Capitolo 13

1.7K 64 17
                                    

VM 18

"Allora prima devi rispondere alla domanda che ti ho fatto ieri sera." ruppi violentemente l'atmosfera.

"Quale domanda?" chiese lui veramente ignaro di ciò che volevo sapere.

"La tua fidanzata."

"Qual è la domanda?" ripetè scostando mani e occhi da me.

"Sei fidanzato no? Hai una compagna?"

"Si." mi rispose leggermente innervosito.

"Tranquillo eh, non sto facendo un discorso del tipo: 'devi scegliere tra me e lei' o 'mollala e sposami'." tentai di rassicurarlo.

"Quindi?" chiese continuando ad abbassare lo sguardo.

"Niente, fa niente." risposi per evitare di innervosirlo ancor di più.

Sentivo nella sua voce e vedevo nei suoi gesti l'imbarazzo di chi non sa davvero cosa sta facendo e che per la prima volta si lascia trasportare dall'irrazionale, dalla cosa sbagliata che sembra però l'unica in grado di farti stare bene.
Un bene frivolo e sicuramente poco duraturo, ma quel tanto che basta per stare in pace con se stessi.
Però io no, io non ero in pace con me stessa. Sapevo che a qualche chilometro c'era una donna, che, se avesse saputo quello che stava succedendo, avrebbe sofferto. Non era la sua sofferenza a farmi desistere, ma la mia nel conoscere quel sentimento. Non ero vergine ai tradimenti e, per quanto mi sforzassi, ritenevo sempre almeno un po' responsabile anche la 'lei' con cui ero stata tradita.

Nonostante razionalmente avessi deciso di andarmene da quell'appartamento, almeno finché nella mia testa non fosse stato chiaro quale fosse il male minore, arrivata alla soglia della porta vinse la parte più istintiva, mi voltai e ritrovai Giuseppe a pochi centimetri di distanza da me.

"Non siamo in crisi, non ho deciso di lasciarla, ci sentiamo tutti i giorni al telefono, sono affezionato a lei e a sua figlia e, se devo dirti tutta la verità, ogni tanto mi manca."

Quelle parole mi colpirono dritte in faccia come uno schiaffo ben assestato: era la verità, lo sapevo.
La conoscevo anche prima che me la dicesse lui, ma così era diventata vera, perché eravamo in due a saperlo e perché era inevitabile che fosse così.
Iniziai a pensare quanto stupida fossi a credere che il piacere provato da lui durante le scopate andasse oltre quello fisico; mi ero convinta di questo dopo aver passato la notte prima stretta a lui, senza che gliel'avessi chiesto o che gli avessi offerto altro in cambio.
Gli mancava lei e basta.

"Ciò non toglie che io mi trovi bene con te..." aggiunse prendendo tra le dita il mio mento.

Lo guardai negli occhi con la faccia più neutra che avevo, perché non ero arrabbiata, non ero delusa, triste o avvilita. Era solo difficile accettare quelli che erano i miei timori riguardo quello che era il nostro rapporto.

"Ora puoi andare via, chiuderti in camera e rimanerci finché non potrai tornare a casa oppure-"

"Oppure?" lo interruppi io cercando di riprendere un po' il controllo della situazione.

"Oppure rimani e ci dedichiamo alla cosa in cui insieme eccelliamo." ammiccò leggermente.

"Due condizioni." dissi superandolo e prendendo in mano il calice che avevo appoggiato sul tavolo pochi minuti prima.

"Quali?" chiese curioso.

"Primo: mi riempi il bicchiere."

"Si può fare. -rispose prendendo in mano la bottiglia e avvicinandosi per versarmi il vino- La seconda?"

"Secondo: mi fai portare ogni sera la cena in camera cucinata da chi ha preparato questo." dissi indicando i piatti vuoti sul tavolo.

"Se lo facessi portare qui, ogni sera? E se tu venissi qui, ogni sera? Non mi va di chiamarti per i corridoi come fossi il mio cane." propose riferendosi alle mie parole della sera prima.

"Forse. Vediamo."

"Forse? Vediamo?" mi prese in giro avvicinandosi sempre di più.

"Potrei accettare..."

"Cosa posso fare per farti decidere?" chiese sarcastico avvicinandosi ancora a me.

"Lo sai." gli risposi con lo sguardo malizioso.

"Forse ho un'idea." disse allentando la cintura dei suoi pantaloni.

"Questo dovrebbe convincere me?"

"Si." asserì secco avvicinandomi bruscamente a lui e sollevandomi una gamba portandola all'altezza del suo bacino.

Mi prese il viso tra le mani e iniziò a mordermi dolcemente le labbra sussurrando complimenti. Poi mi guidò fino al suo letto di un bianco candido e lasciò che io mi spogliassi piano, godendosi la scena da vicino, infatti con una mano accarezzava la mia schiena e con l'altra esplorava l'intimità in mezzo alle mie gambe.

"Piano..." gli dissi mentre con foga si affrettava a togliersi ogni indumento.

Lasciò che la mia mano indagasse le sue zone erogene, pronunciando parole sotto voce al mio orecchio.

Eravamo nudi l'uno davanti all'altra e ci accarezzavamo abbracciandoci, godendoci semplicemente il momento.
Lui fu attento ad ogni mio sussulto, cercando di capire quale fosse il contatto che più mi creava piacere, poi si stese con me e, dopo un mio cenno, entrò in me con una spinta vigorosa.

Gemetti e me ne pentii subito: a pochi metri stavano di guardia due colleghi di mio padre. Avrebbero raccontato tutto? Che la figlia di Luciano si stava scopando il Presidente? Che il Presidente stava tradendo la fidanzata con una ragazzina?

Giuseppe notò subito il mio irrigidirmi e si bloccò di colpo, pensando di avermi fatto male, probabilmente.

"Tutto bene?" chiese preoccupato.

"Le tue guardie." farfugliai io sperando mi capisse.

"Tu non urlare." mi rassicurò baciandomi il collo.

"Io, -cercavo di trattenere l'eccitazione- non riesco..."

Lui continuava a muoversi con me, seguiva il mio ritmo poi cambiava e aspettava che mi adeguassi a lui, per poi ricominciare.
L'idea che qualcuno potesse sentirci e malignare mi faceva desistere dall'abbandonarmi completamente all'orgasmo che incombeva.

Venne.

Io no.
E lui se ne accorse, cercando di provvedere al mio piacere stuzzicandomi con la lingua.
Tenevo i piedi puntati sulle sue spalle e ammetto che vederlo prodigo alla fonte del mio piacere mi faceva letteralmente impazzire.

Mi lasciai definitivamente andare a quella scossa di calore profondo cacciando un urletto che prontamente soffocai portandomi una mano sulla bocca.

"Cazzo. Scusa." cercai di giustificarmi reggendosi sui gomiti.

"Non ti scusare!" esclamò risalendo da me e lasciandomi un centinaio di baci su tutto il corpo.

Si accomodò di fianco a me e distolse lo sguardo dal mio corpo per posarlo sui miei occhi, fissi, come sempre, nei suoi. Ci guardammo sorridendo e trovando il punto d'incontro tra la mia monotonia e la sua frenesia.

"A che ora hai quella cosa?" chiesi contrariata dal dover abbandonare quel letto così comodo.

"Tra un paio d'ore, ci vieni vero?"

"Giù? Con te?"

"Si, come l'altra volta."

"Certo, così se qualcuno aveva dubbi che fossimo stati insieme glieli chiariamo subito..."

"Siamo in quindici qui dentro, i dubbi vengono se quattordici sono lì e tu non ci sei."

"Non avrei nessun motivo di essere lì."

"E tu vieni comunque."

Spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere❤️

LA MIA QUARANTENA CON TEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora