14. Lì e qui

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Più il tempo passa e più mi sembra di rimanere indietro, di perdermi nei suoi vicoli bui e di non riuscire più a recuperare. L'ansia del graduation day mi sta divorando sempre di più e ogni pensiero che non sia indirizzato allo studio mi fa sentire in colpa, un fallimento. Noah cerca di essermi di supporto, di sostenermi e aiutarmi a ripetere per gli esami, e gliene sono grata, ma la realtà è che quando sono con lui l'agitazione sembra solo aumentare, come benzina gettata su un fuoco vivo. Ma questo non posso dirglielo: lo spaventerei, lo farei preoccupare inutilmente, lo allontanerei. Ed è l'ultima cosa che voglio.

- A forza di stare piegata sui libri, diventerai gobba. - dice Noah sedendosi accanto a me, al grande tavolo che occupa il salotto di casa Brown. Raddrizzo subito la schiena, senza però perdere la concentrazione.
- Perché non fai una pausa? Sono giorni che stai sui libri, non sei stanca? - mi domanda.
- Non posso, devo essere pronta, altrimenti mi faranno posticipare la graduation ceremony, e non ne ho proprio voglia. -
- Non vedi l'ora di andartene da qui, eh? - esordisce Noah, con un sorrisetto divertito e un po' indispettito. Lo guardo confusa, non capendo se dica sul serio o se stia solo cercando di alleggerire la situazione. L'atmosfera diventa fredda all'improvviso, forse per colpa mia che mi sono irrigidita alle sue parole. Noah mi guarda, con un gomito appoggiato al tavolo e l'altro allo schienale della sedia, il corpo rivolto verso di me.
- Che c'è? - mi chiede.
- Lo sappiamo entrambi che dopo la laurea tornerò a Bologna. - affermo con decisione.
Noah sospira e sposta lo sguardo altrove, mordendosi il labbro in modo nervoso.
- Lo so, non volevo dire quello. - si corregge, poi fa un altro sospiro e si gira a guardarmi.
- Pensavo che avresti cambiato idea, però. - aggiunge, e la sua voce si abbassa come fa spesso quando parla di qualcosa di spiacevole.
Abbandono la matita tra le pagine del libro e mi giro sulla sedia, guardandolo direttamente. Noah non sembra esattamente triste, ma la sua bocca è storta in una smorfia di disappunto che non riesco ad inquadrare del tutto. Gli rivolgo uno sguardo interrogativo e gli chiedo cosa intende.
- È solo che... Pensavo che saresti tornata qui, alla fine. - 
- Noah... Bologna è la mia casa, c'è mio padre, non posso mollare tutto per stare qui per sempre. - 
- Però puoi mollare tutto qui ed andartene lì? - sbotta lui, con un tono che tradisce qualcosa di più che va oltre al semplice dispiacere.
- Lì è casa, Noah. Lì è famiglia. -
- Certo, come no. - risponde lui, alzandosi di colpo dalla sedia e dandomi le spalle. A volte non riesco proprio a capire le motivazioni dietro ai suoi comportamenti, i suoi sbalzi di umore. Qualsiasi cosa io dica sembra mandarlo su tutte le furie, oppure renderlo indifferente d'un tratto, senza alcun motivo in particolare.
- Vuoi dirmi che non ha niente a che fare con quel tipo? Dario? - più che una domanda, sembra che stia sputando del veleno con le sue parole. Sono allibita.
- Cosa c'entra lui? C'è mio padre, i miei parenti, le mie amiche! Tutta la mia vita è lì. - gli rispondo, e senza rendermene conto sto alzando la voce. Questa conversazione mi sta innervosendo, mi sento accusata anche quando non ho fatto assolutamente niente.

Tra me e Noah cala il silenzio, mentre ci guardiamo con delusione e lasciamo che siano i nostri occhi a discutere al posto nostro. Alla fine lui abbassa lo sguardo e incrocia le mani sul petto, sembra essersi arreso.
- Scusa. - dice sommessamente, fissandosi la punta delle scarpe.
- Lo so che non lo fai per lui, ma per George. - conclude, per poi avvicinarsi e prendermi le mani fra le sue.
Sono ancora un po' scocciata dal suo atteggiamento, ma ancora una volta non so se posso biasimarlo o colpevolizzarlo per come si sente. Gli stringo le mani e gli do un bacio sulla guancia.
- Va tutto bene. - lo rassicuro, così Noah mi bacia delicatamente e mi stringe in un abbraccio silenzioso. Rimaniamo così per un po', lasciando che le parole dette scivolino via per lasciare spazio a nuove consapevolezze.
- Londra e Bologna sono molto lontane. - sussurra lui vicino al mio orecchio, con il volto affondato tra i miei capelli, le spalle incurvate per la differenza di altezza.
Mi ha colto alla sprovvista, perché in effetti non ci avevo mai pensato, non concretamente: come faremo a mantenere la nostra relazione? È possibile avere una relazione a distanza?
Nella mia ingenuità pensavo che tutto sarebbe rimasto come sempre, ma non ho pensato a questo, anzi forse non ho pensato proprio a niente. Per la prima volta da quando siamo tornati insieme, sento i dubbi riaffiorare nella mia mente e le mie sicurezze tornare a vacillare.
- Lo so. - sussurro in risposta.
E una domanda rimane in sospeso tra di noi senza essere mai pronunciata, così come la sua risposta.

LAST TIME - L'ultima volta che ti ho vistoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora