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-Bene. Qui si conclude il nostro corso. Mi congratulo con ognuno di voi per i risultati ottenuti. Il mio assistente vi illustrerà cosa dovrete fare per ottenere l'attestato di partecipazione. Vi auguro una buona serata- 
Dette quelle parole, James Grover lasciò la classe, senza aggiungere altro.
Gli studenti si scambiarono degli sguardi straniti e imbarazzati; Thomas Black si schiarì la gola e cercò di smorzare l'evidente delusione dei presenti.

-Certo che si è confermato un vero stronzo- mormorò un ragazzo, rivolgendosi proprio ad Adam. Dall'altro lato, il giovane era affiancato da Jen: le rivolse uno sguardo di sottecchi, cercando di comprendere se quella frase l'avesse offesa. Jen, però, non mostrò segno di aver udito quelle parole: intercettò e ricambiò lo sguardo dell'altro e gli sorrise, per poi dargli una gomitata sul fianco. Adam accusò il colpo con mezzo gemito strozzato.

-Perché?- le chiese.
-Non difendi il tuo ragazzo?- ribatté la giovane, indicandogli con un gesto del capo il loro compagno di corso, che si era allontanato da loro dopo non avere ricevuto alcuna risposta da Adam. 
-Chi è il mio ragazzo?- le domandò, fuggendo dal suo sguardo accusatore. Jen sbuffò infastidita.
-Mio fratello!- borbottò e le gote di Adam sembrarono prendere fuoco di colpo, a causa dell'imbarazzo. 
-Non dire assurdità…- iniziò col dire il giovane, ma l'altra lo interruppe subito, rivolgendogli l'ennesima occhiataccia.

-Vedi di darti una mossa, Steel. Prima che riprenda di nuovo il volo-
-Non ho alcun potere per impedirglielo- mormorò in risposta e Jen sbuffò ancora, sempre più incazzata. Si allontanò da lui senza neanche salutarlo e poco dopo uscì dalla stanza, andando via.

Adam trasse un lungo respiro, si congedò dagli altri, recandosi verso gli ascensori. Prese il primo che trovò libero e anziché schiacciare il pulsante sul tastierino per raggiungere il pianterreno, pigiò il numero trentasette.
Il cuore prese a battere sempre più velocemente e si augurò che nessun altro prenotasse l'ascensore, lasciandolo da solo in quel breve viaggio verso la sua destinazione.

Quando giunse al piano, tirò un sospiro di sollievo: si guardò attorno con fare furtivo e si diresse deciso verso la stanza di James Grover.
Rimase a fissare la superficie linda della porta per un tempo indefinito, facendosi catturare dai riflessi di luce che l'accarezzavano, rendendo lucida la vernice bianca con cui era stata pitturata. 

Alzò una mano per bussare alla porta, ma quella si aprì di colpo.
James apparve sulla soglia; si era cambiato: indossava un paio di jeans sotto un maglioncino nero. Non sembrava nemmeno lui, come se quegli abiti tanto semplici l'avessero spogliato di tutta la sua arroganza; ma poi il ragazzo alzò gli occhi verso quelli dell'altro, incontrando l'espressione racchiusa all'interno delle sue glaciali iridi. Rabbrividì mentre sul volto di James prendeva vita un sorrisino malizioso.

-Allora non sei stupido. Ce l'hai fatta- sussurrò il pasticcere e Adam trasalì infastidito da quelle parole: aggrottò la fronte e seguì il proprio impulso, cercando di allontanarsi da lì il prima possibile.
James lo trattenne per un polso, lo strattonò verso di sé, obbligandolo a seguirlo dentro la sua stanza.
-Avevi detto che ti saresti assunto le tue responsabilità- lo rimproverò e il giovane arrossì furiosamente, riportando alla mente il contenuto dei messaggi che aveva avuto l'ardire di inviargli.

-Non…- borbottò. 
-Non incominciare- lo interruppe James. -Altrimenti rischio di incazzarmi seriamente- aggiunse e prese a fare scorrere il proprio sguardo sul corpo dell'altro.
Come aveva potuto un ragazzino tanto insignificante suscitare in lui un desiderio altrettanto selvaggio? 
Sin dal primo istante in cui l'aveva visto, lì al fianco di Jen, tra gli studenti del suo corso, aveva provato all'istante una forte tensione al basso ventre: aveva acceso in lui un desiderio spasmodico e quello l'aveva fatto incazzare.
Così come la stessa reazione gli aveva suscitato nel vederlo toccare con tanta eleganza gli strumenti del mestiere, maneggiandoli con una cura reverenziale che gli aveva ricordato la propria, ma che gli aveva anche acceso nella mente il pensiero folle di sentire quelle dita muoversi sul suo corpo.
Non conosceva ancora il suo nome e quello era già svenuto ai suoi piedi, presentandoglisi compiendo un'eclatante figuraccia. Perché l'aveva portato nella sua stanza? Perché non si era limitato a condurlo da qualsiasi altra parte? 

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