Capitolo 15✅

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Amarsi un po' è un po' fiorire

aiuta sai a non morire.

Amarsi un po' -Lucio Battisti-


<Non dobbiamo farlo se non vuoi>, disse Chase con voce preoccupata.

<Ma io voglio farlo>, ribattei piccata.

<Non farlo solo per me, deve essere una cosa che vuoi anche tu!>, sbuffai e gli tirai un cuscino addosso.

<Chase, non essere infantile! Perché non dovrei volerlo fare?>, il suo sguardo mi urlava che non voleva invece ed io non riuscivo a comprenderne a fondo il motivo.

<Senti, voglio conoscere la tua famiglia e credo che l'idea del party sia un ottimo espediente per andare a vedere qualche tua foto imbarazzante da piccolo>, lui sbiancò e capii di aver fatto centro, risi e gli accarezzai il petto dolcemente.

<Sarà una festa per persone piene di soldi e viziati figli di papà... non ti piacerà andare>, lo strinsi a me e gli spostai i capelli dal viso sedendomi sulle sue gambe.

<Tu sai tutto di me ed io so tutto di te, so quanto hai sofferto in quell'ambiente e ho più o meno capito com'è fatta la tua famiglia, ma... non vuoi che loro sappiano che adesso frequenti qualcuno?>, mi guardò diffidente e scosse il capo scoccandomi un leggero bacino, sapevo che non stava meglio dopo la nostra discussione e mi chiedevo come mai non mi volesse far conoscere alla sua famiglia. In generale stavamo bene: era passato tanto tempo dalla storia con Kim e lei cercava di evitare me e Chase il più possibile, ma alle volte la vedevo ancora guardarlo con gli occhi sbarrati pieni di un sentimento che mi preoccupava ma in fondo riuscivo a capire: amore morboso e doloroso. Tra poco sarebbe stato natale e Chase ed io avevamo deciso di passarlo a casa mia nel New Jersey, ci tenevo a presentarlo a Natalie e Sandra, già mi aspettavo le loro infinite domande a proposito della nostra relazione.

<Adesso non hai la psicologa?>, guardai l'ora sull'orologio al suo polso e mi alzai dalle sue gambe in tutta velocità raccattando le mie scarpe ed il cappotto sparsi per la mia camera.

<Hai ragione, torno tra due ore>, gli lasciai un bacio ed uscii dalla porta.

Avevo iniziato ad andare dalla psicologa dopo tanto tempo e devo ammettere che ne avevo davvero bisogno. Avevo sopravvalutato troppo la mia forza di volontà nel sembrare normale come tutte le altre persone, ma volevo essere il più normale possibile per Chase e per tutto quello che volevo donarli.

Quando lui mi guardava mi perdevo: nei miei desideri taciuti, nei miei pensieri annidati come scarafaggi nel mio cranio, certe volte mi perdevo nella convinzione di essere morta dentro, ed il dolore che provavo e provo tutt'ora mi fa desiderare infinite pagine da macchiare con la mia indole macabra e nascosta. Non mi stupisco di aver attirato un tipo così simile a me. Anche lui con quella strana indole insolente fatta di tenebra così pesante da sembrare catrame tra la mie dita, mi sono sempre sentita come se fossimo la stessa facciata di una moneta, come se fossimo stati creati dalla stessa tempra ma con diverso materiale. Lui di diamante e io di vetro soffiato: bellissimo, certo, ma così fragile da essere disgustoso. Ogni volta che lui mi sorrideva e mi diceva quanto io sia fantastica soffro, vorrei davvero essere la persona che lui pensa io sia, vorrei essere la sua Cindy. Volevo essere semplice come tutti gli altri, non volevo soffrire, non volevo essere lasciata in disparte, non volevo più essere me.

Certe volte da piccola, quando ero da sola e tutti dormivano immaginavo che nella mia stanza ci fosse qualcuno. Non sapevo chi o cosa fosse ma sapevo che gli parlavo per ore in un sussurro flebile, quasi un battito taciuto di farfalla. Sapevo che lui non esisteva realmente ma per me sì, per me era una specie di amico. Lui non mi giudicava per la mia anima macchiata dai miei stessi pensieri o per la mia sottile pazzia, no lui era muto, senza lingua e la cosa mi faceva piacere perché ero sicura che se avesse potuto mi avrebbe fatto del male con tutto quello che gli avevo confidato. Mi ricordo che la notte prima di andare a letto e spegnere le luci guardavo diffidente l'angolo della stanza e dopo aver chiuso l'interruttore della luce mi fiondavo sotto le coperte con la paura che mi afferrasse e mi trascinasse con se nell'angolo della mia cameretta. Solo io, dopo anni di parole sussurrate all'oscurità vuota, capii che avevo tagliato io la lingua al mio mostro della notte, l'avevo io posizionato nell'angolo della mia cameretta dove non si vedeva assolutamente nulla... Il mostro della notte ero io... ed io ero l'unica che poteva capirmi davvero e l'unica che davvero mi potesse fare tanta paura.
Diciamo che sono migliorata, sono andata da psicologi ma non riuscivano ad aiutarmi, quindi sono migliorata sulle mie spalle e sulla mia pelle marchiata dalle mie stesse unghie in cerca della mia umanità perduta in quelle notti buie e piene di parole sussurrate al nulla più incommensurabile, come petrolio che si espande nell'acqua, fuori luogo in mezzo a tutto il resto.

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