore: le vie intorno a me, scure e deserte, erano appena illuminate da cerchi di luce ambrata che dai lampioni si tatuavano sull'asfalto. Tutto sembrava sommerso in un soffocante silenzio.
Portai al petto le mani prendendo a tormentarmi le dita, nel mentre che muovevo, titubante, i primi passi.
Tuttavia il mio viaggio non durò poi molto: bastò il rosso sgargiante di una cabina telefonica e il suo aspetto ai miei occhi tanto bizzarro, perché abbandonassi la mia meta. Ero pur sempre una bambina.
Quando la vidi comparire davanti a me, avvolta dal fioco buio, non potei far altro che arrestarmi e andarle accanto. E mentre stavo lì, a curiosare e a gironzolarle attorno, come fosse la giostra di un parco giochi, lui mi trovò.
Non potrò mai dimenticare la tacita apprensione che gli affliggeva lo sguardo quando mi pose quella domanda; quando si chinò accanto a me, parlandomi con quel tono tanto paterno.
«Dove sono i tuoi genitori ?» domandò poi.
Io non feci altro che far guizzare lo sguardo sul suo viso in penombra, increspato dalle rughe dell'età, come a cercare di coglierne ogni dettaglio.
Continuò a parlarmi, con calma e sicurezza, ponendomi domande alle quali non gli avrei mai dato risposta.
E quando prese coscienza di ciò, che non avrebbe avuto le risposte che cercava, si avvicinò a me, cacciando dalla tasca dell'elegante cappotto beige un fazzoletto di stoffa.
Con un sorriso me lo porse e cercò di tranquillizzarmi: «Non ti devi preoccupare, voglio solo aiutarti»
In silenzio, abbassai lo sguardo scettico sulle sue mani, strappandogli via il fazzoletto.
«Sai dirmi almeno qual è il tuo nome ?» i suoi occhi scuri si fissarono nei miei con un baluginio di speranza.
Neanche allora risposi: lo guardai per un attimo e poi, goffamente, iniziai a pulirmi le guance. Le lacrime s'erano oramai asciutte, ma il naso non aveva smesso di pizzicarmi.
Potei vedere il sorriso sul suo volto spegnersi lentamente.
Strizzò gli occhi, prendendo il ponte del naso tra le dita prima di riportare l'attenzione su di me.
Face un lungo respiro: «Facciamo così... Io sono Alfred» mi disse aprendosi il palmo della mano sul petto, «Adesso io e mio figlio ti accompagniamo alla stazione di polizia. Lì ti aiuteranno a trovare i tuoi genitori. Li troveremo e poi tornerai a casa; che ne dici ?»
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𝐈𝐌𝐌𝐎𝐑𝐀𝐋 𝐋𝐔𝐒𝐓 || 𝒉.𝒔.
Fanfiction| 𝐈𝐌𝐌𝐎𝐑𝐀𝐋 𝐋𝐔𝐒𝐓 | © 𝘍𝘢𝘯𝘧𝘪𝘤𝘵𝘪𝘰𝘯 [Daddy Dearest, dalla storia tradotta da @lollix08] ━ "Ho vissuto nell'istituto fin da quando avevo quattro anni. Le persone che erano lì, sia ragazzi che adulti, erano man m...
