Sette

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Le giornate sono frenetiche. Le sedute plenarie si susseguono ai momenti di lavoro in autonomia o in piccoli gruppi.
Io tendo a farmi i fatti miei, se non quando obbligata. Non amo certi ambienti che sembra scatenino nella maggior parte delle persone la necessità di mettersi in mostra, una parata di pavoni che fanno a gara a chi fa la ruota più bella.
Quando è presente il Presidente Nobile, poi, le riunioni rischiano di non finire mai, perché, soprattutto i "baroni" universitari, si lanciano in prolusioni infiocchettate e infarcite di citazioni coltissime, nonché di citazioni da discorsi del Presidente stesso, accompagnate da sguardi ammiccanti del tipo noi sì che ci intendiamo.
L'irritazione del Presidente è evidente anche a un cieco, la sua espressione schifata ora pienamente giustificata.
A un certo punto Nobile si gira verso di me e mi chiede a bruciapelo: "E lei che ne pensa, dottoressa Marchetti?"
"Io? Niente".
"Come niente". Solleva il suo iconico sopracciglio.
"I miei esimi colleghi stanno discutendo del sesso degli angeli, io sono abituata ad analizzare dati, numeri, fatti reali, perciò non ho niente da dire".
"E che dati vorrebbe analizzare?", mi chiede un vecchio trombone seduto alla mia destra, qualche posto più in là. L'aria da vediamo un po' che dice questa adesso.
"Abbiamo solo l'imbarazzo della scelta. Potremo analizzare i dati sulla situazione degli edifici scolastici, per esempio. Se sono adeguati a essere rivoluzionati per le nuove disposizioni anticontagio, per esempio. Sa che ci sono edifici scolastici in Italia che risalgono al 1920 e sono ancora in uso? Hanno la stessa età della riforma Gentile! Oppure perché non analizziamo i dati della dispersione scolastica? O, peggio ancora, della dispersione nascosta? Lo sa qual è la dispersione nascosta? Sono gli studenti che smettono di frequentare o frequentano un giorno ogni tre mesi, che non si possono contare fra quelli formalmente ritirati. Sono quelli che se anche qualche volta a scuola ci mettono piede, non fanno un compito, non studiano. Come li riprendiamo? Ci siamo posti questa domanda? No, noi però siamo rimasti qui a discutere per settimane se il termine "geostoria" fosse adeguato o se dovessimo coniare qualche altro petaloso neologismo".
"Cosa ne vuol sapere lei?", mi interrompe il vecchio cattedratico, "D'altronde lei cos'è, una maestra elementare? O della scuola primaria, come dite adesso".
In un decimo di secondo vedo il Presidente Nobile diventare paonazzo, alzarsi dalla sedia e quasi scagliarsi contro il cattedratico.
"Ma come si permette?!", urla. "Come si permette di mancare di rispetto in questo modo a una sua collega, che benché più giovane
di lei ha un curriculum vitae impressionante?! Io non ammetto e non tollero comportamenti di questo genere, la prego di lasciare immediatamente
la stanza e se dovesse ritenere di dare le sue dimissioni da questa commissione sappia che non mi opporrò!"
Cosa sta succedendo? A cosa ho appena assistito? Il Presidente, quello che mi chiamava signorina fino a poco più di una settimana fa, ha difeso me e le mie competenze? Sono basita.
Al termine della riunione mi si avvicina Mariella, un'altra collega dal curriculum chilometrico, e mi chiede: "Ma che gli è preso? Non l'ho mai visto così incazzato da quando ha fatto nomi e cognomi in televisione. Ma dimmi una cosa," e mi guarda, "niente niente che fra voi due..."
"Mariella, ma sei scema? Ma che cavolo stai dicendo?", dico accompagnando le parole col ben noto gesto della mano.
"Ok, ok", chiude la collega.

Decido comunque di parlare con il Presidente. Mi avvicino verso il suo studio, dribblo elegantemente segretarie e portaborse e busso alla sua porta.
"Avanti!", secco, deciso.
Apro la porta. È alla scrivania ma in piedi, parla al telefono. Si è tolto la giacca e ha arrotolato le maniche della camicia, ma ha ancora la cravatta, anche se un po' allentata. Mi fa cenno di entrare.
Chiude la chiamata ma non mi invita a accomodarmi e io non lo faccio.
"Prego, dottoressa Marchetti, mi dica".
"Sì, volevo ringraziarla per il suo appassionato intervento in mia difesa, l'ho apprezzato, ma volevo comunque tranquillizzarla sul fatto che sono in grado di badare a me stessa e, se del caso, di mandare affanculo autonomamente chi mi dà noia".
Nobile fa il giro della scrivania per portarsi dallo stesso lato in cui mi trovo io, in piedi.
Si appoggia alla scrivania, incrocia le braccia e mi guarda beffardo.
"Allora, in questo luogo (e col dito indice fa un gesto circolare molto ampio, a comprendere tutto il palazzo, non solo quella stanza) si devono rispettare delle regole. E le regole le faccio io.
Regola numero uno, la più importante. Io do gli ordini, gli altri li eseguono. Qui non si discute, non si tratta, non ci sono tavoli di contrattazione. Si ubbidisce. Io dico una cosa, tu la fai. Ti faccio una domanda, tu rispondi. Ti do un compito da eseguire, tu lo esegui. Se non ubbidisci, la nostra collaborazione sarà interrotta. Se le regole del gioco non ti stanno bene, la porta è quella".
Rimango immobile.
Lui si sfila la cravatta e inizia lentamente ad arrotolarla, tenendomela sempre davanti agli occhi.
"Regola numero due. In questo luogo, e in questo gioco, il controllo è in mano mia. Io decido cosa è accettabile e cosa non lo è, e un comportamento come quello di quel coglione poco fa non è accettabile. A mio insindacabile giudizio."
Nel frattempo la distanza tra noi sta diminuendo.
"Regola numero tre. Se ti viene riservata una cortesia, tu dici grazie. Senza ulteriori discussioni. Questo è il mio gioco e le regole sono queste. Tra adulti consenzienti e consapevoli di quello che stanno facendo, se le regole non ti stanno bene nessun problema", indicando la porta. Poi mi accarezza il viso con il dorso della mano destra, alla quale ha avvolto la cravatta. La sua bocca a pochi centimetri dalla mia.
Vuoi giocare Presidente? Io gioco. Forte.

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