Tre

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Riprendo il controllo e lo guardo, piantando i miei occhi dentro i suoi. Non sbatto neanche le palpebre, in barba a qualunque nozione di fisiologia.
Si è seduto sul divano in pelle nera, la gamba destra sul ginocchio sinistro. Eh no, caro, non funziona così.
Io mi appoggio al lungo tavolo in cristallo che troneggia al centro della stanza, incrocio le braccia e lo guardo beffarda.
"Non mi sembra di averti dato il permesso di sederti".
Mi guarda, con aria di sfida.
Ripeto la frase: "Non mi sembra - pausa - di averti dato - pausa - il permesso di sederti. In piedi."
Incredibilmente, dopo un tempo che mi sembra infinito, si alza dal divano e mi si para davanti.
"Allora, in questo luogo (e faccio un gesto circolare col dito indice) si devono rispettare delle regole. E le regole le faccio io. Ah, avvertenza. Noi abbiamo una sorta di deontologia professionale, se mi passi il termine: quello che succede qui dentro, rimane qui dentro, perciò da me nulla mai trapelerà di quanto sarà detto o fatto. Mi aspetto la stessa riservatezza da parte tua, ma mi sembra davvero superfluo chiederla, giusto? Comunque.
Regola numero uno, la più importante. Io do gli ordini, tu li esegui. Qui non si discute, non si tratta. Si ubbidisce. Io dico una cosa, tu la fai. Ti faccio una domanda, tu rispondi. Non parli se non su mia esplicita richiesta. Se non ubbidisci, sarai punito. Se le regole del gioco non ti stanno bene, puoi andartene adesso, la porta è quella".
Incredibilmente rimane immobile, al centro della stanza.
Mi sfilo lo spillone d'argento dai capelli e inizio a giocherellarci, in modo che lui lo veda bene.
"Regola numero due. In questo gioco non c'è contatto fisico. Non so cosa ti abbiano raccontato o quale sia il tuo immaginario, ma in questo gioco il sesso non c'entra. A volte può capitare, ma è un effetto collaterale ed è abbastanza raro. Qui il gioco è diverso, qui si parla di esplorare se stessi e i propri limiti mentali e vedere se si è pronti a superarli. Non solo, ma come vedi io non sono vestita di lattice, non ci sono catene in giro o fruste. La dominazione non è coercizione, la sottomissione non è oppressione, tantomeno fisica. Perciò se ti aspettavi le cinquanta sfumature, di nuovo, la porta è quella".
Non muove un muscolo.
"Regola numero tre. Non ci sono nomi. Non mi interessa come ti chiami, non ho bisogno di chiamarti per nome per darti un ordine. Tu ti rivolgerai a me, quando te lo concederò, chiamandomi Signora, o Padrona".
Ancora silenzio. Mi chiedo se stia respirando.
"Regola numero quattro. Come ho detto, questo è un gioco. Tra adulti consenzienti e consapevoli di quello che stanno facendo, ma se in qualunque momento, uno qualunque dei partecipanti al gioco lo vuole interrompere per qualsivoglia motivo - e non è tenuto a spiegarlo -
esiste una parola concordata, una safety word, che interrompe l'azione immediatamente. La nostra safety word è: di-pi-ci-emme".
Mi sta incendiando con lo sguardo e lo fa, la pronuncia: "Di-pi-ci-emme", ed esce dalla stanza.
Ha voluto l'ultima parola, il bastardo.

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