32. Misconception

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Tristan pensò bene di farlo. Non aveva mai visto Abigail così turbata e "stanca", come lei stessa si era definita. C'era qualcosa dietro ai suoi meravigliosi occhi azzurro ghiaccio che ispirava altro che stanchezza. Dentro la sua mente c'era qualcosa che non quadrava, qualcosa che la faceva stare male. Nella sua mente c'era la risposta a tutto.

Ma Tristan non credeva di essere abbastanza impertinente per poter leggerla nel pensiero senza nemmeno chiederlo. Se solo lo avesse saputo si sarebbe arrabbiata di sicuro. E, anche se Tristan voleva aiutarla, preferì ugualmente evitare di chiedere altro per non essere invadente o creare in lei ancora più scompiglio.

Solo non riusciva a capacitarsi del perché lei non volesse aprirsi e parlare del problema che la affliggeva come aveva sempre fatto. Tristan era stata la sua ancora di salvezza sin dal primo giorno a palazzo e con lui si era sempre confidata, solo ed esclusivamente con lui. Negli altri vampiri non aveva trovato nulla di speciale per farlo. Oltre al fatto che ne conosceva davvero pochi. Solo qualche Lord che Tristan le aveva presentato, ma nulla di più, solo l'essenziale. E in fondo a cosa le sarebbe servito avere degli amici come i Lord di cui era a conoscenza che neanche potevano avvicinarsi al capire la psiche umana? Sembrava che solo Tristan fosse capace e abbastanza sensibile per farlo. Sembrava più umano lui di altri. Come se nel suo passato ci fosse qualcosa che si riversava in lui ogni volta e che faceva ritornare alla mente dei ricordi che lo facevano avvicinare così a loro.

Aveva ucciso molte persone, vero. Ma lo faceva perché non aveva alcun altro modo per sopravvivere. Se poteva si nutriva con le provviste del regno, ma a volte, quando esse erano terminate, doveva farlo per forza.

Anche se, se fosse stato per lui, avrebbe chiesto ad ogni singola persona fino a trovare qualcuno disposto a morire perché era stufo della sua vita, di modo da non far torto a nessuno. La sua sensibilità era sovrumana.

Però Abigail non aveva deciso di confidarsi, e questo impediva a lui di poterla leggere nella mente. Non era obbligatoriamente necessario non farlo, era solo una questione di educazione e rispetto, purché lei fosse un'umana.

Così preferì tacere e tornare nella sua suite per dedicarsi alla lettura.

~

William Black si sentiva diverso. Un forte senso di gelosia è vendetta bruciava nelle sue vene come fosse droga, eccitandolo. Sapeva che la sua impresa sarebbe stata a dir poco ardua, ma questo non lo avrebbe di certo fermato dal fare ciò che voleva. Se aveva imparato delle cose da questa sua "esperienza", esse erano due.

La prima era di non fidarsi mai e poi mai di un vampiro. All'apparenza sarebbero potuti sembrare innocui o gentili, ma sotto sotto erano solo degli sporchi traditori, pronti ad affondare unghie e denti nella carne e succhiarti l'anima finché non né sarebbe rimasta altro che qualche goccia di un passato che chiunque vorrebbe lasciarsi alle spalle. Lascerebbero solo l'orribile ricordo di non aver concluso nulla nella vita, lasciando i ricordi brutti, e realizzando di essere impotenti, delle stupide marionette nelle mani del burattinaio. Sensi di colpa, dolori, pene sarebbe ciò che rimarrebbe di un'insulso umano, ciò che lascerebbe un succhia sangue.

La seconda cosa era la determinazione. Non lasciar mai le cose a metà o sottovalutarle. Si è sempre pronti a sacrificarsi per dei valori e delle persone a cui si vuol bene, anche se i rischi sono numerosi e nei quale c'è di mezzo la propria vita. Ma chiunque può porsi degli obbiettivi, e credere in sé stessi non potrebbe far altro se non aiutare la propria impresa personale. Una piccola conquista per mettere alla prova noi stessi e le nostre abilità. E alla base di tutto c'è solo una cosa: la determinazione.

William ora era più saggio, più coraggioso e più potente, non solo fisicamente, ma anche mentalmente. Aveva lasciato dietro di sé le paure e i timori che la vita gli aveva offerto fino ad avere solo una cosa in testa: lei.

La sua dea, la sua musa ispiratrice, l'unica e la sola che aveva mai amato. E aveva trascorso ore, giorni, mesi a pensarla e cercarla fino ad amarla sempre più. Aveva creduto di morire nel suo intento, ma ora era lì, e non c'era sensazione migliore di quella che provava.

Certo, la sua vita era cambiata molto da prima, ma non era poi così male. Faceva parte di quella che la gente chiama esperienza. E ce ne sono parecchie nella vita. La vita è fatta da esperienze, e non viverle sarebbe la cosa più sbagliata. L'esperienza di William aveva portato in lui tanto dolore, tanto dispiacere, ma ora era finalmente pronto a compierne un'altra. Era determinato, e avrebbe lottato con gli artigli e i denti finché di lui non sarebbe solo rimasto un ammasso di ossa rinsecchite. Era pronto a lasciare la sua vecchia vita per entrare in una nuova, piena di emozioni e nuove conoscenze della mente, confini che non avrebbe mai raggiunto prima, confini inimmaginabili, che nessun umano avrebbe mai potuto vedere.

E dalla rupe osservava il paesaggio che lo circondava come fosse il suo regno. Tutt'intorno a lui c'erano alberi secolari, tranne di fronte, dove si prospettava un'enorme distesa erbosa che sembrava non aver mai fine. Era un paradiso. Non aveva mai visto una cosa così bella in tutta la sua vita.

Il vento gli scompigliò leggermente i capelli chiari e i suoi occhi brillarono di intensità. È così saltò giù la rupe verso quello che per chiunque avrebbe potuto essere un salto verso la morte certa.

Ma non per uno come lui...

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