Capitolo 3.p - Come si chiama?

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Intanto, mentre mi riempiono di domande su che fine avessi fatto, preparo un panino. Le loro domande mi rimbombano nella testa ancora dolorante. Do risposte vaghe per accontentarli e racconto una versione dei fatti leggermente diversa dalla realtà. Totalmente diversa anzi: «ho fatto amicizia con dei ragazzi del posto e, parlando fino a tardi, non mi sono reso conto dell'orario, mi sono fermato da loro per la notte per non prendere il motoscafo col buio». È la stessa versione che racconto non appena arrivano i miei genitori. Cal sembra essere molto arrabbiato ma non vuole dare scena davanti i miei zii così finge di non interessarsi troppo e afferma che sapeva già che non fosse successo nulla di grave. La mamma invece mi prende in disparte mentre do l'ultimo morso al mio panino. Mi chiede se davvero fosse tutto okay. Non ho voglia di dirle di aver preso degli allucinogeni così racconto che siamo stati ad una festa ma ho solo bevuto un po'. Una versione poco più attendibile rispetto alla precedente ma più veritiera e credibile. Mi fa un attimo una piccola e dolce ramanzina per i miei recenti comportamenti, che bevo e fumo troppo spesso e che non dovrei prendere questa strada. Non riesce ad esser cattiva con me ma apprezzo sempre ciò che mi dice perché so quanto tiene a me. D'altra parte, fa bene a preoccuparsi per come è andata ieri sera. Mi sono affidato a completi sconosciuti e mi ritengo fortunato che Sara e Damiana sono brave persone. Denise rientra con Marco e Stefano, i miei cugini. Mi fanno una gran festa e al contrario di tutti mi chiedono se mi sono divertito ieri notte. Ci raccontiamo un po' di come abbiamo passato il periodo dall'ultima volta che ci siamo visti. Denise prende delle birre e andiamo fuori dal bungalow. Cominciamo a berle, io tengo la bottiglia in mano, mi dà la nausea solo il pensiero di bere un sorso. Ci mettiamo seduti intorno al tavolino di legno che hanno sistemato sulla piccola veranda. E riprendendo vari inediti giungiamo alla classica domanda che odio tanto: "hai la ragazza?".

Mi vien voglia di sbuffare mentre cominciano a raccontare delle proprie senza darmi il tempo di rispondere alla domanda. Meglio così. Denise però mi avrà visto sconcertato perché interrompe subito i due dicendo: «la ragazza ce l'ha e come. Si è fermato da lei questa notte, vero Matti?». Io arrossisco subito per rabbia e imbarazzo. I miei cugini invece sembrano sbalorditi. È la prima volta, probabilmente, che sentono dire che io abbia una ragazza. Cerco di sviare i loro "come si chiama?" e domande simili su questa ipotetica lei. Non riesco proprio a reggere un altro minuto così mi alzo dicendo che non è la mia ragazza. Prendo l'accappatoio dentro il bungalow e vado verso le docce. Credo abbiano capito che l'argomento mi irrita perché adesso parlano tra loro sussurrando. Denise mi segue con gli occhi quando passo davanti loro. Mi spoglio rimanendo solo con gli slip e mi infilo sotto l'acqua fredda. Denise mi raggiunge poco dopo e mi parla da dietro la tendina di plastica: «scusa, Matti, non volevo. Hai visto quanto erano spavaldi, no? Ho pensato di zittirli facendo vedere che non sei diverso da loro».

Apro la tendina e smetto per un attimo di insaponarmi: «davvero? Diverso? - penso di sembrare abbastanza arrabbiato- no Denise, solo perché non ho mai avuto una ragazza, non sono diverso da loro. Ti dirò anche che sono stufo. Stufo di sentirmi chiedere sempre le stesse stronzate, voglio solo esser lasciato in pace da quei due stupidi spavaldi, come li hai ben chiamati».

Riprendo a lavarmi. Denise fa per andarsene. Poi deve essersene pentita perché mi chiede ancora una volta scusa. Gli sto dando le spalle. Non so cosa mi prende ma ho un misto di emozioni dentro. Rabbia, prima di tutto, mi sento anche offeso e irritato. Tutti i pensieri del giorno precedente si annullano in un attimo. Non è giusto però che me la prenda con mia sorella, lei con tutta probabilità aveva solo buone intenzioni per integrarmi in una discussione che avrei preferito non iniziasse nemmeno.

