Capitolo 15

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Alle mestruazioni mi abituai presto, anche se durante l'estate ammetto che fu dura non fare il bagno per cinque giorni sia a luglio che ad agosto; ma quello fu il male minore, anche perché appena rientrammo dalle vacanze, fummo tutti assorbiti dagli sconvolgimenti che attraversarono l'Italia in quegli ultimi mesi del 1993: i brandelli della Prima Repubblica giacevano sanguinanti peggio dei primi giorni del ciclo, dinanzi a un Paese nuovo che voleva scrollarsi di dosso tutti gli impicci, tutte le disonestà per uniformarsi al clima dell'Europa unita che, seppure ancora teatro di terribili focolai come la guerra del Kosovo, lottava con tutte le sue forze per gettarsi alle spalle le ombre della Guerra Fredda e della divisione del mondo in due.

                                    ***

E poi, a partire dall'11 novembre, l'Italia intera tremò per le sorti del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio dell'ex mafioso pentito e collaboratore di giustizia Santino Di Matteo; alcuni affiliati di Cosa Nostra, nel tentativo di colpire suo padre, l'avevano avvicinato con l'inganno, caricato nel portabagagli di una macchina e tenuto prigioniero chissà dove, nei luoghi più sperduti della Sicilia, nei quali a nessuno sarebbe venuto in mente di cercarlo: a nessuno a parte il magistrato Alfonso Sabella, vero erede naturale di Falcone e Borsellino, il quale aveva un fiuto infallibile dato dal suo background di adolescente cresciuto tra i cacciatori; proprio per questo si definiva un cacciatore di mafiosi e per ritrovare quel ragazzino batté piste sconosciute agli altri, ma che si rivelarono sempre fondate.
Le sue ricerche continuarono lungo tutto l'arco del 1994.

                                     ***

Quell'anno Gabriele cominciò ad andare alle superiori: al contrario del fratello Mario, che aveva scelto il tecnico industriale, suo fratello minore aveva optato per il liceo classico, e proprio per questo non vedevo l'ora che quei miei due anni delle medie rimanenti volassero, per poter frequentare la sua stessa scuola e il suo medesimo indirizzo.
Quello che non immaginavo era l'incidenza di frequentare due ordini di studi diversi sul nostro "fidanzamento", se così poteva definirsi, visto che eravamo entrambi dannatamente giovani.
Mi suonò a casa apposta per fare il punto della situazione.
<< Ti devo parlare >> esordì.
<< Di cosa? >> domandai.
<< Ti dispiace se rimaniamo amici? >> fece lui tranquillamente, come se non mi stesse dicendo nulla di importante. Per me quelle parole non erano importanti, ma fondamentali: da quelle dipendeva il futuro del nostro rapporto.
<< Perché me lo stai chiedendo? Ho sbagliato qualcosa? Ti ho deluso in qualche modo? >> mi affrettai a chiedergli, con quel senso di colpa che assale le donne quando finisce una relazione, che le spinge a credere di essere la causa della rottura.
<< No, Leti, tu non hai sbagliato niente. È che adesso vado in un altro ambiente, conosco gente nuova, e la fidanzatina alle scuole medie proprio non si può sentire, mi capisci? >> si spiegò.
No che non lo capivo. Non capivo perché mi gettava via dopo che era stato lui, due anni prima, a volermi: se ci ripenso oggi posso rispondere benissimo che fu una richiesta normale, che le persone cambiano e così le loro esigenze, che si deve recidere il cordone ombelicale e lasciarsi reciprocamente liberi.
<< Sì, ok. Per me va bene, rimaniamo amici >> concordai, cercando di mantenere la calma, anche se dentro mi stavo sgretolando.
<< Allora, senza rancore? >> continuò a infierire lui, allungando la mano.
<< Senza rancore >> risposi, stringendogliela. Gliela avrei voluta stritolare, ma mi trattenni.

                                     ***

Fu quando lo raccontai ad Emma, quel pomeriggio in laboratorio, che piansi tutte le lacrime possibili e immaginabili.
<< È finito, Emma. Tutto finito. Avevamo detto tante cose, il liceo classico, l'ex libreria, e invece, puff! Si è vaporizzato tutto... >> mi confidai disperata.
<< Avevate dieci e dodici anni, Leti! È evidente che non sarebbe durata per sempre! >> mi fece notare lei.
<< Io pensavo che la sua fosse una vera e propria promessa... >> obiettai.
<< E hai pensato male, ma non devi piangere perché è tanto di guadagnato: da Gabriele non ci caverai un ragno dal buco >> rispose.
La guardai come se quella scena fosse un deja vu, ed effettivamente lo era: quelle parole le aveva pronunciate tre anni prima, quando le avevo confessato che mi piaceva Gabriele, e lei per tutta risposta mi aveva ricordato che lui e la sua famiglia erano dei morti di fame; la stessa lucida freddezza, lo stesso giudizio implacabile di allora.
Mi metteva paura all'epoca e mi stava mettendo paura anche allora: ma ero distrutta, e mi feci andare bene tutto ciò che diceva.

La ginestra e il girasole [Saga del Quartiere Anceschi]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora