Capitolo 56

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Tutto quello che accadde in seguito lo ricordo come dei pezzi d'intonaco che, creatasi una crepa nel muro, cominciano a cadere di conseguenza, uno dopo l'altro, seguendo la linea della breccia inferta dalla mano umana a livello esplicito o implicito.
La prima cosa che feci fu tornare a casa, non volevo vedere neanche più un metro quadro di Villa Storione: il "benvenuto" fu una secchiata d'insulti da parte di mia madre, a cui Tancredi non era mai piaciuto dal primo momento in cui l'avevo presentato in famiglia.
<< Te l'avevo detto io, che quell'uomo era un delinquente, ma tu ti sei lasciata abbindolare dalle sue maniere eleganti, principessina del cazzo come sei sempre stata! Lo sapevamo, Simona e io, che saresti tornata a piangere da noi... >> commentò sprezzante, chissà quanto dovevano avermi parlato alle spalle, mia sorella e lei.
Fortunatamente la famiglia era composta anche da mio padre e Dario, che nel frattempo s'era fidanzato con Rita Floris, la sorella più piccola di Carmine, nonché cognata di Emma. Rimaneva come sempre tutto in famiglia, con accezione malavitosa però.

                                   ***

Ma non considerai finita tutta quella storia, senza parlare prima con Tancredi: se davvero quello che c'era stato tra di noi per tre era tutto finto, volevo che me lo dicesse guardandomi negli occhi; e poiché questa nostra conversazione sarebbe avvenuta all'interno del parlatorio del carcere di Rebibbia - dove si trovavano sia lui che Caterina - non avrebbe avuto alcun modo di scappare ed evitare il confronto, salvo dire al secondino di turno che non aveva voglia di incontrarmi.
E allora sarei tornata il giorno dopo. E quello dopo ancora. E quello ancora successivo fino a quando non mi avesse sciorinato tutta la verità, anche se fosse stata cruda e terribile da ascoltare.
Andai laggiù insieme a Mario, Viviana e Gabriele: la giovane Caruso voleva incontrare sua sorella.
Ricordavo benissimo l'ultima volta che avevo accompagnato Emma a Rebibbia: era stato nel febbraio del 1999, quando Rocco Piaggi, il suo fidanzato di allora, era stato arrestato per spaccio; lei aveva trovato il coraggio di fare dell'ironia anche di fronte al cancello della casa circondariale.
In quel momento, a distanza di nove anni, a nessuno di noi andava di ridere e scherzare; quando entrammo, ci dividemmo: Mario e Gabriele aspettarono fuori, Viviana si diresse verso la sezione femminile e io verso quella maschile. Dovetti mostrare il documento e apporre una firma per il permesso di visitare il "detenuto Storione Tancredi".
Un secondino mi accompagnò fino al parlatorio, dove già molti detenuti parlavano con i propri cari. Sentivo di essere un pesce fuori d'acqua: in quei giorni a me, Tancredi, non era caro per niente.
Quando lo vidi entrare, trasalì come se gli fosse comparso davanti un fantasma; pensai che non fosse lui quello ad avere il diritto di spaventarsi.
<< Leti... >> esordì. Era dimagrito di colpo e perso parecchi capelli, nonostante fosse passata una settimana dalla sua carcerazione.
<< Saltiamo i convenevoli: sappi che non me ne frega un cazzo di sapere come stai, voglio solo che tu mi dica la verità su di noi >> risposi fredda.
<< Quale verità? >> domandò.
<< Una sola verità: in questi anni che siamo stati insieme hai provato qualcosa di minimamente reale per me, o mi hai sempre usata, sfruttando me, la mia provenienza, i miei titoli e i miei amici per rimettere le mani nel tuo passato di merda? >> ribattei perciò, le parole che venivano lanciate dalla mia bocca come se fossero pietre.
Passarono alcuni minuti prima che dicesse qualcosa. Poi parlò.
<< Sì, ti ho sempre usata, Letizia Finelli. Ma credi forse di non aver tratto anche tu i tuoi vantaggi, mettendoti con me? Ma guardati: vieni dalla periferia più sperduta della capitale, la tua famiglia è composta da ignoranti e tutti i fidanzati che hai avuto erano più benestanti di te. E questo è successo anche con me. Io sarò un assassino, ma tu sei un'opportunista. Ricordatelo sempre: non sei niente senza di me. E non credere che dopo di me sarà diverso: a nessuno importa del tuo cervello brillante, sarai sempre e solo un bel faccino. Per tutti >> mi lapidò, molto più di quanto avessi fatto io con lui. Non potevo stare più lì dentro. Mi mancava l'aria.
<< Mi fai schifo >> sibilai con tono carico di odio. << Guardia! >> esclamai, chiamando il secondino. Questi arrivò.
<< La visita è finita >> decretai, facendomi accompagnare lontano da quel parlatorio di disperati, lontano da Tancredi.

La ginestra e il girasole [Saga del Quartiere Anceschi]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora