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Qualche giorno dopo, Adam si trovava in giro per le strade della Grande Mela, cercando di seguire la mappa che suo padre gli aveva disegnato su di un tovagliolo, per indicargli la strada che avrebbe dovuto percorrere per raggiungere il luogo in cui si sarebbe svolto il corso di cioccolateria.

Avrebbe potuto inserire l'indirizzo su Maps e trovare più facilmente la strada, senza doversi raccapezzare tra le linee tremolanti tracciate dal padre e le varie indicazioni supplementari scritte con la sua calligrafia quasi indecifrabile. 
Ma l'abbonamento mensile al suo operatore telefonico era scaduto già da un paio di giorni e il giovane si vergognava di farlo presente a suo padre, perciò si impose di fare a meno di internet almeno sino a quando Johnathon non si fosse ricordato, da solo, di pagare l'abbonamento del figlio.

Il ragazzo arrivò a destinazione pochi minuti prima dell'inizio della lezione. Si presentò alla graziosa segretaria che accoglieva i visitatori al pianterreno del grattacielo in cui il corso si sarebbe svolto. Adam non era mai stato all'interno di una struttura come quella: l'edificio sembrava immenso. Da fuori, guardandolo da basso, suscitava una certa impressione: sembrava allungarsi all'infinito verso il cielo, come se potesse toccarlo con la sua estremità. Era rivestito interamente di vetri e inserti metallici, imponente e quasi spaventoso. Dentro, il grattacielo si presentava esattamente agli antipodi rispetto ciò che lasciava immaginare di sé limitandosi a una sua contemplazione esterna. 
La grande stanza in cui Adam si trovò era molto elegante: i pavimenti erano rivestiti da una morbida moquette di un ricco colore rosso; le pareti erano state dipinte con tonalità chiare e luminose, in netto contrasto con la pavimentazione e il mobilio. Il grande bancone della reception era un tripudio di legno finemente intarsiato; vi erano delle poltrone e un divanetto sul lato destro della sala, posti intorno a un basso tavolino di vetro. Un enorme lampadario di cristallo scendeva dal soffitto, arricchendo l'ingresso con il suo incredibile splendore. 
Mazzi di fiori erano sparsi un po' ovunque a riempire ogni anfratto all'interno di vasi enormi e riccamente decorati.
Sembrava un albergo di lusso e forse lo era realmente.

Adam incominciò a provare una certa soggezione a causa dell'ambiente che lo circondava.
Guardò di sfuggita la donna dietro il bancone: lei ricambiò il suo sguardo sorridendogli incerta e il giovane le volse le spalle uscendo dal palazzo quasi di corsa.
Si trovò di nuovo per strada, tra una moltitudine di gente, il rumore assordante del traffico tipico dell'orario di punta; suonerie di cellulari di ogni tipo; un paio di cani che abbaiavano tra di loro a un paio di metri di distanza dal punto in cui si trovava lui; l'odore quasi nauseabondo di hot-dog che sembrava fondersi a quello dello smog, delle cipolle caramellate, della mostarda, di qualcosa di ancora più dolce, di eau de toilette e sudore. 
Trattenne a stento un conato di vomito: non si sentiva all'altezza di quel posto. Non aveva mai studiato nulla riguardo ciò che si apprestava a fare: era terrorizzato dalla possibilità di essere il peggiore allievo del corso, finendo per deludere suo padre. 

E il cioccolato non gli piaceva.

Nonostante tutto quello, Johnathon aveva pagato seicento dollari per assicurargli un posto lì.
Il giovane scosse la testa, cercando di farsi coraggio. Scostò la frangia dalla fronte e si voltò verso l'ingresso del grattacielo. Si trovò riflesso sui vetri della porta che gli restituirono un'immagine di sé poco rassicurante. I suoi vestiti erano logori; i jeans che indossava erano sbiaditi da innumerevoli lavaggi, la t-shirt aveva ormai perso la sua forma originaria e lo vestiva come se fosse di almeno tre misure più grande della sua. Aveva sempre avuto un fisico abbastanza mingherlino e qualcuno, in passato, aveva persino avuto l'ardire di definirlo atletico e sinuoso come un ginnasta: la persona in questione, però, si era rimarginata i suoi complimenti non appena Adam aveva rifiutato le avances sessuali che erano seguite subito dopo quelle parole, assestando l'ennesimo colpo alla già scarsissima autostima del ragazzo. 

Trasse l'ennesimo respiro profondo, sentendo la gola serrarsi per il disgusto; ricambiò il proprio sguardo al suo riflesso nel vetro, fissando i propri occhi scuri, ripetendosi mentalmente: "Ce la posso fare, lo devo a mio padre. Ce la farò" e si decise, finalmente, a rientrare.
-Bentornato- lo salutò la tizia dietro al bancone della reception, rivolgendogli quella volta un sorriso meno sicuro rispetto al precedente.
Adam annuì, ricambiò il saluto e spiegò alla donna del perché della sua presenza in quel luogo.
-Oh!- esclamò quella con entusiasmo. -Sa che lo avevo immaginato? Lei ha uno sguardo così dolce, non so perché, ma ho subito pensato che fosse un pasticcere!- 
Adam arrossì furiosamente a quelle parole, la donna se ne accorse e prese a toccarsi un orecchino con fare imbarazzato.
-Sono stata troppo diretta, mi dispiace- si scusò, per poi rifugiarsi all'interno di frasi e gesti molto professionali, indicando al giovane il piano preciso dove si sarebbe dovuto recare per potere partecipare al corso.

