Capitolo 42

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La torbida storia tra Don Domenico e la Zingaredda fu sulla bocca di tutti per qualche settimana, ma i pettegolezzi sfumarono presto: dopotutto, entrambi erano considerati come due autorità, nel Quartiere, e parlarne troppo a lungo andare poteva diventare pericoloso.
L'unica nota positiva fu il recupero in extremis della relazione tra Mario e Caterina, anche se in realtà di positivo  non c'era proprio nulla, visto che a lasciare con un messaggio la figlia del deus ex machina del Quartiere, il giovane Altieri l'aveva letteralmente fatta in pizzo al cornicione.
Adesso camminava su un filo di lana, e nonostante si sentisse potente del fatto che Don Domenico fosse sceso dal piedistallo in cui Caterina lo metteva, comportandosi così male con lei s'era mezzo bruciato la reputazione.

                                     ***

Dopo l'accaduto speravo non tanto che la situazione si calmasse - la calma era un sentimento semisconosciuto dalle nostre parti - ma che almeno ci fosse una tregua: avevo appena dimostrato a me stessa che più cercavo di allontanarmi moralmente dal Quartiere, più i suoi eventi sanguigni e violenti mi prendevano per il cervello, per il cuore, per gli arti e mi trascinavano giù, mi si appiccicavano addosso come il fango sulle scarpe in un giorno di pioggia, sputandomi in faccia il fatto che mai avrei avuto l'impermeabilità di Emma, che pure si immergeva completamente nelle abitudini, nei riti e nei vizi del Quartiere, ma rimanendo integra come se nulla di tutto ciò la toccasse.
Passavo molto tempo tra l'università e la casa dei Sironi, frequentavo il Quartiere giusto per lavorare e per dormire: avevo lottato tutta la vita contro quello spesso strato di marcio che alterava le nostre pulsioni fino all'inverosimile e ci assimilava più agli animali che agli esseri umani, non volevo essere più coinvolta nel torbido come era successo con Mario e Caterina.

                                      ***

Ma sembrava che ci fosse qualche entità maligna che si prendeva gioco di me, e accoglieva il mio desiderio di diversità rispetto al mio background per poi ficcarmici dentro completamente.
Era una domenica di marzo e Orlando e Simona con la piccola Jessica si trovavano a pranzo da noi, quando la cucitura provvisoria con cui Mario aveva riparato al suo strappo con Caterina fece saltare via tutti i suoi punti di sutura, spargendo spilli ai quattro angoli del Quartiere; solo che al posto degli spilli ci furono proiettili vaganti il cui suono proveniva dal cortile interno, e che ci spinse tutti ad affacciarci alle finestre, in barba al rischio di essere presi a caso da qualche pallottola; solo che ciò che vidi mi fece davvero desiderare di essere beccata da un colpo di pistola: al centro del cortile, Mario e Alice, ripetutamente gambizzati, strisciavano sull'asfalto, lasciando striature di sangue dai buchi che riportavano sugli arti inferiori a causa dei proiettili mentre Pino O' Serpente, incazzato più del settembre del 1996, non voleva proprio smettere di sparare.
Nessuno interveniva per salvarli: erano soli e terrorizzati, in balìa del loro carnefice.
<< E song' stat pur truopp buon, a sanghe v'aviv a scannà, a te e a chist princip' 'e pezzent, zucculell' 'e merda figli' 'e ndrocchia comm a mammeta! >> concluse il braccio destro di Don Domenico, smettendo di sparare.
Nessuno corse loro incontro, a soccorrerli, a partire dalle famiglie: Agata Altieri non uscì per vergogna, Lilly Marlen per paura.
<< Probabilmente quello stronzo di Altieri ha sputato sul piatto dove mangiava per andare con quella troietta senza nemmeno pagare... >> ipotizzò mia madre disgustata.
<< Come se fosse una novità che Mario fa cazzate quanto il fratello, e forse anche di più >> sentenziò mia sorella.
Disapprovavo ogni sillaba che usciva dalle loro bocche in quel momento: Mario aveva sbagliato a tradire Caterina, proprio quando le aveva giurato che le sarebbe stato vicino dopo che lei aveva scoperto la tresca del padre con la Zingaredda, ma sicuramente né lui né Alice meritavano quell'umiliazione pubblica che mia madre ebbe anche il coraggio di chiamare punizione esemplare.

La ginestra e il girasole [Saga del Quartiere Anceschi]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora