Capitolo 8

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Pensai alle parole di Alice e capii che, in fondo, non aveva tutti i torti: la situazione che stavamo vivendo era cento volte amplificata tra le stanze di Palazzo Chigi; chi reagiva in un modo, chi in un altro, ma tutti non si riconoscevano più nelle proprie azioni.
Neanche noi, io e l'uomo che mi giaceva sereno a fianco, probabilmente stanco e forse anche un po' imbarazzato.
Ero sorpresa dalla naturalezza con cui l'atto si era consumato, in un silenzio profondo che lasciava, però, capire ogni gesto e che non aveva bisogno di essere rotto.

Anche in quel momento, in cui io ero stesa con la testa appoggiata sul suo torace mentre lui accarezzava dolcemente i miei capelli, non c'era bisogno di dire nulla.
Rimanemmo stesi a fissare il soffitto per un tempo indeterminato, risvegliati solo verso le due di notte dalla richiesta più attesa di tutte: "Mi offri un'altra sigaretta?" chiese guardandomi.

"Sono lì." risposi indicando il pacchetto sulla scrivania.

"Non dirlo a nessuno." mi sussurrò all'orecchio prima di accenderla e usare un bicchiere come posacenere.

"Non si fa, Presidente." lo sgridai ironicamente io, aspirando dal filtro di quella Marlboro che teneva delicatamente tra le dita e soffiando il fumo in modo che l'aria gli muovesse i capelli.

"Eva..." disse soavemente mentre passava le dita, lasciando segni impercettibili, sulla pelle del mio petto ancora nudo.

"Giuseppe..." lo imitai io, usando per la prima volta il suo nome senza altri appellativi.

Finì la sua sigaretta spegnendola delicatamente sul bordo del bicchiere per poi riprendere ad accarezzarmi i capelli, anche se ora io ero davanti a lui con gli occhi fissi nei suoi.

"Dimmi."

"Cosa?" gli chiesi stupita.

"Mi guardi."

"Ti guardo..."

"E non dici niente?"

"No dai, basta parole. Sempre e solo troppe parole, che poi a che servono?" risposi sbuffando e accomodandomi al suo fianco, alzando le coperte e coprendo entrambi i nostri corpi rimasti nudi, per pigrizia o esibizionismo.

"A niente." mi rispose sconsolato.
Sapeva che quella sera era stata un errore e che se si fosse saputo avrebbe perso la faccia, sia in ambito lavorativo che personale, ed io sapevo che quella notte non sarebbe tornata in dietro un'altra volta e volevo godermi il dolce profumo della sua colonia, lasciando che mi inebriasse e mi tranquillizzasse.

La notte trascorsa fu la prima passata serenamente dopo le tante che l'avevano preceduta. La mia sveglia ci destò, sorprendendoci ancora abbracciati; subito vidi negli occhi di Giuseppe lo stupore di aver passato sei ore filate di sonno al mio fianco.
Si alzò rivestendosi in fretta, per poi girarsi verso di me e lasciarmi un ultimo bacio veloce sulle labbra e uscire dalla stanza.

"Aspetta! -esclamai alzandomi in ginocchio sul letto e afferrando il suo braccio- Sei tutto arruffato."

"Copriti, ti prego." mi riprese, leggermente innervosito.

"Che c'è? Non ti piace?" lo provocai prendendogli entrambe le mani e posandogliele sui miei fianchi.

"Devo andare, lo sai." mi liquidò ritraendosi e salutandomi con una carezza sulla guancia.

Mi feci una doccia veloce mentre le immagini della sera precedente mi passavano ancora davanti agli occhi ed io mi sentivo incredibilmente bella e speciale.
Era stato tutto sbagliato e, insieme, così giusto che non riuscivo a darmi un contegno: pensavo solo al piacere che mi aveva dato e alla voglia di provarlo ancora.

La sera arrivò in fretta, tra le telefonate di mia madre e quelle di Alice, a cui però non riuscivo a rispondere. Non era tanto il fatto di dover ammettere con lei che aveva avuto ragione sin dal principio, era più che non volevo raccontarle quello che era successo, ma neanche mentirle negandolo. Così lasciavo squillare il telefono all'infinito, decidendo di lasciarlo in camera nel momento in cui decisi di scendere per andare a cena.

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