Poco dopo, Adam si trovò a varcare la soglia di una vera e propria cucina professionale: le superfici del mobilio erano lucide, di metallo, così sapientemente pulite da riflettere grandi fasci di luce, quest'ultima proveniente dalle tre finestre che si aprivano sulla parete di destra e che riempivano quasi del tutto quella parte della stanza, creando una strana sensazione di comunicazione tra dentro e fuori. 
Dentro la cucina si trovavano già due ragazzi più o meno dell'età di Adam: la ragazza, con i capelli molto corti e scuri, gli rivolse un'occhiataccia, senza alcun motivo apparente. Il giovane che si trovava al suo fianco, invece, rivolse al nuovo arrivato un timido saluto, mentre un altro tizio, di molto avanti con l'età, con i capelli grigi e il volto perfettamente sbarbato, gli sorrise, invitandolo a entrare.

-Salve! Io sono Thomas Black, sarò l'assistente del vostro insegnante- si presentò l'uomo. -E tu saresti?- gli chiese, porgendogli una mano. Il ragazzo la strinse timidamente, per poi presentarsi a sua volta.
-Adam Steel- disse, rendendosi conto di avere parlato con un filo di voce.
-Adam… Adam…- borbottò Black, scorrendo i nomi da una lista stampata su di un foglio. -Perfetto!- esclamò poco dopo. -Steel! Ci sei. Benvenuto, ragazzo- lo accolse, per poi rivolgergli qualche domanda di carattere professionale alle quali il giovane si trovò a dovere rispondere in modo negativo, sentendo il proprio imbarazzo crescere a dismisura.
-Nessun esperienza sul campo, né hai fatto studi o frequentato corsi inerenti a quello che ci apprestiamo a fare qui- sintetizzò l'uomo e la ragazza alle loro spalle si lasciò scappare un risolino. Adam trasalì e scosse la testa mortificato.
-Suvvia, ragazzo! Siete qui per imparare e siete pure stati davvero fortunati: avrete un insegnante con i controfiocchi!- esclamò festante Black. 
Il giovane deglutì e annuì ripetutamente, per poi indossare il grembiule che gli porse l'uomo, lavarsi accuratamente le mani e prendere posto al fianco dell'altro allievo, restando in attesa.

Poco alla volta la stanza si affollò di una ventina di persone: gente di ogni età, etnia, sesso e Adam iniziò a sentire la tensione sciogliersi poco alla volta, mentre le chiacchiere tra gli allievi si facevano più intense, meno imbarazzate.
Scoprì che tra di loro c'erano un paio di pensionati che desideravano sperimentare qualcosa di nuovo; una ragazzina che si era iscritta soltanto perché era ghiotta di cioccolato; un paio di tizi che desideravano approfittare di quel corso per rispolverare tecniche che non erano soliti utilizzare all'interno delle loro avviate attività di pasticceria; studenti del settore e persone finite lì per puro caso.

La ragazza che aveva riso della sua totale inesperienza gli si presentò poco dopo come Jennifer, ma chiamami Jen e finì per chiacchierare amabilmente con lui, deponendo ben presto le armi e rivelandosi una persona scontrosa soltanto per i primi trenta secondi di timidezza che le impedivano di presentarsi con entusiasmo a degli sconosciuti.
-Quindi… ti piacciono i dolci?- gli domandò Jen, scrollando le spalle e facendosi sempre più vicina a lui.
-È complicato- borbottò Adam aggrottando la fronte.
-Anche per me-
-Perché?- le chiese il ragazzo, incuriosito. 
-Perché i dolci mi fanno schifo, ma mio fratello mi ha costretto a partecipare a questo stupido corso- sbottò lei, sbuffando e aiutandosi con il proprio respiro ad allontanare dal viso una ciocca di capelli che non faceva altro che ricaderle sul lato destro, celandole appena un occhio. 
-Come mai?- le chiese, azzardandosi a portare la ciocca ribelle di capelli dietro l'orecchio della ragazza.

Jen gli sorrise riconoscente, ma subito dopo gli puntò contro un dito.
-Devi lavarti di nuovo le mani- lo rimproverò e Adam le sorrise annuendo, apprestandosi a seguire il suo suggerimento. -Mio fratello è l'insegnante. Lo stronzo che stiamo ancora qui ad aspettare-
A quelle parole Adam sgranò gli occhi stupito, si asciugò le mani con una salvietta e aprì la bocca per domandarle il nome di suo fratello, il loro insegnante: ma proprio in quel momento la porta della cucina si aprì ancora e… James Grover fece il suo ingresso nella stanza. 

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