Nove

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Arriva con dieci minuti di ritardo, ma visto il traffico della capitale è già un miracolo. Suppongo abbia fatto tirare fuori i lampeggianti agli agenti di scorta.
Gli apro la porta e lo fulmino con lo sguardo.
"Padrona, perdonami, non era proprio possi-"
"Entra", lo interrompo. "Togliti la giacca e siediti lì".
Mi avvicino e lo guardo fisso.
"Se ti dico che devi essere qui entro mezz'ora, vuol dire che devi essere qui entro mezz'ora. Dovrai essere punito".
"Metti le mani dietro la schiena", gli dico. Mi slaccio il foulard che portavo legato al collo e gli lego le mani con quello.
Il nodo non deve fare male, ma solo impedirgli di toccarmi.
Poi gli sciolgo il nodo della cravatta, gliela tolgo e con quella gli bendo gli occhi. Sento già il suo respiro farsi più pesante.
"Lo sai cosa si fa ai bambini che disubbidiscono?"
"Sì Padrona"
"E cosa?"
"Devono essere puniti, Padrona".
"E tu hai disubbidito?"
"Sì Padrona"
"Quindi meriti la punizione?"
"Sì Padrona"
Su quest'ultima domanda mi sono seduta a cavalcioni su di lui. Faccio dei movimenti lievissimi col bacino, in modo che lui si possa rendere pienamente conto della mia presenza, e reagire ad essa, ma possano essere interrotti a mio piacimento.
"E che punizione meriti secondo te?", sono a un millimetro dalla sua bocca.
"Non lo so Padrona, qualunque punizione decida me la sono meritata".
Gli sfioro l'angolo esterno della bocca con le mie labbra, poi mi sposto sulla guancia, andando verso l'orecchio, per poi scendere lungo il collo. Ho appositamente messo un rossetto rosso estremamente cremoso in modo da lasciare una lunga scia del mio passaggio, che lui al momento non può vedere.
Apro maggiormente la sua camicia e gli carezzo lievemente il petto, con piccoli tocchi delle mani, delle labbra e della lingua.
Nel frattempo continuo i lenti movimenti di bacino, dei quali sento già sotto di me i risultati.
"Ti piace?", gli chiedo all'orecchio, dopo essere ripassata per la sua bocca, sfiorandola appena.
"Sì Padrona", mi risponde a fatica, il respiro spezzato. Si agita, vorrebbe avere le mani libere.
Intanto io scendo con la mano sui suoi pantaloni, accarezzandolo in mezzo alle gambe.
"Ti piacerebbe, vero, che io continuassi fino a farti godere?", gli chiedo continuando a muovere la mano.
Il suo "Sì Padrona" è quasi un rantolo.
"Allora chiedimelo", gli sussurro sulla bocca.
"Padrona, ti prego, fammi godere".
Gli tolgo la benda dagli occhi e lo guardo fisso: "Dillo un'altra volta".
"Padrona, ti prego."
Mi stacco da lui bruscamente. Poi gli slego le mani e gli dico: "Puoi andare. Buona serata".
Mi guarda stravolto, lo sguardo che supplica una conclusione. Gli apro la porta in silenzio, porgendogli la giacca.
Esce senza dire niente e giuro che darei tutti i miei averi per vedere la faccia degli uomini della sicurezza che se lo vedranno arrivare stravolto, completamente sporco di rossetto e con il cavallo dei pantaloni decisamente in tensione.
Il problema è che io sono eccitata quanto lui. Mi butto sul divano, le mani che necessariamente scendono a portare sollievo a questa tensione insostenibile.

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