«Sai perché non ho mai avuto una ragazza, Deni?» la blocco e quasi tremo per ciò che sto per fare.

Aspetto invano una sua risposta ma credo che abbia capito perché sta già venendo ad abbracciarmi sotto la doccia mentre dico «sono gay» e scoppio in lacrime poggiato sulla sua spalla.

Denise chiude l'acqua per non bagnare ancora di più la sua maglietta.

«Ehi, è tutto okay» mi dice.

Mi abbraccia di nuovo e mi stringe fortissimo. Non so perché sto piangendo ma la rabbia è svanita sfogando in emozioni liberatorie. Mi asciugo le lacrime e anche lei fa lo stesso con le sue e mi sorride.

Piangendo ancora riesco solo a dire: «non volevo piangere è solo che tutta quella rabbia e, non so, ho solo bisogno di sfogarmi».

Lei mi guarda con gli stessi occhi di una madre che si prende cura del proprio cucciolo: «allora ricominciamo, Matti, hai un ragazzo? Non arrabbiarti stavolta». Il mio pianto pian piano si trasforma in una risatina e accenno ad un sì. Mi prende per mano e mi trascina in un posto più tranquillo. È contenta, curiosa e forse anche euforica per la novità. Ci mettiamo subito seduti e mi porge l'accappatoio che ha preso trascinandomi via e me lo metto sulle spalle.

Ora parla ad alta voce: «e allora? Stupidone quando avevi intenzione di dirmelo? - mi fa il solletico sulla pancia come si fa ai bambini, ma io ridendo scosto le sue mani- voglio sapere chi è».

Abbasso lo sguardo e fisso le mie mani mentre gratto via la pelle attorno le unghie. Poi la guardo senza girare la testa: «non potevo dirtelo prima, è una cosa nuova anche per me. Solo che- mi sistemo nel frattempo e cerco di asciugarmi per sembrare disinvolto- sono troppo contento per starmene zitto. Sento il bisogno di dire tutto a tutti in ogni momento». Probabilmente Denise non può capire e impaziente mi chiede: «sì, va bene, va bene, ma chi è? Lo conosco?» domanda stupida dato che ha frequentato il mio stesso liceo e che è seriamente difficile non conoscersi tutti nella mia città.

Sorrido: «è Andrea».

Lei si porta le mani davanti la bocca e comincia a fare come le tredicenni quando Edward bacia Bella per la prima volta. Con quel suo stupido stridio acuto e fastidioso di una tredicenne mi fa sorridere e comincio a punzecchiarla contento: «smettila, stupida. Sembri una teenager».

Ci mettiamo a ridere. Sono contento di averglielo detto. Rispondo a tutte le sue domande e, ogni volta che ne porge una nuova, non vede l'ora di ottenere una risposta. Ogni tanto risponde con un "che teneri" mentre parlo del primo bacio con Andrea o quando gli dico che voglio regalargli un anello. Alla fine della nostra lunga discussione mi abbraccia e mi chiede scusa ancora una volta per ciò che ha detto davanti a Marco e Stefano. La tranquillizzo dicendo che adesso è tutto okay e aggiungo che vorrei non lo dicesse a nessuno.

Risponde con un: «certo, sciocchino! Vieni andiamo dagli altri».

Ci alziamo entrambi e sistemo la cintura dell'accappatoio. Cerco di evitare, imbarazzato, lo sguardo di Marco e Stefano che si staranno chiedendo il motivo di tutto questo tempo con Denise. Ma l'aria felice di mia sorella cedo li distoglie dal tutto. Non hanno sicuramente il coraggio di fare delle scuse. Non ne avrebbero motivo perché non pensano possano capire quanto sia irritante sentirsi chiedere sempre se ho una ragazza. Ma devono comunque aver capito che non mi ha fatto piacere. In ogni caso preferisco non tornare sull'argomento. Riprendo la mia birra che avevo lasciato sul piano del tavolo. Fingono tutti che non sia successo nulla tranne me che resto ancora un po' sulle mie accennando qualche frase ogni tanto. Ho ancora mal di testa quindi dico agli altri che mi allontano che ho mal di testa e preferisco andare a dormire. In realtà è solo una scusa per chiamare Andrea e raccontargli tutto. Prendo il telefono e mi allontano cercando un posto con un po' di campo e premo il tasto verde.

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 26 ⏰

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