Capitolo 11

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Da quel giorno diventammo inseparabili, o quasi: Gabriele e Mario erano spesso in nostra compagnia, anche se Emma ed io continuammo ad avere degli spazi tutti nostri, come le lezioni dal falsario, il nostro rifugio all'Incompiuta e il laboratorio segreto che lei aveva ricavato in cantina.
Ma mentre il maggiore dei fratelli Altieri, con il tempo, andava sempre più ad integrarsi con i suoi coetanei, il minore si conficcò nel binomio che eravamo state, fino ad allora, io ed Emma: intelligente e sensibile, ma anche estroverso e loquace, era il perno regolatore tra me e lei, l'energia cosmica che armonizzava gli equilibri tra lo Yin e lo Yang, che per antonomasia sono gli esatti opposti nella filosofia orientale.
La sua presenza era una zona grigia di cui non avevamo mai sentito il bisogno fino ad allora, ma da quando si era venuta a creare, questa sua presenza, non potevamo più farne a meno.

                                      ***

Durante l'infanzia, si sa, i rapporti tra maschi e femmine sono un territorio particolare, ancora inesplorato e che per questo suscita fascino e curiosità, voglia di conoscere quello che succede tra i propri genitori, nelle loro camere da letto la sera, o tra i fratelli e le sorelle maggiori infrattati con le fidanzatine o i fidanzatini di turno, dietro i cespugli e sotto i portoni; i bambini sono come spugne in questo campo, assorbono tutto ciò che vedono e sentono, ghiotti di informazioni, indiscrezioni, messaggi subliminali, ma lo fanno senza la malizia che viene attribuita loro dagli adulti: lo fanno perché è nella natura delle cose.
Nel Quartiere, poi, tutto era esplicito, ostentato, antisgamo: dalla volta in cui Simona e Gilda avevano sentito Chicano e Luisa scopare da dietro la porta dell'appartamento di lui, avevamo capito che il sesso esisteva e che rendeva gli uomini e le donne pieni di felicità e soddisfazione; avevamo classificato segretamente i nostri amici maschi in una scala sociale dettata dai lavori delle loro famiglie; avevamo anche imparato il potere dei soldi, che tre anni prima avevano trasformato quel mostro di Pino O' Serpente in un uomo buono e bravo con la compagna Lilly Marlen, che solitamente gonfiava di botte.
Ma a parte quegli episodi specifici, vissuti per altro in terza persona dalle esperienze degli altri, non avevo idea di come fossero i rapporti tra i due sessi, non quelli sani e funzionali almeno: le famiglie del Quartiere, a partire dalla mia, erano formate principalmente da coppie sull'orlo di una crisi di nervi e da figli già consapevoli che il matrimonio fosse la tomba dell'amore.
Da quando avevo visto Gabriele per la prima volta, qualcosa in me era cominciato a cambiare: mi preoccupavo di come ero vestita e pettinata, arrossivo sempre quando mi parlava e riuscivo a stento a rivolgergli una frase di senso compiuto, io che ci tenevo tantissimo a saper parlare italiano in un ambiente in cui ci si esprimeva prevalentemente in dialetto; dentro di me sapevo che essere innamorati era una cosa bella, ma a guardarmi per come reagivo quando stavo accanto a lui mi sentivo scema, priva di ogni capacità attrattiva, anche se sapevo di non essere brutta: a otto anni ero già alta un metro e cinquantacinque, avevo lunghi capelli mossi color castano chiaro e gli occhi verdi e grandi; eppure sentivo di essere troppo poco per uno come Gabriele, che era finito dalle nostre parti ma veniva dai quartieri alti.
Mi sentivo talmente ridicola che speravo nessuno se ne accorgesse, nemmeno Emma; pregavo inoltre che la vita mi togliesse, prima o poi, quello strato di timidezza che mi metteva i freni inibitori: confidavo nello stato di sconvolgimento del mondo in generale e dell'Europa in particolare, augurandomi che quell'ondata di cambiamento investisse anche me; e di cambiamenti ce n'erano nell'aria, di quelli irreversibili, dai quali non si torna più indietro.
 
                                     ***

Il 9 novembre del 1989 venne buttato giù il Muro di Berlino; per quanto fosse un evento epocale, che rimescolava le carte della storia, ce lo aspettavamo tutti: quella struttura che divideva le due Germanie e l'Europa Orientale da quella Occidentale aveva manifestato scricchiolii da parecchi anni, e portato con sé i semi della sua distruzione già da quando fu eretto, ventinove anni prima.
Le conseguenze di questo gesto furono ambivalenti: da una parte c'erano le famiglie berlinesi divise che si riunivano, i ragazzi che si abbracciavano su entrambi i fronti, le banche che regalavano i soldi di benvenuto a chi passava nella parte occidentale della città; dall'altra, però, c'erano l'Ovest capitalista sfruttatore e  l'Est comunista che mangiava i bambini che venivano messi a nudo, senza più distinzioni, spogliati delle corazze che entrambi si erano costruiti e reciprocamente colpevoli di essersi accusati di cose vere e inventate, giudicati, bersagliati, scannati.
Era solo l'inizio di un processo di unificazione dell'Europa, la stessa che sognavano i Padri Fondatori al Confino di Ventotene nel 1943, ma già da quella sera ci sentimmo svuotati, come se ci avessero dato un pugno nello stomaco.

                                     ***

Nei giorni successivi casa mia divenne un centralino: i cugini di mia madre s'erano ritrovati divisi dall'oggi al domani, con la costruzione del Muro nel 1961; adesso che si potevano riabbracciare, l'euforia era talmente tanta che volevano condividerla con tutti, perfino con la cugina scorbutica Clelia; il telefono squillava a tutte le ore del giorno, ma visto che Berlino si trovava sul nostro stesso meridiano, non si ponevano problemi di fuso orario - meno male, altrimenti mia madre li avrebbe uccisi via cavo.
Spesso era mio padre a parlare con loro: era più gentile, e promise loro che, non appena fossero scesi a Roma, li avrebbe invitati tutti in pizzeria.
Il giorno in cui arrivarono i parenti berlinesi, dalle finestre dei casermoni si affacciarono tutti, come se fossero sbarcati degli alieni con la loro astronave. Si mosse da Testaccio anche Lorenzo Ferrucci, il fratello maggiore di mia madre, con la moglie Erica e i loro tre figli Adriano, Elisa e Cosimo.
Andammo tutti in pizzeria, spostandoci come una carovana e mangiando più che alle feste comandate. Era come a Natale, solo un mese prima.

                                    ***

I primi due mesi del 1990 furono di assestamento soprattutto per i paesi dell'ormai ex Unione Sovietica: i telegiornali non facevano che parlare di violente repressione nei vari Stati dell'Europa Orientale e di difficili proclamazioni di repubbliche e governi liberali in risposta ai vari regimi dittatoriali che c'erano fino a pochi mesi prima.
In particolare erano diverse tra loro le reazioni dei paesi balcanici e di quelli baltici: Slovenia, Croazia, Ungheria, Serbia-Montenegro, Albania,  Bosnia-Erzegovina, Romania, Bulgaria, Macedonia e Grecia erano passati dai principati alle dittature che li avevano ugualmente sfruttati e messi in ginocchio fino a far credere loro di non poter esistere senza un Grande Fratello che li incanalasse e adesso che l'ombra del Muro era sparita, dopo un attimo di spaesamento avevano ripreso in mano le loro coscienze indipendentiste e distruggevano un passato oscuro per un futuro luminoso, anche se avrebbe comportato scontri sanguinosi; per Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia la situazione era diversa: loro erano in una posizione strategica, a fianco della Mitteleuropa e di fronte alla Scandinavia, avevano un sacco di materie prime che potevano renderli ricchissimi e il regime sovietico gli era sempre andato stretto, condannandoli ad un'infelicità di fondo che difficilmente si darebbero scrollati di dosso, anche senza più il Muro di Berlino e la Cortina di Ferro.
Grazie alle loro diverse reazioni imparai una lezione importante: quando non hai mai avuto niente combatti per avere tutto, ad ogni costo, ma quando puoi avere tutto e te lo impediscono il dolore e il risentimento non ti abbandoneranno mai, per tutta la vita.

                                     ***

Grazie a tali diverse reazioni ebbi modo di capire perché gli Altieri sarebbero rimasti per sempre diversi da tutti quanti, nel Quartiere.
Noi laggiù ci eravamo nati: non conoscevamo altra vita che all'interno del nostro mondo chiuso, né altro luogo all'infuori di quello - a parte i posti di provenienza dei nostri genitori; i quali erano partiti da lì più sfigati di noi, e ritrovarsi in appartamenti dotati di tutti i comfort era per loro il massimo, e sentivano di non dover chiedere niente di supplementare.
Gli Altieri invece un'altra vita l'avevano conosciuta eccome: quella del lusso, dell'agiatezza, dell'assenza di fatica; e traspariva così bene dai loro volti provati, da trasformarsi in nostalgia straziante per un'antica felicità perduta.
Ed era anche per questo che Gabriele mi attraeva come una calamita: quel mondo esterno, così grande e bello, lui lo aveva avuto tra le mani prima di perderlo pezzo dopo pezzo; tramite la sua compagnia sentivo di potervi accedere anch'io - ero convinta che se mia madre e mia sorella mi davano, seppure in senso dispregiativo, della principessa, il motivo era il fatto che non fossi adatta al mondo che mi circondava ma a ben altri ambienti, quelli signorili che una volta erano, appunto, casa degli Altieri.
Era una consapevolezza tutta mia, e ci tenevo a custodirla gelosamente, visto che nel Quartiere i grilli per la testa - come i genitori chiamavano le ambizioni dei figli, quando ne avevano - non erano ben visti: per questo facevo in modo che rimanesse criptica con tutti, perfino con Emma.

  

                               

La ginestra e il girasole [Saga del Quartiere Anceschi]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora