Aprire un ristorante dà la stessa sensazione che prova il sacerdote che apre il Tempio: alla mattina presto, quando i ceri sono ancora spenti, i Santi negli affreschi dormono il sonno dei giusti e Dio ancora non c'è. (del resto lui è il boss. Il boss passa se e quando gli pare)
Già, perché il pastry chef è il primo ad arrivare, perché la colazione è il primo appuntamento della giornata, perché il pane ha bisogno del suo tempo per lievitare a dovere e per un sacco di altri motivi.
Alcuni degli altri chef dell' Hermione iniziano ad impostare la propria sezione ancora in borghese, riempiendo pentole d'acqua ed accendendo i fornelli in jeans e maglietta: ai miei occhi una piccola perdonabile eresia.
Per me inizia tutto dalla giacca da chef: è il primo e fondamentale rito di ogni giornata, è la vestizione, è la trasfigurazione da uomo qualunque a stregone dello zucchero, bottone dopo bottone.
Indossata quella percepisco attorno alle mie spalle quell'aura di immortalità che incanta, incuriosisce e spesso annichilisce chi mi guarda mentre sono all'opera.
E' necessario fare un passo indietro per poter spiegare quello che sono diventato ad oggi a livello professionale e perché no, anche umano.
L'ambiente dei laboratori di pasticceria in cui ho mosso i primi passi è un mondo complesso, che non regala nulla, ma in ogni caso estremamente più rilassato rispetto al mondo dei ristoranti in cui sono atterrato qualche anno fa.
Qui la tensione è amplificata, i ritmi di lavoro che scandiscono la giornata sono altri, lo spirito di competizione è percepibile quasi all'olfatto e oltre un margine minimo non ci sono concetti come il gioco di squadra o l'aiutare l'altro per puro spirito caritatevole: ho dovuto imparare fin da subito che se stai affogando nessuno ti lancerà una ciambella di salvataggio, ma sarà più facile che qualcuno si faccia una zattera con il tuo cadavere.
Al Fragole&Mandorle, il ristorante italiano dove ho iniziato a sudarmi i gradi di pastry chef, vigeva un regime di immotivato terrore, dove la bestemmia era usata come la virgola e l'urlo e l'insulto erano il pane quotidiano, mentre ogni sera si sforava serenamente il tetto di trecento e passa coperti, sotto la guida dell'executive chef, una sorta di divinità pagana ringhiante, usa al lancio di piatti contro le mura della cucina, quando un cameriere riportava indietro qualcosa a causa di una lamentela di un cliente.
Fuggito da lì ho trascorso un breve ed intensissimo mese in un ristorante di lusso in centro, dove ogni dessert veniva servito con almeno otto guarnizioni e la mia responsabile controllava con il righello che la pannacotta fosse impiattata esattamente nel centro del piatto, non un centimetro più a destra o più a sinistra.
Poi sono arrivati dei problemi fisici, alterne vicende sentimentali e familiari... è difficile da spiegare, ma è come se questo anno mi avesse asciugato l'anima, fatto finire la mia barca emotiva su una secca:
quando cerco di ricorrere a metafore efficaci, spiegando che se non tutto, ma almeno una parte di me è morta ed ho celebrato un funerale ricco di canti di gioia, sento di avvicinarmi molto al quadro attuale delle cose.
In questo stato inconsapevole e solido sono arrivato all' Hermione quasi per caso.
Quando stavo ormai per perdere le speranze e valutare decisioni estreme per il futuro questo posto si è presentato da subito come una mosca bianca, meravigliosa eccezione nel mondo monocorda del lavoro nella ristorazione, con una modalità estremamente "orientale" di gestione del lavoro con la predilezione per il dialogo rispetto all'urlo e l'utilizzo di qualche raro provvedimento disciplinare somministrato senza alcuna manifestazione di rabbia.
Ho avuto da subito la sensazione che questo sarebbe potuto essere il mio posto, d'istinto, annusando l'aria, forte del fatto che il mio olfatto raramente sbaglia.
In silenzio e a testa bassa ho preso piano piano possesso dello spazio necessario per farne il mio posto: ricordo che sono passate settimane prima di scambiare due parole con qualcuno che non fossero la conversazione formale sul lavoro e probabilmente lo stesso numero di giorni prima di concedersi una battuta o un sorriso.
-Ti ho osservato parecchio fin dal primo giorno, ma non me la sono sentita di parlarti subito, concentrato com'eri tra le tue glasse e i tuoi impasti, contando chissà cosa con le dita e parlando da solo, come i matti...
Però ho avuto la sensazione da subito che fossi una persona buona, mi sono detta: quello lì ha proprio la faccia da pasticciere!- mi confida Serena una sera davanti ad una birra.
Mezza italiana e mezza marocchina, Serena vola da un tavolo all'altro soffiandosi via i riccioli dagli occhi e sorridendo tanto ai clienti quanto allo chef al pass che gli indica piatti e numeri di tavolo.
Serena ha 26 anni e sembra che abbiamo vissuto già un paio di vite o più.
Parliamo di uno dei membri onorari dello zoccolo duro dell' Hermione, una "di quella pasta lì", a livello lavorativo ed umano, un piccolo adorabile pilastro che piano piano è diventata una sorta di sorella piccola di cui prendermi cura.
Diffidenza e timore dicevamo, che nei mesi si sono lentamente trasformati in stima e rispetto professionale: è qualcosa che senti negli occhi di chef e camerieri quando ti guardano o nel tono di voce che utilizzano per farti una domanda: sentire la propria autorità riconosciuta e percepire il piacere degli altri chef nel lavorare al tuo fianco, è una spinta motivazionale non da poco.
Tutto questo diventa di settimana in settimana la scintilla di innesco di un meccanismo pazzesco di crescita dell'autostima e di convinzione nei propri mezzi come mai prima d'ora: persino il pane, silenzioso ed appiccicoso nemico agli inizi della storia ora è uno dei punti forti, un banco di prova sempre intrigante ogni mattina.
Qualcosa di me sarà anche morto, ma probabilmente è stato il prezzo da pagare per raggiungere questo stato inebriante di re Mida della pasticceria, dove ogni prodotto è una sentenza, dove sono le mie mani a fare la differenza.
Fatemi lavorare. Il mio mantra è di una semplicità estrema: ripetetelo con me e poi levatevi di torno.
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NUDO CHEF
AdventureLondra è un teatro senza tempo, dove recitare il ruolo dello chef richiede più abilità e sfaccettature di quanto si possa immaginare. Il pastry chef in un ristorante della capitale britannica poi è un ruolo ulteriormente complesso, impegnativo, dove...