Cinque

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Qualche giorno dopo, mentre siamo in commissione a lavorare sulle proposte riguardanti i nuovi programmi della secondaria di secondo grado, mi squilla il cellulare. Un SMS. Chi usa più i messaggini al giorno d'oggi? Anche mia madre ha imparato a usare WhatsApp!
Apro il messaggio, il numero è in chiaro ma non è in rubrica, perciò non so chi sia.

<<Padrona, non vedo l'ora che tu mi conceda di servirti. Aspetto che tu mi faccia sapere quando>>.

Nessuna firma.
Un scarica elettrica mi attraversa la schiena. Le persone con cui gioco normalmente le ho in rubrica, l'unica new entry è stata... non voglio pronunciare quel nome neanche nella mia mente. Poggio lo smartphone. Respiro. Lo riprendo in mano.

<<Se ne avrò voglia ti farò sapere>>.

Invio.
Che cazzo sto facendo?

Dopo aver inviato l'SMS salvo il numero in rubrica con un "?". Poi apro WhatsApp per vedere se lo trovo ed è lì, con il famoso stato Scrivetemi come se ogni messaggio costasse 10 euro: vi aiuterà a concentrare il pensiero.
Bene, se volevo suicidarmi avevo scelto il metodo più lungo e doloroso.

Un paio di giorni dopo, un'estenuante giornata prevede che il Presidente tenga un'ennesima informativa sia alla Camera che al Senato.
È oggettivamente provato, anche fisicamente, fa fatica a parlare. Prendo lo smartphone e rispondo all'SMS.

<<Domani alle 20. Stesso posto>>.

Vedo in diretta nazionale che estrae lo smartphone dalla giacca, guarda lo schermo e poi lo rimette in tasca. Non risponde per ringraziarmi dell'appuntamento che gli ho concesso, dovrà essere punito, evidentemente.

Il giorno dopo sono pronta, alle 20. Ho chiesto a Paolo di esserci anche lui, non so perché ma non mi sento tranquilla. Lo riceverà lui dopodiché si eclisserà, ma se dovessi avere necessità si paleserà in una frazione di secondo.
Sono sdraiata sul divano in pelle nera, leggo una rivista. Sento aprirsi la porta di ingresso, le voci dei due uomini, poi un tocco lieve alla mia porta.
Non rispondo subito, aspetto un secondo tocco.
"Avanti", dico, con un tono annoiato. Per ribadire il concetto sbadiglio pure.
Entra.
Lo guardo.
Mi rimetto a leggere.
Lui rimane in silenzio al centro della stanza. In piedi. Bene.
Dopo un po' cambio posizione. Mi metto seduta ma con i piedi sul tavolino basso. Lo guardo e gli dico: "Ho sete".
Lui mi guarda, non sa cosa fare, poi ha l'illuminazione: "Cosa le porto Signora?"
"Un bicchiere d'acqua, grazie". Mi viene da ridere perché manca solo che lo chiami Jeeves per trattarlo da maggiordomo, ma mi trattengo.
D'altronde oggi è il primo giorno, è sufficiente così.
Siccome non sa dove andare a prendere l'acqua, ma non vuole abbassarsi a chiedere, mi tolgo lo spillone d'argento dai capelli e con quello gli indico una porta.
Lui va, riempie il bicchiere, torna. Me lo porge: "Prego, Signora".
"Poggialo lì", gli dico continuando a rivolgere la mia attenzione alla rivista. In realtà ero ferma alla stessa riga da quando era entrato, che mi stava succedendo?
Giocherello col fermacapelli in argento, facendolo sbattere ritmicamente sulle pagine patinate, poi mi alzo e mi piazzo davanti a lui, molto vicina. Ha delle occhiaie profonde, gli occhi rossi e un po' lucidi di chi ha passato la giornata davanti a un monitor, ne so qualcosa.
"Sei stanco?", gli chiedo.
"Sì, Signora", risponde.
"E vorresti sederti, magari?"
"Sì, Signora"
"Beh, non puoi"
"Va bene, Signora. Grazie, Signora".
Mi risiedo e riprendo la pseudo lettura.
Dopo un'altra decina di minuti decido di graziarlo. È la prima volta per lui e va bene così. Come in tutte le pratiche nuove, è bene prenderci confidenza poco alla volta. Deve però avere la punizione per non aver risposto al mio messaggio con l'appuntamento.
"Mi hai annoiato, vattene via".
"Va bene, Signora. Quando mi vorrà vedere di nuovo, Signora?"
"E cosa ti fa pensare che io abbia voglia di rivederti? Mi hai annoiato a morte".
"Mi dispiace, Signora. Forse se lei mi dicesse come devo comport-"
Lo fulmino con lo sguardo. "Decido io cosa devo insegnarti, o cosa suppongo tu sia in grado di capire da solo. Non ci vuole una laurea, sai?"
Distoglie lo sguardo, poi mi guarda nuovamente ma non con sfida o rabbia, il suo sguardo è concentrato. Intenso.
"Ah, dimenticavo", dico. "Quando ti mando un messaggio con un appuntamento, gradirei che mi ringraziassi per l'onore che ti sto concedendo. Dato che è la prima volta, la punizione che ti infliggerò sarà lieve, ma ricorda: non puoi sottrarti". Mentre parlo gli passo l'estremità appuntita del mio fermacapelli sulla guancia.
"Domani, durante la plenaria della task force istruzione dovrai dire questo governo non lavora col favore delle tenebre e una parola a tua scelta fra poderoso, vigoroso e coeso. Ora vai".
Mi guarda con un'epressione supplichevole, sembra quasi sul punto di chiedermi per favore di cambiare la sua punizione, ma non lo fa.
Io, dal canto mio, sento incresparsi il labbro superiore, segno che sto per ridere.
Mi pianto le unghie nei palmi delle mani per resistere, per fortuna esce.

Mi lancio di nuovo sul divano perché sento le gambe tremare. Paolo, dal canto suo, si è già fiondato da me per sapere come è andata.
"Allora?", chiede garrulo.
"Sono stanca e non mi sento bene, mi tremano un po' le gambe. Ordiniamo del sushi?"
Paolo alza gli occhi al cielo e dice: "Prevedo guai".

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