Capitolo 17

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Avevo avvertito per tutta la mattina lo sguardo pesante di Marco aleggiare tra me e Giuseppe ed ero certa che anche lui l'avesse notato, tanto che più di una volta mi aveva guardata negli occhi cercando di capire se stessi bene.

"Va bene, Marco lei può andare, aspetto il resoconto aggiornato ad oggi per domani mattina!"

"Arrivederci!" esclamai io vedendolo uscire dall'ufficio.

Sospirai alleggerita dall'uscita di scena di quel ragazzo tanto arrogante quanto consapevole; mi dava dannatamente fastidio che avesse capito così bene quello che neanche io ero riuscita a capire.

"Telefono!" accennai vedendo lo schermo del suo cellulare illuminarsi all'improvviso.

"Lascialo suonare." mi rispose trascinandomi in piedi e baciandomi. Avevo letto il nome e non potevo far altro che compiacermi del fatto che non le avesse risposto, nonostante l'imbarazzo e la vergogna non mi lasciassero mai in pace.

"No, non qui." sussurrai indicando la porta aperta.

"Simpatico quel Marco!" esclamò interrompendo l'abbraccio che mi aveva rivolto e andando verso la porta per chiuderla.

"Molto..." risposi io buttandomi letteralmente sulla poltroncina verde in fondo alla stanza.

Mi raggiunse posizionandosi alle mie spalle e iniziando a massaggiare il mio collo e le mie spalle, spostando a destra e a sinistra i miei lunghi capelli ramati.

"I ruoli dovrebbero essere invertiti." asserii io guardandolo.

"Perché?" chiese interrogativo avvicinando il suo volto al mio.

"Perché si!" esclamai baciandolo.

La porta si riaprì di colpo, un secondo dopo che le sue labbra ebbero lasciato le mie.

"Presidente è arrivato-" si arrestò il ragazzo notando la mano di Giuseppe sulla mia spalla.

"Dica." lo invitò Giuseppe a concludere la frase.

"Mi dispiace, non volevo disturbarla, ma è arrivato un pacco per lei ed è molto ingombrante. Vorremmo sapere dove metterlo."

Marco era realmente imbarazzato dalla situazione intima in cui ci aveva sorpresi, ma in quel momento la curiosità di Giuseppe prese il sopravvento.
Ovviamente seguii i due per tutti i corridoi di Palazzo Chigi, fino ad arrivare davanti ad un'enorme figura rettangolare ricoperta di cartone e chiusa da un fiocco di tulle rosso.

"Portiamolo nel mio appartamento." ordinò Giuseppe, avendo già intuito il mittente.

"Mi aiuti con il resoconto per il Presidente?" mi chiese Marco appoggiandomi una mano sulla spalla e distraendo il mio sguardo dalla situazione indaffarata in cui Giuseppe si trovava.

"Certo." risposi un po' titubante, continuando a mantenere lo sguardo su Giuseppe e sugli altri tre uomini che spostavano il regalo per il Presidente.

Eravamo seduti sulle stesse poltrone su cui qualche sera prima era iniziata la passionale relazione, perlopiù notturna, con il capo del ragazzo che ora era seduto davanti a me.

"E così sei rimasta bloccata qui a Roma? Ti dispiace?" chiese lui con tono meno serio di quello che avrebbe dovuto usare.

"Certo, mi manca la mia famiglia e mi mancano i miei amici, ma poteva andarmi peggio." risposi senza pensare neanche un secondo a quanto equivoca potesse risultare quella mia frase.

"Hai trovato un ottimo passatempo, poteva andarti peggio..." mi canzonò sottolineando con un tono ironico le ultime parole.

"Come scusa?" chiesi io in modo fintamente ingenuo.

"Nulla..." rispose ammiccando.

"Senti non ho intenzione di stare qui a prendermi lezioni di vita o insulti da uno che neanche mi conosce, quindi ciao." gli dissi prendendo il mio telefono dal tavolino e andandomene per le scale.

"Va bene, scusa, forse ho esagerato. Volevo solo dirti che lui non la lascerà mai, non farti illusioni." mi raggiunse guardandomi negli occhi e pronunciando quelle parole con tutto l'astio che aveva in corpo.

Lo guardai fisso negli occhi per qualche istante e poi mi voltai, ricominciando a salire le scale per tornare nella mia stanza.
Quella conversazione mi aveva davvero innervosita e il fatto di non sapere neanche da parte di chi e cosa fosse il regalo ricevuto da Giuseppe mi mandava ai matti; sapevo che era un regalo da parte della sua compagna, lo avevo capito da come aveva reagito Giuseppe alla sola vista del pacco.

"Aspetta un secondo, dai." mi pregò trattenendomi per la mano.

"Non hai finito?"

"Ma dai, staremo qui ancora per chissà quanto tempo, che senso ha evitarsi?"

"Non sto cercando un amico, non sto cercando un confidente, sto bene come sto, grazie."

"Senti scusa, ho esagerato e mi dispiace, non volevo ferirti. -continuava a salire le scale, finendo ad arrivare alla mia stessa altezza- Prendiamoci un caffè e ricominciamo da capo, come se non ci conoscessimo."

"Noi non ci conosciamo." gli risposi sorridendo sarcasticamente e ripercorrendo i miei passi fino a tornare sulle poltroncine su cui eravamo seduti fino a qualche minuto prima. In fondo aveva anche ragione: saremmo rimasti bloccati lì per chissà quanto tempo e lui era uno degli unici ragazzi rimasti lì.

"Studi?" mi chiese iniziando a versare lo zucchero nella tazzina davanti a sé.

"Giurisprudenza, sto scrivendo la tesi."

"Ah, per quello Conte ti aiuta..."

Alzai gli occhi al cielo, pronta ad andarmene un'altra volta, ma lui appoggiò una mano sulla mia e mi guardò pentito.

"In realtà sì, l'altra sera, nel suo ufficio, stavamo discutendo riguardo ad una procedura che non mi è mai stata troppo chiara."

Cercavo di sviare il discorso, giustificandomi davanti ad accuse inesistenti, perché in realtà quel ragazzo non aveva idea di quello che stava insinuando e tutto ciò che immaginava doveva rimanere solo nella sua testa.
In effetti dopo qualche vivace scambio di battute, l'aria si era fatta decisamente meno tesa ed io ero anche riuscita a non pensare al regalo ricevuto da Giuseppe.
Il pomeriggio lo passai a lavorare insieme al ragazzo che, nel corso del tempo, si era anche rivelato leggero e spiritoso al punto giusto da rendere tutto quel lavoro così noioso un po' più divertente.

"È tardi, io vado in camera." gli dissi chiudendo la cartellina a cui stavo lavorando.

"Ma come? Non puoi lasciarmi adesso, abbiamo quasi finito..."

"Mi sta venendo mal di testa, voglio andare a farmi una doccia e scendere dopo a mangiare: finiamo questa sera se proprio ci tieni."

"D'accordo, vai pure. Ci vediamo dopo!" mi salutò cordialmente accarezzandomi il braccio.

Salendo le scale mi arrivò un messaggio: era Giuseppe che mi chiedeva a che ora potesse raggiungermi in camera quella sera.
Non so dire esattamente quale fu la mia reazione, so solo che accelerai il passo e in un attimo mi ritrovai a bussare alla sua porta.

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