Passo le mie giornate ad occuparmi la testa con lo studio pur di non pensare ai messaggi di Dario o ai problemi con Noah. Impegno così tante energie nello sforzo di non pensare che la mia mente si stanca subito, perdo spesso il filo del discorso e dimentico anche le cose più banali. Sono nella mia stanza del dormitorio, sola, e decido di controllare il telefono dopo ore passate ad ignorarlo. Rimango sorpresa quando vedo che Dario mi ha mandato un messaggio.
Dario:
Ormai è ovvio che tu mi stia evitando, ma oggi voglio esserci per te, quindi se hai bisogno io sono qui.Fisso lo schermo per un attimo, in totale confusione, e nel dubbio gli rispondo con un semplice punto di domanda. La sua risposta arriva dopo qualche minuto.
Non sai che giorno è?
Un senso di panico mi pizzica prima lo stomaco, poi la nuca, facendomi rabbrividire mentre controllo la data sul calendario.
Cazzo, cazzo, cazzo.
Mi mordo le unghie in preda all'ansia.
Come ho potuto dimenticarlo?
Abbandono i libri sulla scrivania e mi vesto alla rinfusa, infilo le scarpe e il cappotto e volo fuori dalla stanza, via dal dormitorio e verso la fermata del bus.
Una morsa d'acciaio mi sale alla gola per stringersi sempre di più, come un cappio al collo che mi incide la pelle e mi toglie il respiro.
Come ho potuto dimenticarlo? continuo a domandarmi.
Come cazzo ho fatto a dimenticarlo.
Sono così presa dal senso di colpa, dall'ansia e dall'agitazione che non mi rendo neanche conto di quello che faccio, il mio corpo si muove in automatico: salgo sul bus, mi siedo, scendo dal bus, cammino fino alla metro, scendo le scale, salgo, mi siedo, scendo, cammino, corro. Non dovrei correre, non è necessario, ma il mio corpo ormai si muove da solo, frenetico.
Solo quando arrivo davanti al grande cancello scuro riesco a fermarmi e a respirare. Prendo il telefono, con le mani che tremano per l'adrenalina della corsa e per l'angoscia, e chiamo mio padre.
- Tesoro, ciao. Come... -
- Perché non me l'hai ricordato?! - lo interrompo, quasi urlando, prima che lui possa chiedermi come sto: tanto non sarebbe una risposta felice.
Sento mio padre sospirare dall'altra parte e prendersi qualche minuto prima di parlare.
- Cos'è successo, Emi? - mi chiede preoccupato.
- Dovevi ricordarmi della mamma, di oggi. - sbotto, con il telefono stretto nella mano, le dita sbiancate.
- Me ne sono dimenticata, cazzo. Come ho potuto? - riesco a dire prima che la voce mi abbandoni per fare spazio ai singhiozzi e alle lacrime.
Dall'altro capo del telefono papà mi rassicura, dice che non devo sentirmi in colpa e che lei è sempre con noi, che un giorno passato senza pensarla non è un giorno senza di lei, perché lei è in tutto quello che facciamo e che siamo. Sento la dolcezza di cui sono intrise le sue parole e capisco che ha ragione, ma allo stesso tempo è tutto lontano e le frasi sbiadiscono intorno a me come fumo.
Chiudo la chiamata ed entro, oltrepassando il cancello.Non mi sono mai piaciuti i cimiteri e l'idea di essere sepolti in una bara tre metri sotto terra, ma mentre cammino in mezzo a questi letti di pietra non riesco a non pensare alla poeticità di questo luogo che unisce il passato, il presente ed il futuro.
Anche in inverno, quando i fiori muoiono in fretta e il terreno è denso e scuro, i cimiteri assumono quell'aria spettrale e mistica che li contraddistingue e che a volte fa un po' accapponare la pelle. Sono dei luoghi al limite: un po' di qua, un po' di là, per i vivi e per i morti.
Osservo le lapidi con le loro foto, le date e le epigrafi, immaginandomi le storie di tutte queste persone. Sento una stretta al cuore ogni volta che noto un ritratto giovane, troppo giovane per morire, ma troppo giovane per aver vissuto appieno.
So già che non troverò il volto di mia madre su nessuna di queste pietre, perché lei è a migliaia di chilometri da qui, in un'urna nella stanza che condivideva con papà, ma questo è il posto che ho scelto per venirla a trovare in questi anni a Londra. Forse non ha senso, ma mi aiuta a superare la giornata ed è, in qualche modo, terapeutico.
A volte ripenso al suo funerale, altre volte cerco di dimenticarlo perché preferisco ricordarla in vita, sorridente, presente e concreta. La mamma è quasi sempre nei miei pensieri, qualche volta la lascio da parte, ma non mi era mai successo di dimenticarmene così...Quando alla fine me ne vado, mi sembra di essere imbottita di ovatta fin dentro alle ossa, così tanto da non sentire la mia stessa voce mentre piango. Tutta la tensione che mi ricopre sembra farsi più stretta e il mondo inizia a girare.
Ripenso al messaggio di Dario e lo chiamo prima che la paura si impossessi di me e la lucidità mi abbandoni.- Emi? - risponde lui, con voce profonda e un po' imprecisa, e in quella sola parola riesco a percepire la sua apprensione e la sua sorpresa. Un piccolo brivido dietro alla nuca mi ricorda perché mi mancasse così tanto, mentre tutto ciò che mi circonda scompare all'improvviso.
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LAST TIME - L'ultima volta che ti ho visto
FanfictionEmilia e Dario condividono una profonda amicizia che dura per anni, fino a che Emilia vince una borsa di studio per studiare a Londra. Così, un legame che sembrava indissolubile, eventualmente si dissolve.