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Quella mattina la sveglia suonò prima del solito.

Ringhiai ancora sotto le coperte mentre con una mano tastavo il comodino in cerca del dannato aggeggio elettronico.

Quando finalmente riuscii a trovarlo, lo portai sotto le coperte, ma me ne pentii subito. La luminosità del cellulare mi accecò ed emisi un grido di frustrazione.

Scostai con violenza la coperta dal mio corpo caldo e mi misi a sedere. Con gli occhi ancora chiusi, muovevo i piedi in cerca delle mie morbide pantofole. Le infilai e mi alzai.

Con gli occhi semichiusi, camminavo in cerca della porta del bagno, quando finalmente trovai la maniglia, entrai. Mi sciacquai il viso e finalmente vidi.

Avevo un aspetto orribile. I miei capelli erano raccolti in una coda spettinata e le mie labbra, rotte per il freddo, chiedevano pietà.

Uscii dal bagno ed andai verso l'armadio. Presi un leggins nero e un mega felpone grigio che mi arrivava quasi alle ginocchia. Presi le mie converse nere e mi truccai con del semplice mascara e del correttore, per coprire le mie occhiaie viola date dal poco sonno.

I capelli li lasciai sciolti, ricci, sulle mie spalle. Infilai uno scrunchies bordeaux al polso e uscii dalla mia camera. Scesi le scale velocemente e andai in cucina.

- ma buongiorno! - mi disse mia mamma con fin troppa allegria.

Sapeva benissimo che odiavo mi parlassero a prima mattina, ma lei continuava ad ignorarmi.

Le lanciai un'occhiataccia e mi sedetti sullo sgabello dell'isola. Presi il mio tazzone Disney che avevo fin da quando ero piccola e versai il latte ancora caldo che si trovava sui fornelli spenti. Presi un pacco di gocciole e le immersi.

Finii di fare colazione nel più assoluto silenzio, beandomi del leggero sole mattutino che mi accarezzava il viso.

- hai dormito bene? - mi chiese mia mamma, prendendo la tazza ormai vuota e portandola nel lavandino.

- se non vedi le mie enormi occhiaie è perché le ho coperte con tonnellate di correttore. - le dissi secca.

- ti ci abituerai. Tra qualche settimana, tutto sarà normale. - mi disse.

- dannato jet-lag. - dissi prima di poggiare le mie mani sugli occhi.

- ma papà dov'è? - chiesi notando solo in quel momento l'assenza di mio padre.

- è nel garage. Fatti trovare pronta fuori, altrimenti farete tardi.

Scesi dallo sgabello e andai in camera per prendere il mio zaino nero, che avevo decorato con degli adesivi non molto femminili.

Non mi reputavo un maschiaccio, ma neanche una principessa appena uscita da una fiaba.

Scesi le scale con la lentezza di una lumaca appena sveglia e salutai mia mamma con un bacio, prima di uscire di casa.

Aspettai mio padre per qualche minuto, quando lo vidi arrivare al volante della sua nuova Audi q3 bianca.

Salii maldestramente e chiusi lo sportello con l'agilità di un elefante obeso. Mio padre allungò il braccio cercando di aiutarmi.

Mi voltai verso di lui e gli stampati un bacio sulla guancia. - buongiorno, principessa. - disse ridendo leggermente.

Lo guardai come si guarda chi ha appena commesso un reato e scoppiò a ridere. Ringhiai e mi voltai verso il finestrino.

- sai che non ti sopporto quando mi chiami così... - dissi a denti stretti. Lo vidi scuotere la testa divertito nel leggero riflesso del vetro.

Arrivammo a scuola dopo un tragitto avvolto nel silenzio, con in sottofondo le canzoni della radio che ascoltai a malapena, troppo presa dall'ansia che si faceva spazio nel mio stomaco.

Scesi dall'auto e salutai mio padre con un cenno della testa. Mi voltai e il mio sguardo venne richiamato da un'enorme edificio a tre piani che si innalzava a qualche decina di metri da me.

Trattenni il fiato e percorsi con lo sguardo una linea verticale immaginaria che andava dal tetto dell'edificio ai ragazzi che aspettavano il suono della campanella.

Mi resi conto di non star respirando, solo quando quest'ultima suonò, facendo riempire l'aria di urla e alcuni lamenti.

Mi aggregai alla folla di bestie che spingevano per entrare. In quel momento mi resi conto che non sapevo dove andare, così mi avvicinai ad una finestrella che dava su un ufficio, presumibilmente la segreteria.

Tossii per annunciare la mia presenza e una signora alta e magra, molto bella, mi si avvicinò.

-dimmi, cara. - mi disse in tono gentile.

- ehm...sono nuova...non so in che classe andare. - dissi timidamente portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Lei mi guardò con aria comprensiva e si sporse verso di me sorridendo.

- puoi dirmi il tuo nome, tesoro? - mi chiese portando lo sguardo sul monitor che si trovava alla sua destra.

- Chiara. Chiara Smith. - dissi scandendo bene le parole.

- Mi potresti dare la carta d'identità? Sei italiana? - mi chiese per smorzare la tensione.

- oh, sì. Mamma italiana, padre americano. - dissi imbarazzata porgendole il documento.

- bene. Ora ti accompagno. - disse ridandomi il tesserino e uscendo dalla porta che si trovava lì accanto.

Mi poggiò una mano sulla spalla e mi accompagnò attraverso dei corridoi, a mio parere, infiniti.

Quando arrivammo fuori una porta bianca, ci fermammo. La segretaria bussò e dall'interno sentimmo una voce di un uomo che ci invitava ad entrare.

Aprì la porta e varcata la soglia, vidi tutti gli sguardi puntati su di me. La donna si avvicinò all'uomo e gli disse qualcosa sottovoce, che non sentii.

- ragazzi, silenzio! - disse il professore fermando tutti i sussurri che c'erano tra i vari ragazzi.

- lei è la nostra nuova arrivata. Si chiama Chiara Smith. - disse facendomi avvicinare alla cattedra.

Avevo le mani nella tasca della mia felpa e mi stringevo nelle spalle in cerca di rifugio.

- buongiorno. - dissi prima che il professore mi indicasse un posto in fondo all'aula. Mi sedetti e stetti in silenzio per tutta l'ora.

- ciao, io mi chiamo Emily, ma per gli amici Emi. - disse una ragazza alla mia destra porgendomi la mano.

Sorrisi e gliela strinsi. - Chiara, per gli amici...Chiara? - dissi non trovando un nominativo carino per il mio nome italianissimo.

La vidi sorridere leggermente e alzarsi dalla sedia. - io ho chimica ora. Tu? - mi chiese guardandomi curiosa.

Guardai la mia agenda bianca e alzai lo sguardo terrorizzata. - storia... - sibilai in un lamento.

- non ti piace storia? È la mia materia preferita. - disse con disinvoltura.

No. Io odiavo storia. È una materia che non avevo mai tollerato.

Feci di no con il capo.

- devo andare. - disse guardando l'ora.

- ci vediamo dopo? - disse sempre sorridente.

Annuii ed andai verso l'aula dell'ora successiva.

those damn eyes.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora