Capitolo 20

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Perché, vedi, ogni giorno ti amo di più. Oggi più di ieri e meno di domani.
_Rosemonde Gerard_


<Hey, non fare quella faccia!>, rimproverai Chase che per tutta la mattina aveva tenuto il broncio. Stavamo facendo le valigie per andare a casa di Chase ma nessuno dei due sembrava abbastanza euforico.

<Sai che possiamo anche non andarci>, mi disse lui sperando silenziosamente che cambiassi idea, ma ero irremovibile.

<Ma io voglio farlo>, lo abbracciai appoggiando la testa al suo petto, sapevo perfettamente che se lo abbracciavo e lo coccolavo lui non aveva il coraggio di dirmi di no. Era gioco sporco ma a mali estremi estremi rimedi.

<Ok, ok, hai vinto tu>, sorrisi e gli scoccai un bacio chinandomi per chiudere la valigia.

Scendemmo al piano di sotto e trovammo Christian e Janet che guardavano la tv, li salutammo augurandoli buone feste e uscimmo di casa trascinando i bagagli abbastanza leggeri.

Il viaggio fu lungo, pieno di chiacchiere e una playlist che avevo fatto pochi giorni prima. Non mi erano mai piaciuti i viaggi, infatti quando dovevo spostarmi dormivo sempre con le cuffiette nelle orecchie e non degnavo mai di uno sguardo il mondo fuori dal finestrino, ma con Chase riscoprivo un sacco di cose come se fosse la prima volta che le facevo.

Los Angeles era bella come la ricordavo: I palazzi alti, le case eleganti, i quartieri pieni di persone... adoravo le metropoli! La macchina proseguì fino ai margini della città, i grandi palazzi e i negozi lasciavano posto a case di lusso e grandi giardini. Chase si fermò davanti ad una che spiccava sulle altre per grandezza e raffinatezza. 

Il marmo bianco riluceva al sole, la casa aveva uno stile romano con colonne e statue classiche che come modelli stavano immobili nel grande giardino. Ero senza fiato. Chase sospirò e borbottò qualcosa di incomprensibile, come se avesse pronunciato una qualche formula magica il grande cancello di ingresso si spalancò con una lentezza maestosa. Mi sentivo stranamente a disagio tutto d'un tratto.

Proseguimmo lungo il viale di ghiaia che si andava a nascondere dietro la casa, lì c'era un grande buco nel terreno in cui le macchine potevano andare nel garage sotterraneo. Sentivo l'ansia salirmi sempre di più, mi sentivo quasi soffocare.

<Cambiato idea?>, chiese ridacchiando Chase, ma non sembrava poi così tanto divertito dopo tutto.

<No...>, scoppiò a ridere, una risata nervosa e tirata. Se io ero così in ansia  lui doveva essere terrorizzato.

Mi aveva raccontato quanto da piccolo avesse sofferto per le critiche dei suoi genitori perché non avevano mai creduto in lui. Mi dispiaceva immensamente, perché sapevo in parte cosa significava.

Chase parcheggiò nell'immenso garage sotterraneo. Prendemmo le valigie e mi afferrò la mano stringendola forte, ricambiai la stretta in silenzio. Chiamammo un ascensore che arrivò quasi immediatamente. 

<Tutto bene?>, gli chiesi, non rispose.

<Ch...>, le mie parole vennero improvvisamente bloccate dalle sue labbra che esigenti si impossessarono delle mie. Fu un bacio veloce e pieno di passione, frustrazione, ansia, un bacio pieno di emozioni contrastanti che mi lasciò senza fiato. Immaginai che ne avesse davvero bisogno.

Appena la porta dell'ascensore si aprì ci ritrovammo davanti ad un salotto con il pavimento a scacchi di marmo grande quanto un stadio. Mi sentivo come Pollicino nella grotta del Gigante.

<Ben arrivati!>, una voce femminile, dura, eppure armoniosa in qualche modo, esplose nelle nostre orecchie riecheggiando nella grande stanza.

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