16. Come ci si sente?

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- Me lo sono dimenticata. - è l'unica cosa che riesco a dire, tra un singhiozzo e l'altro.
Dario non dice niente, ma lo sento respirare rumorosamente, come se stesse trattenendo delle lacrime.
Non riesco a smettere di piangere e odio doverlo fare così, attraverso un telefono: vorrei averlo qui accanto, a stringermi e a tirarmi su il morale con degli aneddoti divertenti sulla mamma. Come fece il giorno del funerale, tenendo insieme i miei pezzi dopo il crollo definitivo. Questo ricordo mi fa piangere ancora di più e Dario, dall'altra parte del telefono, si spaventa.
- Adesso calmati... - prova a dirmi, ma lui è così lontano e io sono da sola in mezzo a un marciapiede. La mia mente è offuscata da ricordi dolorosi che fanno a botte per avere la mia attenzione, e anche se provo a ricacciarli indietro, loro picchiano più forte.
Mi manca l'aria.
- Emi respira, concentrati sui rumori che hai intorno. Libera la mente. - la sua voce è lontana, poi vicina, poi lontana di nuovo. Provo con tutte le mie forze a concentrarmi sulle sue parole, ma la stretta al petto si fa sempre più presente e inizio ad annaspare. Mi accascio contro il muretto accanto all'entrata del cimitero e sento le gambe cedere, portarmi giù.
- Tocca qualcosa, qualsiasi cosa che hai vicino. Concentrati su quello e respira. -
Dario continua a darmi istruzioni, ormai sa come fare, ha imparato dopo anni e anni di pratica con i miei attacchi di panico.
Le mani iniziano a formicolarmi e faccio fatica a sorreggere il telefono, ma mi sforzo e allungo la mano libera sul terreno. Tasto il cemento e trovo un piccolo sasso, così inizio a maneggiarlo, concentrandomi sulla sua superficie ruvida, sulla sua forma tondeggiante; lo rigiro tra le dita e accompagno i miei respiri, mentre la voce di Dario mi guida.

Piano piano il dolore al petto si attenua e le mie gambe sembrano funzionare di nuovo.
- Va meglio? - mi chiede lui, la voce che inizia a cedere. Fino ad ora ha mantenuto il controllo, mentre io lo perdevo.
- Sì. Grazie... -
Lo sento sospirare pesantemente, quasi quanto me.
- Sei sola? -
Gli dico di sì e lui impreca sottovoce.
- Chiama qualcuno e fatti portare a casa. -
- Non ti preoccupare... - provo a dire, ma lui mi interrompe immediatamente.
- Chiama qualcuno per farti venire a prendere. - dice autoritario, non ammettendo obiezioni.
- Per favore. - aggiunge poi, addolcendo le parole e strappandomi un sorriso.
La conversazione finisce lì perché Dario insiste affinché io chiami qualcuno e torni al dormitorio, così lo ringrazio e lo saluto con una strana sensazione addosso: un miscuglio di imbarazzo, senso di colpa e mancanza.

Mi rialzo lentamente e mi pulisco i pantaloni dallo sporco, poi cerco tra la rubrica dei contatti un numero da chiamare.
Il mio dito si sofferma sul nome di Noah, ma dovrei spiegargli cos'è successo e non ho voglia di parlarne, soprattutto non voglio litigare a causa di Dario. Così scorro ancora un po' fino al contatto di Lily e premo il tasto verde.

Appena salgo in macchina, Lily mi chiede cos'è successo, notando i miei occhi gonfi e la pelle più pallida del solito. Non so bene come affrontare la questione, ma alla fine le racconto cos'è successo.
Lei è dispiaciuta, quasi mortificata per non essere stata con me in questa giornata emotivamente difficile. Provo a rassicurarla, perché in fondo se non lo sapeva era perché io non gliel'ho mai detto.
- Come ci si sente? - mi chiede poi, lasciandomi destabilizzata, perché non ho mai dovuto spiegare a qualcuno, a parte Dario, com'è un attacco di panico.
- Non lo so... È come perdere il controllo del proprio corpo. Arriva l'ansia, la paura, poi diventa difficile respirare, finché non ci riesci più. Ti senti prosciugare di tutte le forze... - deglutisco mentre mi strappo le pellicine intorno alle unghie, nervosa.
Lily rimane in silenzio per un po' e mi lancia un'occhiata fugace, prima di tornare a guardare la strada.
- Come fai a fermarlo? A farlo smettere... - domanda un po' incerta.
- Devi riprendere il controllo della tua mente. È difficile farlo da soli. - provo a spiegare.
- Allora sono contenta che Dario ti abbia aiutata. Noah non ci sarebbe riuscito, io non ci sarei riuscita, probabilmente... - afferma con un po' di dispiacere nella voce.
- Non fartene una colpa. - provo ad alleggerire l'atmosfera, ma noto le sue mani stringersi intorno al volante.

Poco dopo, Lily rallenta e accosta la macchina vicino ad un piccolo spiazzo per gli autobus. Si slaccia la cintura e si gira verso di me, rivolgendomi uno sguardo che non riesco proprio a decifrare: sembra triste, ma anche arrabbiata.
- Ti devo delle scuse. Per come ti ho trattata dopo la faccenda di Noah, non te lo meritavi. Hai fatto un errore, può succedere. - butta fuori le parole tutto d'un fiato, come se le tenesse dentro da troppo tempo.
Rimango spiazzata e la guardo imbambolata, senza sapere cosa dire. Lei mi sorride, poi si allunga sul sedile e mi abbraccia con dolcezza. Ricambio l'abbraccio e restiamo strette per un po', con gli occhi lucidi e il naso colante.

Poi Lily si allontana e si ricompone, si riallaccia la cintura e riprende in mano il volante.
- E comunque lo vedo come ti illumini quando parli di lui, anche se sei arrabbiata. È più forte di te. - conclude, sorridendomi maliziosa.
Divento paonazza e scivolo più giù sul sedile del passeggero.
- Pensa a guidare! - la rimprovero, ma mentre rimette in moto l'auto, sul mio volto prende forma qualcosa di molto simile a un sorriso.

LAST TIME - L'ultima volta che ti ho vistoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora