Capitolo Sei

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Buona Pasqua a tutti! E non odiatemi per aver scritto questo capitolo. Vi voglio bene!


"Ciao, come stai? Sei in questura?"

Che messaggio stupido. Sapevo che Gaia non sarebbe mai andata, avevo ben percepito la sua ostilità verso qualsiasi tipo di istituzione.

Me ne ero andato come un ladro, quando il sole iniziava a fare capolino all'orizzonte. Non potevo rimanere, avevo una riunione con le parti sociali, nel pomeriggio il Consiglio del Ministri. Non potevo, non potevo affatto. Continuavo a ripeterlo rinchiuso nel mio ufficio, tra quelle pareti dorate che ora sembravano soffocarmi.

Ero rimasto ad osservarla mentre dormiva, sfiorandole il viso dove i lividi viola iniziavano ad essere sempre più marcati.

Avevo tremato di rabbia nel vederla in quelle condizioni, il suo bel viso deturpato, i vestiti strappati con violenza nel chiaro intento di...

Non volevo nemmeno pensarci a cosa poteva davvero accadere.

Si era difesa, è vero, ma era solamente un caso fortuito che ne fosse uscita quasi indenne.

Ancora mi chiedo il perché l'ho baciata, come un ragazzino che non sa resistere ai suoi impulsi peggiori. Sembrava così indifesa e sola e io...

"Presidente l'attendono per la riunione."

Mi voltai e semplicemente annuii, facendo segno con la mano di avere ancora due minuti. Poggiai le mani alla scrivania, osservando il cellulare.

Non aveva letto il messaggio e io non avevo il coraggio di scriverle ancora.

Infilai la giacca nervosamente ed uscii dal mio studio.

Non sapevo nulla di lei, come potevo esserne attratto? Troppo diversi, troppo distanti, troppo, tutto era troppo.

In fondo lei non sapeva di quel bacio.

Ancora mi chiedo perché ha chiamato me, mi rifiuto di pensare che una come lei non abbia affetti più cari al di fuori del sottoscritto.

Sentirla piangere mi aveva angosciato, non avevo pensato nemmeno per un secondo di mandare una volante, mi ero precipitato nella mia auto, urlando all'autista di correre il più veloce possibile.

La riunione era terminata da più di mezz'ora, non ero riuscito a concentrarmi per più di cinque minuti di seguito.

Fingevo di scrivere qualche appunto ma in realtà, spesso controllavo i messaggi.

Mi odiai e odiai lei. Perché diavolo non mi rispondeva?

Sciocca ragazzina, come se io non avessi avuto altro che pensare a lei.

Avevo un paese sulle mie spalle, non potevo badare ai capricci di una bambina.

Proseguii la mia giornata cercando di mantenere un self control appropriato. Dedicai i miei pensieri al lavoro, tanto da lasciare lo smartphone nel mio studio.

Lavorai così tanto da saltare il pranzo, arrivando stremato a sera. Un profondo mal di testa continuava a cerchiare la mia testa.

Passai le mani sul viso, seduto alla grande scrivania di mogano. Slacciai la cravatta e allentai qualche bottone della camicia.

Poggiai il capo alla sedia di pelle nera, rimanendo ad occhi chiusi.

I miei pensieri correvano veloci, ma solo uno era costante. Lei, lei e ancora lei.

Non riuscivo a pensare che in qualche modo fosse risentita o peggio arrabbiata con me, per la mia fuga silenziosa.

Ma era la paura di legarmi a qualcuno, di rimanere ancora in trappola che mi aveva fatto scappare. Quella era la verità.

Non le riunioni e gli impegni, ma Gaia, lei che sapeva ascoltare, che sapeva capirmi così bene, come nessuno aveva mai fatto.

Nessuna mi aveva mai ascoltato parlare tanto quanto aveva fatto lei. Tutte sembravano così prese dalla loro vita, che la mia passava in secondo piano. Ma lei no, Gaia era stata costante e paziente, fin troppo comprensiva con un uomo in piena crisi che si era aggrappato ad una ragazza per non perdersi.

E io cosa avevo fatto? Ero scappato come un ladro, un vigliacco. Con lei e con me.

Portai nuovamente le mani al viso cercando di placare il dolore alla testa.

Poi il cellulare vibrò, un messaggio.

"Non sono andata in questura. Grazie per essere venuto subito da me. "

Poi un altro.

"Mi manchi."

Ed eccolo il mio stupido cuore, quello che ragionava come un ragazzino, che iniziò a pompare velocissimo.

"Anche tu mi manchi."

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Non servivano spiegazioni, sapevo perché non era rimasto con me. Entrambi facevamo una vita totalmente agli antipodi. Era divertente scriverci qualche messaggio, prenderci in giro e ridere assieme. Ma era chiaro che tutto si fermava lì.

Avevo maledetto le mie mani che avevano scritto quel messaggio, ma il mio raziocinio non era stato in gradi impedirmelo.

Avrebbe potuto rispondermi di non essere stupida, chiedermi che idea mi ero fatta o cosa pensavo di ottenere.

Ma Giuseppe mi aveva stupita ancora una volta.

"Anche tu mi manchi."

Rilessi più volte quelle poche parole.

Iniziai a vestirmi per andare a lavorare la pub. Dopo essermi truccata abbastanza pesantemente per coprire i lividi.

"Facciamo due vite diverse Giuseppe."

Scrissi mentre camminavo per la strada.

"Cosa vuoi dirmi Gaia?" Mi rispose lui immediatamente.

"Non viviamo nel mondo delle favole. Possiamo essere amici. Ma nulla più."

Questa volta la risposta arrivò dopo diversi minuti.
"Come desideri Gaia. Ma io non posso esserti amico, non posso essere nulla per te. Io non ti conosco."

"Non c'è nulla da sapere su di me." Scrissi velocemente e continuai. " La mia vita non è assolutamente interessante come la tua."

" La verità è che non ti fidi Gaia, come io non riesco a fidarmi. Ho paura, troppa paura per portare avanti questa cosa."

Asciugai due lacrime che avevano percorso le mie guance, portandosi via un po' di trucco.

"Io non ti ho chiesto nulla Giuseppe. Nulla, cazzo!"

Ma invece di smettere quella discussione che sembrava solamente ferirci più del necessario, Giuseppe continuò.

"Mi dispiace. Avrei voluto fosse diverso."

"Io no." Risposi piccata questa volta. "Sapevo esattamente che sarebbe andata in questo modo. Non scrivermi più."

Non ci scrivemmo per mesi.

Un giorno, all'improvviso (Giuseppe Conte Fanfic)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora