Capitolo 3.e - Ti chiamo come vuoi

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Ora mia madre si è sposata con un altro uomo. Si chiama Calogero, un pessimo nome a suo avviso e per questo si fa chiamare Cal. Non mi è mai piaciuto e non abbiamo mai cercato di prendere confidenza a vicenda. Così io non disturbo lui e lui non disturba me, questi erano i patti ma non li ha sempre rispettati.

Solo di recente abbiamo legato un tantino. È successo quando ho vinto una gara di nuoto. Quel giorno mi sorprese abbracciandomi e dicendomi quanto fosse fiero di me. Credo sia stata la prima volta in cui ci scambiammo un sorriso di intesa prima che salissi sul podio e fino ad ora anche l'ultima.

Dopo quel giorno, tornammo ad ignorarci ed evitare gli scontri anche se tante volte trova divertente punzecchiarmi o rimproverarmi per cose insensate. Credo sia un uomo debole in fondo anche se si mostra sempre come un duro. Cerca sempre di essermi superiore e di far valere la sua posizione di padre. Non l'ho mai considerato mio padre ma ha sempre voluto che lo chiamassi così. Forse lo fa sentire realizzato in qualche modo. In ogni caso, da piccolo la ritenevo una cosa abbastanza fastidiosa ma ho poi costatato che non è un nome a renderlo il mio vero padre per cui decisi di chiamarlo come voleva.

Spiego quindi al gioielliere che non ho ancora compiuto diciotto anni e che quella è la data in cui ci siamo conosciuti ma non ha chiesto nient'altro ha solo detto: «hai una buona memoria, ragazzo mio!».

Esco dal negozio salutando e ringraziando quel signore gentile. Molto probabilmente altrove mi avrebbero cacciato dal loro negozio perché sto con un ragazzo.

Rientro a casa contentissimo e mi metto subito a studiare. Ho solo le ultime due materie da portare prima che finisca la scuola se voglio avere una buona pagella. L'ho fatto sempre per me stesso, studiare intendo. La mamma è sempre contenta quando porto a casa buoni voti e devo essere sincero, lo faccio anche per non darle dispiaceri. Al mio patrigno non importa nulla. Pensa sempre a guardare il calcio con la bottiglia di birra in mano. Probabilmente lo stereotipo troppo ma non ho interesse a conoscerlo più a fondo.

Tra una pausa e l'altra, controllo se Andrea ha lasciato qualche messaggio. Mi viene fame e mangio qualcosa di veloce e mi accorgo di aver passato quasi tutto il pomeriggio a studiare. Mi rimangono poche altre pagine da leggere e decido di farlo domattina.

Anche se ne è valsa la pena, attraversare tutta la città a piedi e studiare tutto il pomeriggio, mi ha stancato non poco. Mi butto sul letto e chiamo Cara.

Stiamo un bel po' di tempo a parlare e quasi sono tentato di dire cosa è accaduto tra me e Andrea. Comincio a pensarlo, al suo bellissimo sorriso. Mi manca da morire. Non vedo l'ora di vedere la sua faccia quando gli darò l'anello. Mi emoziona soltanto il pensiero. Lo chiamo subito dopo Cara. Non risponde. Guardo l'orario. L'ora di cena è passata da un pezzo e dovrei mangiare ma non ho più molta fame. Andrea a quest'ora starà già dormendo per via del fuso orario. La nonna ha origini sovietiche e ha deciso ormai da anni di vivere nella stessa casa in cui viveva da piccola. Chiudo gli occhi e cerco di addormentarmi.

Quella nostra scomoda panchinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora