Capitolo 18

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"Ciao, dovevo venire io da te, no?" mi chiese facendomi accomodare in camera.

"Si, si, però mi mancavi..." gli dissi guardandomi attorno cercando il regalo che aveva appena ricevuto.

"È in camera, vuoi vederlo?" chiese ingenuamente.

"È una proposta indecente?" replicai maliziosa, cercando di nascondere l'ovvia gelosia.

"Eccolo qui. Lo dovrò appendere..." disse sospirando mentre scrutava le dimensioni di quella tela.

Era un'enorme gigantografia della vista panoramica su Parigi in bianco e nero.
Lasciava senza fiato: era meravigliosa e in confronto allo sfarfallio di tutte quelle lucine notturne mi sentivo così piccola e insulsa.
Rimasi senza parole, lui lo notò ma credo pensasse che fossi solo gelosa.

"È un regalo, lei ama Parigi..." disse con la voce un po' sommessa.

"Beh, abbiamo gli stessi gusti riguardo tutto allora!" esclamai certa di quanto le mie allusioni lo facessero impazzire.

"Senti non mi va di scendere a mangiare, rimani qui con me?" propose lasciando cadere la mia affermazione nel vuoto e avvicinandosi a me tanto da farmi percepire il calore del suo corpo.

"No, non posso, ho già detto a Marco che sarei andata a cena e che poi avremmo finito di lavorare, per te, tra l'altro." mi scostai tornando a guardare la tela.

"Ah, siete diventati amici?" chiese celando un'espressione aggrottata.

"Amici intimi. -lo provocai per godermi la sua reazione, che non tardò ad arrivare facendolo voltare di scatto fissando gli occhi nei miei- Scherzo!"

"Meglio." sussurrò credendo che non lo sentissi.

"Cosa?" chiesi per mantenere il suo gioco.

"Niente." rispose avvicinandosi a me e accarezzandomi la nuca.

Averlo così vicino mentre mi dedicava le attenzioni più dolci mi riempiva il cuore. Eravamo semplicemente seduti sul suo comodo divano a bere del vino rosso: lui parlava di qualsiasi cosa gli venisse in mente e faceva domande a cui si rispondeva da solo. Percepivo la sua volontà di rendermi partecipe almeno di una fetta della sua vita, nonostante sapessimo entrambi che quei momenti sarebbero passati e tutto sarebbe finito relativamente presto; non appena avessi avuto la possibilità di tornare a casa mia l'avrei colta al volo e quella parentesi si sarebbe conclusa con la stessa facilità con cui si era aperta. Non sarei mai potuta entrare nella sua vita, era tutto troppo complicato e non credo che lui sarebbe mai stato disposto a smussare gli aspetti più ispidi della sua vita.

"Non credi?" mi chiese risvegliandomi dai miei pensieri.

"Sì certo!" esclamai cercando di mimetizzare la sorpresa.

"Devi per forza andare da Marco?"

"Mmmh..." risposi accavallando le gambe sopra alle sue.

"Lo prendo come un no?"

"Ma prendilo un po' come vuoi..." sbuffai abbandonandomi con la schiena al bracciolo del divano, nascondendo un sorriso soddisfatto. Mi piaceva che lui si preoccupasse in quel modo e che le attenzioni innocue di un altro uomo lo facessero stare così in allarme.

Le sue mani accarezzarono le mie gambe salendo pericolosamente fin dove trovò la mia mano a fermarlo.

"No, no te l'ho detto che devo scendere a cena." asserii secca.

"Matteo aspetterà..."

"No, ci vediamo più tardi." gli dissi alzandomi e lasciandogli un bacio veloce sulla guancia.

Salutai con un cenno i colleghi di mio padre subito fuori la porta dell'appartamento di Giuseppe e mi fiondai nella mia camera per fare una doccia.
In meno di venti minuti ero già seduta davanti ad un'improbabile pastasciutta che mai avrei pensato di mangiare, accompagnata da una serie di altre persone prese a far telefonate o a spulciare parole su parole dell'ennesimo discorso del Presidente.
Marco era seduto da parte a me e anche lui teneva, di fianco al piatto, il cellulare e cercava di correggere gli errori di una bozza che avrebbe dovuto mostrare a Giuseppe l'indomani.

"Santo cielo..." sussurrai a voce un po' troppo alta, dal momento che il ragazzo al mio fianco si destò e mi guardò.

"Come?" mi chiese.

"No, niente. Lavorate tutti..." risposi leggermente imbarazzata per l'insolita uscita, assolutamente non in linea con la mia personalità.

"Eh si, non ci lascia un attimo di respiro." rispose alludendo al Premier.

"Mi dispiace." provai a non rendermi troppo antipatica.

"Dopo devi assolutamente aiutarmi, devo finire tutto per domani altrimenti non escludo che mi ammazzi."

'Ma perché diavolo non metti il soggetto in queste frasi passivo-aggressive?' pensai.

"Si, si ti aiuto." risposi un po' scocciata.

Il mio telefono si illuminò e subito anche Marco gettò lo sguardo sullo schermo, fortunatamente la mia mano arrivò prima che lui potesse leggere il mittente e il contenuto del messaggio, ma una cosa era certa: Giuseppe doveva smetterla di scrivermi quei messaggi così criptici ed espliciti allo stesso tempo.

La serata passò abbastanza velocemente e, anche se ormai era notte fonda, non rinunciai all'ultima sigaretta della giornata sul terrazzino di fronte alla mia stanza. Mi tornò in mente quando, qualche giorno prima, anche Giuseppe mi aveva raggiunta lì e mi sorpresi a pensare a quanto tutto quello che da quel giorno era successo fosse inaspettato.
Per molto tempo avevo desiderato di incontrare l'autore dei miei manuali preferiti, ma mai avrei pensato di finire a letto con lui.
Ad ogni modo qualsiasi cosa fosse io avevo intenzione di godermela, nonostante le continue insinuazioni del giovane collaboratore di Giuseppe, delle sue guardie del corpo e mio padre e di tutti i problemi e le bugie che stavano nascendo da tutta quella situazione.

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